venerdì 24 dicembre 2010
martedì 14 dicembre 2010
Ho perso le parole
"Ho perso le parole
oppure sono loro che perdono me"
Ho perso le parole, come dice Ligabue. Ho perso la voglia di raccontarmi, forse anche la fiducia in chi potrebbe ascoltare. In realtà ho proprio perso il senso del raccontare. Trovo decisamente più elegante e meno dispendioso a livello energetico restarmene chiusa nel mio isolamento.
Senza soluzione di continuità, sono passata dall'accompagnare mio padre nei suoi ultimi giorni all'accudire una gatta ormai vecchiotta e malandata: la gatta, almeno, ci è stato concesso di tenerla ancorata a questa terra, seppur dopo ore terribili di dubbi laceranti (chi sono io per decidere che la sua vita non è più degna di essere vissuta? che cosa rende una vita - anche quella di un animale - degna di essere vissuta?).
Insomma l'anno per me si chiude in chiave metafisica: questioni di vita e morte. Sopravvivenza. Tutto molto elementare. Dal mio metafisico punto di osservazione, accolgo divertita il prevedibile esito del voto di fiducia al governo. Siamo destinati a marciare nel fango - un eufemismo, naturalmente - ancora a lungo. Da questo punto di vista non ci sono speranze. Per la gatta, invece, è lecito l'ottimismo di chi riesce a contenere gli effetti di una grave malattia. Di questo, almeno, sono grata al destino.
Ho un bisogno fisico, oltre che metafisico, appunto, di starmene qualche ora in cima al Sacro Monte di Varese, percorrere la rituale ascesa di fine anno al mio rifugio preferito. Ho un gran bisogno di silenzio, perciò chiudo la baracca - coi burattini dentro - per un po'. Ai miei due lettori auguro ogni serenità. Mi rifarò viva con l'anno nuovo, con qualche buona nuova, spero.
domenica 5 dicembre 2010
JP, Chrissie & the Fairground Boys
Quando, nel 2004, Chrissie Hynde dichiarava lapidaria al canale televisivo online brasiliano UOL : "Ho già avuto tutti gli uomini di cui avevo bisogno", certo non immaginava che qualche anno più tardi, ad un party, avrebbe dato il suo numero di telefono a un certo JP Jones - giovane e oscuro rocker gallese, reduce da un poco entusiasmante contratto con la EMI, in cerca di identità musicale dopo lo scioglimento della sua band - con e per il quale avrebbe scritto un intero disco introdotto dall'inequivocabile Perfect lover.
Poco importa se l'attrazione fatale conduce ad una relazione che Chrissie finisce per considerare impossibile; quello che conta davvero per la splendida cinquantanovenne è che il rapporto con il giovane JP sia funzionale ad una rinnovata spinta compositiva - "L'amore non è musica / La musica è il meglio", teorizzava del resto anche Frank Zappa. La carica emozionale si riversa per intero in un album di rock and roll incredibilmente godibile: melodie immediate che viene spontaneo canticchiare già al secondo ascolto, arrangiamenti essenziali e su tutto la preziosa voce di Chrissie Hynde, in luminoso e singolare contrasto con l'affannosa raucedine di JP.
In questa recente intervista rilasciata al Telegraph, l'energica e vulnerabile Chrissie racconta tutto con la consueta franchezza. Da sottolineare il giudizio impietoso - che condivido in pieno - riservato alla attuale scena musicale britannica.
sabato 4 dicembre 2010
mercoledì 1 dicembre 2010
Dicembre
Il mese ha avuto inizio alla luce di un riflesso verdazzurro che inondava le vetrate dell’ufficio deserto. La neve ormai non fa più notizia, stiamo imparando a darla per scontata. Un po’ più degna di nota, invece, la tendenza, da parte degli amministratori locali, a risparmiare sulle misure necessarie a contrastare la formazione di ghiaccio sulle strade. Come se l’averci obbligato a montare gomme da neve li sgravasse automaticamente da ogni responsabilità (tanto più che se l’asfalto è una lastra di ghiaccio non c’è gomma da neve che tenga).
Sulla mia scrivania giace il rapporto dell’ultimo European Silk Forum: sei pagine di ragguagli sulla situazione sociopolitica cinese, un rapporto dettagliato sullo stato di salute dei gelsi e dei bozzoli, un tracciato della produzione mondiale di seta greggia che si può sintetizzare in due parole inequivocabili: complete collapse.
Perciò se avete in casa un qualsiasi straccio di seta, pure una fodera sfondata, tenetevelo stretto e caro: consideratevi possessori di uno straordinario pezzo di antiquariato.
lunedì 29 novembre 2010
Cronache d'inverno
Questi intervalli di luce tra una nevicata e l'altra rinfrancano l'animo e riconciliano un po' con la vita: sono tregue di fondamentale importanza.
Stamattina il risveglio è stato più arduo e doloroso del solito; in ciò, il fatto di non dover andare in ufficio ha avuto la sua parte: mi si srotolava davanti una giornata buia, da contendere al gelo e alle faccende domestiche, da condurre in porto sotto il peso delle ragnatele che in questi giorni mi ingombrano la testa.
I rami del caco, colpiti dalla luce pur flebile del primo mattino, esalavano un vapore incessante: sulla sommità delle lunghe dita fumanti - corvine e muschiate - resistevano grappoli di frutti anneriti, marciti dal gelo e dal selvaggio becchettare dei merli. Una buccia arancione penzolava vizza da un rametto come osceno relitto di una strage. Radiografate dal sole, le gocce di neve sciolta si accendevano e pulsavano come stelle prima di abbandonare lo scheletro e lasciarsi cadere al suolo.
I rami del caco, colpiti dalla luce pur flebile del primo mattino, esalavano un vapore incessante: sulla sommità delle lunghe dita fumanti - corvine e muschiate - resistevano grappoli di frutti anneriti, marciti dal gelo e dal selvaggio becchettare dei merli. Una buccia arancione penzolava vizza da un rametto come osceno relitto di una strage. Radiografate dal sole, le gocce di neve sciolta si accendevano e pulsavano come stelle prima di abbandonare lo scheletro e lasciarsi cadere al suolo.
Poco più tardi, lo scioglimento dei ghiacci era un clamoroso fatto sonoro: un rivolo consistente, scivolando dalla lastra proteggi-prezzemolo, aveva scavato la terra dell'orto e andava alimentando un laghetto cristallino.
Lo scrostamento della mia auto è stato più facile del previsto e, col tettuccio glassato che sfarinava allegramente in corsa, ho raggiunto un supermercato ragionevolmente semideserto. Mi piace fare la spesa il lunedì subito dopo pranzo: mi prendo il lusso di ponderare e comparare; sosto senza ritegno presso lo scaffale dei libri che non comprerei mai e leggo avidamente, fra disgusto e rassegnazione, fino a quando le verdure surgelate non danno segni di cedimento; mi assoggetto addirittura ad una modesta attesa pur di essere servita dalla cassiera più simpatica.
Poi le ombre arrivano veloci. Ceniamo prestissimo, a orari svizzeri: ravioli di zucca, mozzarella, insalata. La gatta si arrotola sullo sgabello della cucina: si muoverà solo per stiracchiarsi e acciambellarsi in senso opposto.
Nel frattempo sono riuscita a ricrearmi in testa una certa serena lucidità e penso che potrei quasi riprendere gli esercizi di tedesco. Prima, però, meglio recuperare gli scarponcini da neve. La tregua sta per scadere.
mercoledì 24 novembre 2010
I ain't gonna face no defeat / I just gotta get out of this prison cell / One day I'm gonna be free, Lord!" - Remembering Freddie Mercury (5 September 1946 – 24 November 1991)
“Conversando con lui si provava la sensazione che non avesse avuto un’infanzia. Non ne parlava mai e non si riferiva al passato se non alla tarda adolescenza londinese e fece pochissime allusioni al periodo in cui aveva frequentato la scuola di belle arti. Apparentemente, Freddie cominciò a vivere quando andò ad abitare in Victoria Road, nella zona ovest di Londra, lontano dalla famiglia e padrone delle sue azioni.”
“Sembrava che per scrivere avesse bisogno di tempeste emotive. A volte, la tensione dovuta agli impegni di lavoro lo spingeva a troncare una relazione sentimentale, altre volte provocava deliberatamente una lite per sfruttare le emozioni forti suscitate e convogliare le energie nella composizione o nelle performance dal vivo. I diverbi amplificavano le sue doti di performer e songwriter e la sofferenza che di tanto in tanto si infliggeva pareva una condizione indispensabile, come una dose di droga.”
“Non gli sarebbe piaciuto invecchiare, uno dei motivi per cui non assunse un atteggiamento più combattivo una volta scoperto di avere l’AIDS. Da iperattivo aveva sempre bisogno di impegnarsi in qualcosa. Considerava il sonno un enorme spreco di tempo. Se non lavorava si dedicava al sesso, un’attività piacevole e divertente, da svolgere senza investirci le emozioni profonde che andavano invece incanalate verso la scrittura di nuovo materiale. L’amore di cui cantava apparteneva a un’altra dimensione e non so se lo sperimentò mai di persona.”
“Ci attraevano il suo magnetismo, la sua personalità, il suo brio. Sapevi che non riusciva a starsene tranquillo e assorto nei suoi pensieri per molto tempo. Esistevano due Freddie Mercury, due figure in competizione, la persona normale e lo showman, in un unico corpo. Di solito la spuntava il secondo, perché quella era la natura più autentica. Negli ultimi anni, la malattia uccise lo showman, e, senza il suo doppio, l’uomo comune non potè andare avanti. Freddie si sentì vulnerabile e, scissa da quella dell’animale da palcoscenico, la sua vita non gli sembrò più stimolante.”
“Non gli sarebbe piaciuto invecchiare, uno dei motivi per cui non assunse un atteggiamento più combattivo una volta scoperto di avere l’AIDS. Da iperattivo aveva sempre bisogno di impegnarsi in qualcosa. Considerava il sonno un enorme spreco di tempo. Se non lavorava si dedicava al sesso, un’attività piacevole e divertente, da svolgere senza investirci le emozioni profonde che andavano invece incanalate verso la scrittura di nuovo materiale. L’amore di cui cantava apparteneva a un’altra dimensione e non so se lo sperimentò mai di persona.”
(da "Freddie Mercury - una biografia intima" di Peter Freestone e David Evans, Arcana 2009)
martedì 23 novembre 2010
Racism in the UK
Qui un rapido resoconto della vicenda e di seguito il video di indubbio cattivo gusto:
È evidente che gli inglesi si sentono in dovere di essere maniacalmente politically correct con chiunque e con qualunque cosa eccezion fatta per gli irlandesi. Per carità, certo, è una lunga storia: gli inglesi sono così abituati a vessare gli irlandesi che ancora non hanno perso l'abitudine, e del resto, si sa, la strada verso la civiltà è lunga e tortuosa. Ma, scorrettezza per scorrettezza, vorrei rammentare agli inglesi che non è il caso di fare troppo gli stronzi, visto che se Dublino piange, Londra certo non ride.
domenica 21 novembre 2010
Lost in the stars
È passata una settimana, ormai, ma ancora non riesco a distogliere lo sguardo dalle foglie brillanti che tempestano di colori il marciapiede che cinge fedelmente il perimetro dell’ospedale: sono stelle luminose - rosse e gialle - e hanno forme perfette, adunche come mani, e si poggiano al suolo rigide e pulite - non si lasciano piegare dalla pioggia - e lanciano al mondo un vibrante messaggio di bellezza.
Da una settimana non percorro quel marciapiede perché da una settimana mio padre è libero e non ha più bisogno di medici e ospedali; ma ancora il mio sguardo si ferma su quelle foglie, sul loro inesauribile canto di bellezza, ostinato come un’infantile carola natalizia in una notte di tormenta. Contemplo le mie foglie, il marciapiede nero luccicante di stelle, e poco altro mi interessa, per ora.
Un genitore è, nel bene e nel male, un formidabile antagonista. Quando il nostro antagonista abbandona la scena ci ritroviamo su un palco vuoto. Dobbiamo reinventarci la parte.
Come suggeriva efficacemente la mia amica D., un genitore è sempre, nel bene e nel male, un frangiflutti. Se il frangiflutti si sgretola, la marea arriva a lambire proprio noi, che non abbiamo più niente e nessuno dietro cui nasconderci. Ecco: si smette di essere figli e ci si ritrova in una stanza vuota, dinanzi ad uno specchio che ci rimanda gli stessi errori e difetti che abbiamo per tutta la vita puntigliosamente individuato e condannato nei nostri genitori-antagonisti. Smettiamo di essere figli e diventiamo a forza genitori di quei corpi indifesi ed espropriati dai quali cerchiamo di allontanare in ogni modo, con mille cure e tenerezze, il buio della fine.
Ci ritroviamo adulti, infine, con la chiara consapevolezza di non essere affatto migliori di chi ci ha preceduto: nel ruolo di mio padre, io non avrei fatto di meglio. Perciò, per il momento non so far altro che restare qui a contemplare l'inesauribile, radiosa vitalità delle foglie - stelle donate in una notte d'autunno ad un marciapiede bagnato. Ora che ho tutte le strade aperte, riesco solo a ripercorrere il perimetro fradicio e stellato dell'ospedale.
lunedì 15 novembre 2010
domenica 14 novembre 2010
sabato 13 novembre 2010
venerdì 12 novembre 2010
In the middle of nowhere
Da una settimana non preparo la cena. Mi sono quasi dimenticata come si fa a cucinare, ad avere una vita normale. Mi trovo ormai in quella fase in cui le vite normali degli altri mi sembrano così distanti e così irreali. Adesso le mie giornate sono scandite da altre necessità. Altre stanze, altre voci.
Curiosamente, in questo momento sono gli amici più lontani ad essermi più vicini. Banale ma verissimo, è in simili frangenti che gli individui hanno l'opportunità di rivelarsi per quello che sono davvero.
Preso atto con sollievo dell’inesorabile declino governativo, vado a reimmergermi nel tunnel delle necessità spicciole, dei corpi e delle anime imprigionati dalla malattia.
venerdì 5 novembre 2010
Famiglia e famiglia
Mio padre è in ospedale da ieri e ancora non è chiaro perché. Un’amica bolognese che non sentivo dalla scorsa primavera si fa viva inaspettatamente. Un’altra amica lontana mi scrive per avere mie notizie: mi pensava da giorni e non aveva il tempo di scrivere, va tutto bene?
La gatta, poco fa, quasi avesse percepito le vibrazioni negative emesse dalla mia notte insonne e agitata, non si è lasciata corrompere dai croccantini che il bluesman le ha versato nel ciotolino e, fatto insolito, ha preferito entrare in casa e acquattarsi in un angolo, docile come non mai, in una sorta di matura condivisione della mia angoscia; poi, quando le ho chiesto di uscire, ha eseguito all’istante senza fare storie.
Non ho dubbi sul fatto che esistano misteriose vie di comunicazioni tra creature affini, o meglio, creature che si sono avvicinate dai punti più disparati dell’universo sulla base di una sintonia profonda. Naturalmente tutto ciò non cambia la realtà delle cose, le cose della vita con le quali più o meno tutti ci troviamo a fare i conti; però tutto ciò costituisce la mia bussola interiore, ciò che mi permette di non smarrirmi nella malsana ragnatela della mia famiglia, o almeno di quel che ne resta.
Mio padre è in ospedale e avrà tutte le attenzioni del caso (e questo blog ne subirà le conseguenze). La mia vera famiglia però è altrove.
lunedì 1 novembre 2010
Jardins sous la pluie
Due giorni chiusa in casa, assediata dalla pioggia. Boschi impraticabili per il terzo fine settimana consecutivo, dunque ancora niente camminate. Nervosismo alle stelle. Ingovernabile pure la gatta. Un' anziana signora sconosciuta ha chiamato un paio di volte, oggi, chiedendo notizie di un tale che doveva portarle lo stipendio e che, perciò, lei attendeva con ansia: per caso io sapevo dirle se i supermercati erano ancora aperti? Per qualche minuto ho imbastito e sostenuto un dialogo dell'assurdo. La vecchiaia e la solitudine fanno di questi scherzi: chissà, mi son detta, forse un giorno toccherà anche a me chiamare degli sconosciuti per reagire alla disperazione. Del resto le notizie che arrivano dal mondo sono così orribili che fanno davvero presentire l'avvento di una qualche apocalisse.
Il caso Ruby da un certo punto di vista è uno spassoso diversivo: se non altro ha dirottato l'attenzione dei media dalla vicenda di Avetrana all'immondezzaio politico. Di Bobo Maroni, flagello della Lega, tetragono respingitore di migranti e clandestini, ora spudorato mentitore - "i rapporti mi confermano che in Questura si sono comportati applicando tutte le regole, le norme e le prassi: quindi nulla da eccepire" -, meglio non dire.
Lo scopo delle investigazioni
"Forse lo scopo delle investigazioni, vere o letterarie che siano, è proprio questo: trasformare emozioni, orrore e dolore in un enigma e poi risolverlo, per scacciare il male.
«Un libro giallo, - disse Raymond Chandler nel 1949, - è una tragedia a lieto fine».
Un detective di carta ci mette subito di fronte a un delitto e poi alla fine ci assolve da ogni complicità. Spazza via i sensi di colpa, l'incertezza, la presenza costante della morte."
(Kate Summerscale, post scriptum in "Omicidio a Road Hill House ovvero invenzione e rovina di un detective" , Einaudi 2008)
giovedì 28 ottobre 2010
Primo ghiaccio di stagione
Poco fa, mentre imprecavo contro il fiume di auto cui dovevo la precedenza, le dita ancora indolenzite dalla scrostatura dei finestrini – primo gelo di stagione –, si è affacciato all’improvviso un soffice cielo turchese, solcato da spumose, sottili strisce confetto. Adesso l’acero rubino ha qualcosa da raccontare al cielo che ha già perso il suo smalto. Pareva una fiaba. Non pare già più.
lunedì 25 ottobre 2010
Blues for Haiti
Lo so, sono la solita ritardataria: d'altra parte mi trovo a scoprire questo video in un momento in cui l'emergenza Haiti è di nuovo tristemente d'attualità. Uno sgangherato parterre de roi, tra insospettabili e irriconoscibili.
sabato 23 ottobre 2010
venerdì 22 ottobre 2010
Civiltà e progresso
Un'altra condanna a morte eseguita in Texas. La quarantatreesima negli Stati Uniti dall'inizio dell'anno. Negli Stati Uniti si continua a uccidere legalmente a ritmo sostenuto. In media un'esecuzione a settimana. Un dato abbastanza impressionante se si pensa che stiamo parlando di un Paese che si pone come faro guida della civiltà, della democrazia e del progresso. Non c'è bisogno di essere antiamericanisti per trovare in tutto questo un'incongruenza stridente.
giovedì 21 ottobre 2010
Dal fronte
I due post che mi si erano raggrumati in testa la settimana scorsa sono avvizziti per cause naturali. In tutto ciò il raffreddore ha avuto la sua parte, credo: un attacco violento, del genere che ha costellato la mia infanzia e che all’infanzia, appunto, speravo dovesse rimanere confinato. Ma all’infanzia, con particolare riferimento al tetro anno della prima elementare, posso ricondurre anche l’angoscia invincibile che mi opprime da giorni, avvelenando le mie giornate sin dal risveglio. Ci fu un tempo - quando avevo sei anni o giù di lì - in cui rinchiudermi nella mia stanzetta gelata a divorare fumetti e libri fino a tarda notte costituiva segnale di caparbia ribellione. L'esile reazione di una bimba all'incomprensibile angoscia che colava dai muri della casa genitoriale. Recentemente ho messo mano agli acquisti libreschi londinesi e il rimedio si è rivelato peggiore del male. Il libro di Iris Murdoch ha davvero fatto una brutta fine, nel senso che non solo l'ho mollato ben prima della metà - destino fin qui occorso solo all'insopportabile La torre di Babele di Antonia Byatt - ; gli ho addirittura negato ogni possibilità di riabilitarsi gettandolo nel mucchio della carta da riciclo: trasformato in tovagliolo o in scatola da scarpe sarà certo più utile all'umanità. Ora con Henry James va decisamente meglio - e vorrei ben vedere - ma sono lontanissima dall'individuare uno spiraglio al mio malessere.
C'è poi la rabbia, una rabbia sorda verso me stessa, una risacca mugghiante che corrode la mia pazienza e - chiaro sintomo di una feroce sindrome depressiva - anziché spronarmi al cambiamento, mi risospinge al largo, sempre più al largo, nell'isolamento dei colpevoli a rimuginare sui miei errori.
Poi c'è il risentimento. Verso gli imprenditori (li chiamano ancora così), i dirigenti (osano ancora definirsi così) che invece di investire, ideare, sperimentare, si limitano a segnare il passo, a far quadrare i conti vampirizzando i già anemici stipendi dei dipendenti, possibilmente gli stipendi delle operaie single con figlio a carico, possibilmente quelle un po' sempliciotte, per nulla graziose, del tutto incapaci di difendersi.
Stasera mi basterebbe essere un po' meno furibonda.
sabato 16 ottobre 2010
Al supermercato
Oggi ho notato che c'era una gran quantità di superalcolici in superofferta, tutti esposti in bella vista subito all'ingresso, opportunamente incastrati nello scaffale zeppo di frizzi e lazzi per Halloween. C'erano tutti quei meravigliosi cocktail in colori pastello - rosini, verdinipisellini, azzurrini - proprio accanto ai leccalecca a forma di teschio. Poco più avanti, subito prima dei formaggi, gran trionfo di liquidi trasparenti - gin e vodka - al 50%.
Poi tutti a chiedersi le ragioni dell'alcolismo giovanile.
All'ufficio postale
Affido all’impiegata la busta imbottita chiedendo una normale spedizione via posta prioritaria.
“Tariffa estero” osserva efficiente l’addetta leggendo l’indirizzo. Non faccio in tempo a confermare che subito mi sento chiedere: “E dove lo mandiamo questo pacchetto? In Inghilterra?”
“Ma veramente” provo a obiettare, perplessa “veramente c’è scritto Irlanda...”
“Appunto: legga qui” e orienta verso di me un monitor sul quale, da un menù a tendina, si è appena srotolato un breve elenco di nazioni europee: Gran Bretagna e Irlanda del Nord sono comprensibilmente accorpate nello stesso campo.
“Guardi, il mio pacchetto non va in Irlanda del Nord” provo a spiegare.
“Ah no? E dove va, scusi? Qui c’è scritto Irlanda.”
“Esatto, si tratta della Repubblica d’Irlanda.”
“Ah, sì? E dov’è? Avanti, mi dica dov’è, lo vede che anche qui non c’è?”
“Provi a cercare Eire” suggerisco continuando a non capire il problema.
“Non c’è, non c’è…” certifica l’impiegata sulla base di un’ulteriore consultazione del monitor.
“Ma è impossibile che in quell’elenco non ci sia l’Irlanda” obietto timidamente, considerando al contempo che non è certo la prima volta che mi trovo a inviare libri a Dublino.
“Va bene” concede l’altra pazientemente scocciata “cominciamo dall’inizio, va bene? Avanti, legga tutti i paesi a partire dalla A” e subito smanetta col mouse rendendo pressoché illeggibile la lista delle nazioni.
“Ferma lì!” ordino non appena intercetto la I “vada piano, per favore!”
“Oh, guarda c’è davvero...” fa lei con finta naturalezza, incassando la sconfitta.
“Sì sì l’Irlanda esiste” concedo io sollevata.
“E dove sarebbe?”
“Vicino all’Irlanda del Nord.”
“Ah ecco…Sì, che poi, diciamocelo, io potevo selezionare Grecia che tanto era lo stesso.”
“Sarebbe a dire, scusi?”
“Che il pacco arriva lo stesso, che tanto è sempre Europa, no? Non è che se seleziono Irlanda quello va per forza in Irlanda, capisce? Se seleziono Grecia quello mica va in Grecia, capisce? Quello che conta è qui, vede?” e mi mostra l’indirizzo, scritto a chiarissime lettere “Certo che se questo è sbagliato, beh, sono fatti suoi, capisce? Chiaro che il pacco non arriva…”
“Guardi, non ci provi nemmeno” minaccio digrignando un sorriso isterico “quel pacco DEVE arrivare a destinazione a Dublino.”
“Ci arriva, ci arriva, se l’indirizzo è giusto ci arriva, ma deve essere giusto l’indirizzo, ha capito?”
Così, tanto per dire, il pacchetto che ho affidato alla pazza conteneva la copia de L'inutile guida che mi è stata richiesta dall’Istituto Italiano di Cultura di Dublino. Così, tanto per dire in che mani è finito un pezzo del mio destino.mercoledì 13 ottobre 2010
Tombeau
Con notevole ritardo, apprendo dall'ultimo numero di Diapason che anche Alain Corneau ci ha lasciati. Considerato che esattamente due anni fa se ne andava Guillaume Depardieu, il duplice omaggio mi pare d'obbligo.
sabato 9 ottobre 2010
Noi ci saremo
venerdì 8 ottobre 2010
Solitude standing
Quando il cielo si spegne in un modesto grigiore e le tortore si aggrappano alle antenne e aspettano, aspettano il segnale – rosata e progressiva morte della luce –, ricorro al gioco antico del ricordo. L’infanzia – la mia, almeno – non ha contorni regolari, ma gode di orizzonti ristretti, un’ingenua fiducia. Un profumo caldo e dolce assorbe la malinconia, un rosa ardente zucchera il dolore, un libro illustrato accoglie, nasconde, ripara. Il mondo adulto è un tunnel sforacchiato: nell’insensata corsa, a nulla vale inalare il ricordo.
martedì 5 ottobre 2010
Un giorno qualunque
Trafelata salgo i gradini a due a due e agguanto in perfetto orario l'appuntamento dall'estetista. "Oh, scusa" dico saltando su come una molla dopo essermi seduta nel posto sbagliato. "Ho così tante cose per la testa" provo a giustificare la mia goffaggine "che a momenti dimentico anche dove sto di casa..." M. l'estetista se ne esce con un "ma che cosa è successo" che suona come un odiosissimo rimprovero. Vorrei risponderle con una degna volgarità ma mi limito a togliermi la giacca mentre i titoli delle ultime notizie lette di nascosto sul pc dell'ufficio mi scorrono ancora davanti agli occhi.
Quattrocento bambini morti in Nigeria per avvelenamento da piombo.
"È il lavoro a stressarti così tanto?" chiede ora M. l'estetista con sussiego, desiderosa di rifilarmi un "massaggio rilassante". Ci vuol altro che il massaggio, le direi se il trattamento cui mi sto sottoponendo non mi impedisse di aprire la bocca.
Sdraiata sul lettino ad occhi chiusi vedo le tre donne cinesi dentro l'auto bloccata dall'acqua nel sottopassaggio. Stavano andando al lavoro. Buio, acqua e terrore alle cinque di mattina. Per andare al lavoro. "Sì certo il lavoro..." dico semplicemente per dire qualcosa. La vergognosa verità che mi tengo stretta dentro il mio corpo supino è che il problema non è avere troppo lavoro ma averne troppo poco.
Chissà che impressione faccio a questa estetista che non mi conosce quasi per niente. Stravagante, trafelata e distratta. Vestita di nero, adagiata immobile su un doppio strato di asciugamano e cellophan. Nel frattempo c'è un fiume di fango rosso velenoso che sta corrodendo un villaggio ungherese. Nel frattempo abbiamo finito.
Scendo di corsa le scale e, da una porta scorrevole ad un'altra, mi trasferisco nel supermercatino accanto; dove, per quattro piccole buste di insalata, due piccoli pezzi di formaggio in superofferta e due detersivi per il pavimento in superofferta, spendo € 17,52.
A casa, la mia gatta ipernutrita e lagnosa non somiglia per niente al gatto terrorizzato della foto. Il bluesman intanto è tornato dal lavoro con una violentissima allergia: areazione carente, eccessiva circolazione di polveri, rinite e tosse garantite per la serata intera, se va bene. Cena monacale con pasta in bianco, verdure cotte e un paio di biscotti secchi al miele. Piombo, fango tossico, polveri, alluvioni.
Domani si ricomincia.
venerdì 1 ottobre 2010
Ottobre
L'autunno è una mano santa che mi si deposita sulla testa e placa all'istante le mie inquietudini. Tutte le energie vengono convogliate nell’esercizio quotidiano della sopravvivenza. L’ho già detto: scrivere richiede una buona dose di speranza.
Non posso fare a meno di registrare, da parte mia, il sempre crescente disinteresse nei confronti del web e la totale sfiducia nella mia capacità di comunicare; di pari passo va aumentando anche il mio disprezzo nei confronti del genere umano. Perfettamente in sintonia con il Lied proposto da Endimione, scelgo la solitudine e torno a riabbracciare la grande musica. A ciascuno il proprio bene rifugio.
Non posso fare a meno di registrare, da parte mia, il sempre crescente disinteresse nei confronti del web e la totale sfiducia nella mia capacità di comunicare; di pari passo va aumentando anche il mio disprezzo nei confronti del genere umano. Perfettamente in sintonia con il Lied proposto da Endimione, scelgo la solitudine e torno a riabbracciare la grande musica. A ciascuno il proprio bene rifugio.
domenica 26 settembre 2010
Piccoli editori in mostra al castello di Belgioioso
Gelida pioggia autunnale, acquitrini e risaie. Il castello di Belgioioso è il luogo più deprimente di tutta la Lombardia e la fiera della piccola editoria che vi si svolge ogni anno durante l'ultimo fine settimana di settembre è un evento stanco e privo di reale significato. Ieri mattina vagavo per le stanze semideserte del castello - 40 espositori in meno su 130 della scorsa edizione - con l'unico desiderio di scambiare le classiche parole di rito col mio editore e poi schizzare via da tutta quella tetraggine.
Non è così che si dà nuova linfa al mercato del libro. Non è così che fa convergere l'attenzione sul vero significato dello scrivere. Atrofia intellettuale e sonnolenza stagnavano ieri più che mai negli opprimenti saloni settecenteschi.
Me ne sono andata via rapida come un furfante, sentendomi in colpa per tutte quelle parole - montagne di parole - accatastate inutilmente e inutilmente esposte.
Il violento clima autunnale, nel frattempo, aveva restituito colore all'ammorbante campagna pavese.
Nei campi dove il frumento giaceva abbattuto dalla pioggia scintillava un'inedita marezzatura gialloverde.
giovedì 23 settembre 2010
An eye for an eye a tooth for a tooth
It began when they come took me from my home
And put me in Dead Row,
Of which I am nearly wholly innocent, you know.
And I'll say it again
I..am..not..afraid..to..die.
I began to warm and chill
To objects and their fields,
A ragged cup, a twisted mop
The face of Jesus in my soup
Those sinister dinner meals
The meal trolley's wicked wheels
A hooked bone rising from my food
All things either good or ungood.
And put me in Dead Row,
Of which I am nearly wholly innocent, you know.
And I'll say it again
I..am..not..afraid..to..die.
I began to warm and chill
To objects and their fields,
A ragged cup, a twisted mop
The face of Jesus in my soup
Those sinister dinner meals
The meal trolley's wicked wheels
A hooked bone rising from my food
All things either good or ungood.
mercoledì 22 settembre 2010
domenica 19 settembre 2010
Lezione di dignità
Santo cielo, è passata quasi una settimana e sui giornali irlandesi ancora se ne parla. Cos'è successo? Che il primo ministro Brian Cowen in occasione di una festicciola di partito ha alzato un po' il gomito, ha fatto il cretino permettendosi di fare il verso a un campione di golf (tale Philip Walton) e, tra un bicchiere e l'altro, ha tirato mattina, forse dimenticando che di lì a poche ore l'aspettava un'intervista radiofonica in diretta sul primo canale della rete nazionale. Com'è andata l'intervista? A quanto leggo è andata, vale a dire che Cowen tutto sommato se l'è cavata senza dire idiozie. La voce impastata di uno che è appena stato buttato giù dal letto, però, sembra l'abbiano notata tutti.
Benché Brian Cowen abbia chiesto pubblicamente scusa per il proprio comportamento irresponsabile - per sua stessa ammissione non confacente al ruolo di un primo ministro - la bagarre stenta a placarsi e la già precaria credibilità del governo sembra minata in modo irreversibile.
Perché racconto questa storiella? Perché, da italiana, trovo che tanta indignazione popolare nei confronti di un politico che si sciroppa una pinta in più sia così teneramente commovente da sembrare quasi buffa. Una notiziola da incorniciare, direi. Per non dimenticare che dignità popolare non è affatto un concetto astratto caduto in disuso.
Benché Brian Cowen abbia chiesto pubblicamente scusa per il proprio comportamento irresponsabile - per sua stessa ammissione non confacente al ruolo di un primo ministro - la bagarre stenta a placarsi e la già precaria credibilità del governo sembra minata in modo irreversibile.
Perché racconto questa storiella? Perché, da italiana, trovo che tanta indignazione popolare nei confronti di un politico che si sciroppa una pinta in più sia così teneramente commovente da sembrare quasi buffa. Una notiziola da incorniciare, direi. Per non dimenticare che dignità popolare non è affatto un concetto astratto caduto in disuso.
Foto: da sinistra Brian Cowen, Bertie Ahern (ex primo ministro) e Brian Lenihan (ministro delle finanze).
P.S. grazie a Eleonora per la foto.
P.S. grazie a Eleonora per la foto.
giovedì 16 settembre 2010
Il lettore di talento
"[...] se si pretende talento da un editore letterario o da uno scrittore, lo si deve pretendere anche dal lettore. Perché non ci si deve ingannare: il viaggio della lettura passa molte volte attraverso strade impervie che esigono la capacità di emozione intelligente, il desiderio di comprendere l'altro e di avvicinarsi a un linguaggio diverso da quello delle nostre tirannie quotidiane.[...] Le stesse capacità necessarie per scrivere, sono necessarie per leggere. Gli scrittori deludono i lettori, ma succede anche il contrario e i lettori deludono gli scrittori quando in loro cercano solo la conferma del fatto che il mondo è come lo vedono."
(Enrique Vila-Matas, Dublinesque, traduzione Elena Liverani, Feltrinelli)
(Enrique Vila-Matas, Dublinesque, traduzione Elena Liverani, Feltrinelli)
martedì 14 settembre 2010
Il bianco e il nero
Da qualche giorno sono ritornata al total black look. Come non accadeva da tempo. Come se ciò bastasse a ridurre la mia totale assenza di concentrazione.
Non si può negare però che qualche volta il nero aiuta: isola, semplifica, crea una barriera utile al contenimento del disordine mentale.
A ben pensarci è strano che io non sia riuscita a dire niente del concerto di John Cale. Come se si trattasse di una faccenda troppo privata. Come in effetti era.
White light white heat, mi viene da dire, senza alcuna pretesa di essere originale, perché è un inconsueto candore ad abbagliare il ricordo della serata.
La mia immaginazione da sabato è in silenzioso fermento. Come si sopravvive alla propria leggenda? Probabilmente nel modo più ovvio possibile, cioè cercando di dimenticare di essere una leggenda, ad esempio segnalando con un punto esclamativo su Myspace che il concerto è sold out.
E come ci si sottrae alla terribile responsabilità di aver definitivamente corroso il rock portandone la fine alle estreme conseguenze? Non ci si sottrae ad una simile consapevolezza. Ci si convive. Magari sottomettendosi all’implacabile rigore di un direttore d’orchestra o reclutando qualche mente geniale con cui sintonizzarsi per riattizzare le braci e mettere in ombra ogni possibile epigono. Chissà, forse in questi casi il bianco aiuta.
Non si può negare però che qualche volta il nero aiuta: isola, semplifica, crea una barriera utile al contenimento del disordine mentale.
A ben pensarci è strano che io non sia riuscita a dire niente del concerto di John Cale. Come se si trattasse di una faccenda troppo privata. Come in effetti era.
White light white heat, mi viene da dire, senza alcuna pretesa di essere originale, perché è un inconsueto candore ad abbagliare il ricordo della serata.
La mia immaginazione da sabato è in silenzioso fermento. Come si sopravvive alla propria leggenda? Probabilmente nel modo più ovvio possibile, cioè cercando di dimenticare di essere una leggenda, ad esempio segnalando con un punto esclamativo su Myspace che il concerto è sold out.
E come ci si sottrae alla terribile responsabilità di aver definitivamente corroso il rock portandone la fine alle estreme conseguenze? Non ci si sottrae ad una simile consapevolezza. Ci si convive. Magari sottomettendosi all’implacabile rigore di un direttore d’orchestra o reclutando qualche mente geniale con cui sintonizzarsi per riattizzare le braci e mettere in ombra ogni possibile epigono. Chissà, forse in questi casi il bianco aiuta.
venerdì 10 settembre 2010
Oltre la siepe
Il rigurgito estivo ha scatenato orde di insetti. Oltre la siepe, a intervalli regolari, vedo sollevarsi sciami turbolenti come di coriandoli, chicchi di riso gettati a una sposa. Un istante di quiete poi il turbine ricomincia a vorticare, folle e incontrollabile come una tempesta di neve. Il cielo è turchino e ogni foglia scintilla. Io sono più inquieta che mai e con nevrotica insistenza getto lo sguardo oltre la siepe; fiuto il cielo, l’aria, il destino. Splendore nell’erba e sciami rotanti. Come sono angusti i confini del mondo: possibile che io abbia già consumato tutte le prospettive? O non è piuttosto arrivato il momento di cambiare il punto di osservazione?
martedì 7 settembre 2010
Flash '80 al Maga di Gallarate: un'occasione sprecata
Considerato che l'ingresso al Maga di Gallarate costa poco meno dell'ingresso al Louvre, mi aspettavo, se non altro, di non essere accolta alla biglietteria da un paio di ragazze distratte, dedite al consueto smaneggio giovanile del cellulare. E da una mostra dedicata agli anni ’80 mi aspettavo evidentemente la rievocazione di un'epoca e della sua estetica.
In realtà, Flash ’80, più che alla mia giovinezza, mi ha rimandata all’infanzia, al tempo in cui facevo il gioco del negozio di scarpe racimolando tutte le calzature disponibili in casa: la scarsità del materiale esposto, peraltro poco rappresentativo, proveniente in gran parte da collezioni private, ha suggerito l’idea di un allestimento casalingo che non ha affatto centrato l’obiettivo. La prospettiva che il Maga offre degli anni ’80 risulta angusta e parziale, un'incongrua commistione fra intenti localistici e l'ambizione - ampiamente disattesa - di stimolare una riflessione globale.
Buona l’idea della proiezione ininterrotta di videoclip musicali, compendio di tendenze e stili a trecentosessanta gradi. Ma la sezione dedicata alla moda risulta spaventosamente brulla: in una sparuta rappresentanza di creazioni d’alta moda che potrebbero appartenere a qualsiasi epoca, grida vendetta la clamorosa assenza di un qualsiasi capo di Giorgio Armani.
Premesso che Armani non è lo stilista con cui più sono in sintonia, è innegabile che fu lui a tracciare le coordinate della moda di quegli anni, fu lui ad ammorbidire (i famosi jeans a vita alta e coscia larga tanto cari ai paninari), a destrutturare (le celebri giacche dalla linea sinuosa), a stondare e fluidificare le forme. Unico reperto interessante, una bella camicia bordeaux con collo a corolla firmata da Romeo Gigli, il cui minimalismo medievaleggiante, all'epoca, si opponeva ideologicamente al rampantismo armaniano.
La sezione dedicata alla musica, che avrebbe dovuto essere fondamentale, soffre purtroppo dei limiti imposti dal suo curatore, Paolo Carù, che ha semplicemente esposto i suoi dischi preferiti usciti negli anni ’80. Piaccia o non piaccia, se si vuole illustrare la produzione discografica del decennio, non si può fingere che Madonna e i Duran Duran non siano mai esistiti. Passi Tom Waits, passi Bruce Springsteen: ma cos’abbia a che vedere Jerry Garcia con gli anni ’80, per me resta un mistero. Secondo me, sul pannello tappezzato di vinili, un posticino per la musica elettronica bisognava trovarlo. Io magari avrei tolto John Mellencamp per far spazio ai B-52’s. E ovviamente mi sarei sentita in dovere di far saltar fuori un angolino per i Depeche Mode o i Cure, al di là della mia sensibilità in materia, semplicemente per la necessità di documentare un’epoca che produsse ex-novo generi musicali con caratteristiche peculiari. E comunque non mi sarei dimenticata di Michael Jackson. Un vero peccato, perché Carù, con la sua cultura musicale pressoché enciclopedica, avrebbe potuto dare un contributo davvero straordinario alla mostra.
Non essendo esperta di arti figurative e design mi astengo dal commentare la sezione dedicata: mi limito a dire che su di me non ha lasciato traccia alcuna, dunque è possibile che anche questa sezione sia stata allestita in modo poco incisivo.
Arriviamo al cinema. Avevo letto di omaggi a Cronenberg, Greenaway, Kieslowski. Può darsi, il punto è che quando sono arrivata io stavano proiettando Ginger e Fred di Fellini che onestamente non mi sembra un film simbolo degli anni'80. Credo che qualsiasi appassionato di cinema – non necessariamente un critico – avrebbe potuto ideare qualcosa di più rappresentativo.
Alla fine del percorso, la letteratura viene semplicemente condensata in un lungo elenco di libri usciti in quegli anni. Chi abbia stilato l’elenco non me lo ricordo più, mea culpa, ma non ho capito la necessità di citare tutti i libri di Tondelli. Non era davvero possibile fare una selezione, limitarsi a uno o due titoli?
Avrei voluto avere con me la macchina fotografica per poter ritrarre quell’elenco infinito, arido e agghiacciante come una lapide commemorativa di soldati caduti per la patria, e ragionarci sopra. Nella mia memoria, in questo momento, oltre ai pluricitati Tondelli e Busi, sopravvivono solo i nomi di Carlo Sgorlon e Daniele Del Giudice. Ah, già, dimenticavo: c’era anche Lara Cardella, con Volevo i pantaloni.
venerdì 3 settembre 2010
Mama Bea Tekielski
L'unico acquisto di rilievo fatto a Londra - da Intoxica, 231 Portobello Road - è una bellissima copia in vinile dell'opera prima di Mama Bea Tekielski.
Mi ero dimenticata di Mama Bea. E dire che l'avevo amata moltissimo ai tempi di Le Chaos, disco acquistato in occasione di un qualche festival dell'Unità - era ancora il tempo in cui si diceva festival - e rapidamente imparato a memoria. Adoravo la grinta di Mama Bea, la voce immensa dalle mille sfumature, il timbro roco, cosi' profondamente francese, che si apriva volentieri alla sperimentazione, ad un genere di avanguardia che non smetteva mai di rifarsi al rock e alla tradizione.
Je cherche un pays, album d'esordio del 1971, sembra essere l'unico lavoro di Mama Bea ad essere stato ristampato in cd. È il solito problema degli artisti troppo geniali per essere etichettati: ciò che appare inclassificabile viene semplicemente rimosso dagli scaffali dei negozi. Problema risolto alla radice.
Qui c'è la possibilità di farsi un'idea del disco, anche se la qualità audio non rende giustizia ad un lavoro eccellente ed estremamente raffinato per quanto riguarda sia la composizione che gli arrangiamenti: la più classica tradizione francese viene immersa in un sound tipicamente progressive (vedi l'abbondante ricorso al flauto) e su tutto spicca la personalità di Beatrice Tekielski, autrice e interprete singolarissima. Da riscoprire assolutamente.
Mi ero dimenticata di Mama Bea. E dire che l'avevo amata moltissimo ai tempi di Le Chaos, disco acquistato in occasione di un qualche festival dell'Unità - era ancora il tempo in cui si diceva festival - e rapidamente imparato a memoria. Adoravo la grinta di Mama Bea, la voce immensa dalle mille sfumature, il timbro roco, cosi' profondamente francese, che si apriva volentieri alla sperimentazione, ad un genere di avanguardia che non smetteva mai di rifarsi al rock e alla tradizione.
Je cherche un pays, album d'esordio del 1971, sembra essere l'unico lavoro di Mama Bea ad essere stato ristampato in cd. È il solito problema degli artisti troppo geniali per essere etichettati: ciò che appare inclassificabile viene semplicemente rimosso dagli scaffali dei negozi. Problema risolto alla radice.
Qui c'è la possibilità di farsi un'idea del disco, anche se la qualità audio non rende giustizia ad un lavoro eccellente ed estremamente raffinato per quanto riguarda sia la composizione che gli arrangiamenti: la più classica tradizione francese viene immersa in un sound tipicamente progressive (vedi l'abbondante ricorso al flauto) e su tutto spicca la personalità di Beatrice Tekielski, autrice e interprete singolarissima. Da riscoprire assolutamente.
mercoledì 1 settembre 2010
Settembre
Vegetazione rigogliosa, non il minimo accenno d’autunno e parecchi esempi di imbecillità umana. Così inizia il mese che più detesto, con profili smaglianti ed evidenti segni di declino.
Con saggio realismo, invece, gli uccelli hanno preso a darsi appuntamento sui cavi dell’alta tensione: stazionano a distanza regolare, estremamente sicuri di sé. Catene dentate, onde di filo spinato sembrano legare un traliccio all’altro. Un esercito che s’appresta a sgomberare con gran soddisfazione, si direbbe.
Ovunque è un tripudio d’estate apparente e cieli cristallini, ma il calendario dedicato a Vermeer offre una malinconica veduta di Delft. Inevitabile la grande abbondanza di giallo in primo piano.
“Qualsiasi colore tranne il giallo” raccomando ogni volta che faccio preparare i fiori per la tomba di mio fratello.
“Eh però, il giallo…” sospira il fiorista con rammarico “sapesse come risolve, il giallo…” aggiunge nella speranza di convertirmi.
A pensarci bene la mia è una presa di posizione bell’e buona, perché è vero che in generale il giallo mi provoca una sensazione quasi fisica di disagio, però trovo che le varianti più tenui possano rivelarsi estremamente eleganti, soprattutto se accostate al nero. E mi guardo bene dal dire al fiorista che sì, effettivamente, un po’ di giallo lo potrei anche tollerare, considerato che mio fratello era daltonico e si divertiva a farmi ridere come una pazza indicandomi un rosso smagliante per chiedermi se fosse blu.
La mia, in fondo, è un’ostinazione dura come un dolore, come un ricordo che si vuole difendere a tutti i costi.
Ma non c'è niente da fare: settembre per me è un mese giallo, di un giallo che non riesco a guardare senza stare male. Per questo spero sempre che passi in fretta.
Con saggio realismo, invece, gli uccelli hanno preso a darsi appuntamento sui cavi dell’alta tensione: stazionano a distanza regolare, estremamente sicuri di sé. Catene dentate, onde di filo spinato sembrano legare un traliccio all’altro. Un esercito che s’appresta a sgomberare con gran soddisfazione, si direbbe.
Ovunque è un tripudio d’estate apparente e cieli cristallini, ma il calendario dedicato a Vermeer offre una malinconica veduta di Delft. Inevitabile la grande abbondanza di giallo in primo piano.
“Qualsiasi colore tranne il giallo” raccomando ogni volta che faccio preparare i fiori per la tomba di mio fratello.
“Eh però, il giallo…” sospira il fiorista con rammarico “sapesse come risolve, il giallo…” aggiunge nella speranza di convertirmi.
A pensarci bene la mia è una presa di posizione bell’e buona, perché è vero che in generale il giallo mi provoca una sensazione quasi fisica di disagio, però trovo che le varianti più tenui possano rivelarsi estremamente eleganti, soprattutto se accostate al nero. E mi guardo bene dal dire al fiorista che sì, effettivamente, un po’ di giallo lo potrei anche tollerare, considerato che mio fratello era daltonico e si divertiva a farmi ridere come una pazza indicandomi un rosso smagliante per chiedermi se fosse blu.
La mia, in fondo, è un’ostinazione dura come un dolore, come un ricordo che si vuole difendere a tutti i costi.
Ma non c'è niente da fare: settembre per me è un mese giallo, di un giallo che non riesco a guardare senza stare male. Per questo spero sempre che passi in fretta.
lunedì 30 agosto 2010
Giacinto Scelsi: consigli per gli artisti
"Ed ora vorrei dare un consiglio a tutti gli artisti che abbiano talento. Il consiglio è questo: NON STUDIATE!
Contrariamente a quel che comunemente si crede, io penso fermamente che studino e debbano studiare coloro che talento non hanno, ma soltanto una certa predisposizione, giacché con lo studio applicato, coscienzioso, si può sempre arrivare ad essere buoni pianisti, buoni compositori, buoni artigiani della musica, però non già ottenere opere o risultati geniali: solo opere di alto artigianato, cioè cose rispettabili ed oneste. Ciò è possibile perché, infatti, che significa essere un compositore? «Comporre» significa: porre una cosa con un’altra, e ciò è proprio dell’artigiano più che del vero e grande artista. Quindi coloro che invece hanno un vero e proprio talento, indubitabile, spontaneo, coloro per i quali la creazione è una NECESSITÀ, questi non studino, giacché in realtà per loro questo NON è necessario. La creazione stessa – lo slancio creativo – produrrà e darà loro la forma, e nella maggior parte dei casi una forma nuova. Non è l’organo che crea la funzione, bensì la funzione che crea l’organo; e perciò anche il contenuto crea il linguaggio. Quindi, ripeto ancora una volta: se avete talento non studiate, perché ciò non può fare altro che opporre barriere ed impedire la vera creazione. Questa produrrà da se stessa la forma e il linguaggio nuovi. In altri tempi i conservatori e le scuole di belle arti erano e furono necessarie. Ora non più. Certo alcuni elementi-base sono ancora indispensabili, ma ben pochi. Altro è il lavoro che viene richiesto ora agli artisti, diverso e su di un altro piano."
Contrariamente a quel che comunemente si crede, io penso fermamente che studino e debbano studiare coloro che talento non hanno, ma soltanto una certa predisposizione, giacché con lo studio applicato, coscienzioso, si può sempre arrivare ad essere buoni pianisti, buoni compositori, buoni artigiani della musica, però non già ottenere opere o risultati geniali: solo opere di alto artigianato, cioè cose rispettabili ed oneste. Ciò è possibile perché, infatti, che significa essere un compositore? «Comporre» significa: porre una cosa con un’altra, e ciò è proprio dell’artigiano più che del vero e grande artista. Quindi coloro che invece hanno un vero e proprio talento, indubitabile, spontaneo, coloro per i quali la creazione è una NECESSITÀ, questi non studino, giacché in realtà per loro questo NON è necessario. La creazione stessa – lo slancio creativo – produrrà e darà loro la forma, e nella maggior parte dei casi una forma nuova. Non è l’organo che crea la funzione, bensì la funzione che crea l’organo; e perciò anche il contenuto crea il linguaggio. Quindi, ripeto ancora una volta: se avete talento non studiate, perché ciò non può fare altro che opporre barriere ed impedire la vera creazione. Questa produrrà da se stessa la forma e il linguaggio nuovi. In altri tempi i conservatori e le scuole di belle arti erano e furono necessarie. Ora non più. Certo alcuni elementi-base sono ancora indispensabili, ma ben pochi. Altro è il lavoro che viene richiesto ora agli artisti, diverso e su di un altro piano."
Wild is the wind
Chissà quando mi tornerà un po’ di entusiasmo, un po’ di fiducia (in me stessa, prima che nella vita); chissà quando la smetterò di trascinare i minuti come macigni, unica meta sigillare e relegare in archivio un’altra giornata di vuoto a perdere. Magari arriverà di nuovo il giorno in cui potrò finalmente fare a meno di fingere. Forse quando questo vento avrà smesso di inquietarmi, di strapazzare corolle celesti e rovesciarmi nel prato lo stendibiancheria carico di panni. Al momento, ho la testa percorsa solo da pulviscolo e schegge di foglie morte che si rincorrono all’impazzata.
venerdì 27 agosto 2010
Gli Ufo a Radio Padania
Oggi su Radio Padania si parlava di Ufo e alieni in genere. Un vero peccato che la trasmissione non sia disponibile in podcast perché le considerazioni del conduttore e dell'intervistato - rappresentante o forse titolare di questa casa editrice - brillavano di luce propria e io non sono in grado di rendere lo spessore di una conversazione che, in estrema sintesi, illustrava una teoria demonologica applicata agli Ufo. Il conduttore, dando prova di erudizione in materia di processi alle streghe, ha fatto notare che "al di là del fatto che le confessioni erano ottenute sotto tortura" - particolare del tutto insignificante -, le streghe ammettevano di passare attraverso le serrature, di involarsi in cielo, di scomparire e ricomparire con marchi di fuoco impressi sul corpo. Tutte esperienze, concludeva il conduttore, riconducibili alle attuali esperienze con gli alieni. Ma la ponderosa questione, che volentieri rigiro ai miei due lettori, è: forse gli antichi attribuivano ai demoni gli incontri con gli Ufo?, o siamo invece noi a definire semplicemente alieno ciò che di fatto è demoniaco?
Io dico: meno male che almeno l'organo d'informazione ufficiale della Lega Nord, partito che notoriamente ha il suo fondamento nei principi evangelici di carità e accoglienza, ci tiene desta la coscienza e ci guida e ci illumina sulla via della pace interiore, della spiritualità e del progresso.
Io dico: meno male che almeno l'organo d'informazione ufficiale della Lega Nord, partito che notoriamente ha il suo fondamento nei principi evangelici di carità e accoglienza, ci tiene desta la coscienza e ci guida e ci illumina sulla via della pace interiore, della spiritualità e del progresso.
martedì 24 agosto 2010
lunedì 23 agosto 2010
Non preoccupatevi
Tranquilli, non ho nessuna intenzione di diventare il nuovo Mauro Corona della situazione. Concedetemi però l'ultimo post bucolico della stagione, frutto dell'ultimo giorno di vacanza del bluesman. Per quanto strano possa sembrare, non ne posso più di queste faticosissime ferie forzate - ancora tutta questa settimana! - in cui praticamente nulla è andato come speravo. Non vedo l'ora di tornare al lavoro. Dico sul serio.
Comunque, per la cronaca, il porcino più piccino l'ho scovato io.
sabato 21 agosto 2010
Summer melancholia 2 - No future
Io ce la sto mettendo tutta per aggirare questa estenuante malinconia che non mi dà tregua da mesi, ma non c'è verso. Grattare via le incrostazioni tossiche da questo pigro scenario estivo.
Quanto a Londra, non solo non ha avuto la forza di scuotermi: mi ha addirittura assestato il colpo di grazia. Londra mi ha illustrato in modo inequivocabile il tipo di destino che l'umanità ha scelto di abbracciare. Si accetta ogni sorta di proiezione catastrofista.
Che strano: a Londra sono scomparse tutte le insegne "Tarots reading". Ai miei tempi, invece - negli anni '80 del secolo scorso, qualcuno mi ha fatto gentilmente e opportunamente notare - se ne vedevano in abbondanza. Spesso alla scritta si aggiungeva un qualche simbolo che fungeva anche da indicatore di direzione: bisognava inerpicarsi su per scomodi gradini scricchiolanti e percorrere incerti, tortuosi corridoi per poter incontrare chi ci avrebbe illustrato le linee guida del nostro futuro, chi ci avrebbe dato i consigli di cui avevamo così bisogno. Naturalmente si ridiscendeva in strada con le idee più confuse di prima, però l'illusione di aver dato una sbirciatina in un'altra dimensione restava. E non posso neanche dire che fosse un'illusione pericolosa, perché, tanto per cominciare, la si otteneva senza l'utilizzo di sostanze chimiche; inoltre, la vaghezza del responso scatenava la fantasia, apriva orizzonti infiniti. Era un'illusione propulsiva, insomma.
Oggi a Londra pare che nessuno sia molto interessato al proprio futuro. Forse il terrore di nuovi attentati costringe tutti a tenere gli occhi ben aperti sul presente. O forse una disperazione profonda - la consapevolezza di non avere alcun potere sulla propria esistenza, nessuna possibilità di controllo o di scelta - spinge alla narcosi di massa indotta dalla tecnologia.
I Sex Pistols avevano capito tutto.
venerdì 20 agosto 2010
Gita al lago
Lucerna è una cittadina graziosa, precisa e ordinata come solo una città svizzera può essere. Il lago, le radure erbose sullo sfondo, le antiche torri affilate, il lungo ponte di legno ornato di fiori: gli svizzeri sono riusciti a infilare nel panorama lucernese tutto quello che normalmente uno trova nei paesaggi delle fiabe. Perciò i giapponesi a Lucerna, quando non vengono scaricati in comitiva dentro una qualche gioielleria convenzionata, impazziscono a fotografare qualsiasi cosa, persino le aree di servizio autostradali.
Lucerna è una città in cui tutto, eccezion fatta per le scarpe, costa grosso modo il doppio che in Italia (peccato che, in materia di calzature, la mia sensibilità non coincida minimamente con quella elvetica): persino la fuffa cinese assume un aspetto più chic, a Lucerna.
Di tutte le glorie di cui può a buon diritto vantarsi la città, una in particolare suscita la mia sincera e incondizionata ammirazione: si tratta del complesso avveniristico che in pratica ingloba il KKL, la stazione ferroviaria e una serie di parcheggi sotterranei. Da buona italiana, resto incantata dinanzi all'attuazione di un progetto urbanistico che segue semplicemente un filo logico molto lineare: i parcheggi consentono l'accesso diretto alla stazione; uscendo in superficie ci si trova immediatamente nel centro città affacciato sul lago, a pochi passi dai numerosi eventi musicali e culturali offerti dal KKL; il quale, a sua volta, nonostante il rigore astratto che ne caratterizza l'architettura si inserisce nel contesto con estrema naturalezza.
In linea di massima è il KKL la ragione per cui mi capita di andare a Lucerna e anche quando - come nel caso del festival attualmente in corso - non posso permettermi di goderne l'acustica straordinaria (peraltro già sperimentata in passato), mi accontento di ammirare l'essenziale monumentalità dell'insieme. Mi siedo in riva al lago e osservo il viavai dei musicisti, gli strumenti in spalla, una babele di lingue, di incontri, di saluti. Oggi è il turno di Mahler e Schoenberg, ma un mese fa questo stesso luogo era sede di un festival rock. Intanto, a sfiorare la fontana sono individui d'ogni età e provenienza, mentre un cielo incerto di fine estate colora di verde il rettangolo d'acqua che congiunge idealmente il KKL al suo lago, anima e simbolo della sua città.
lunedì 16 agosto 2010
Cimiteri di Londra - Highgate
Quando ho visto le gramaglie imperlinate esposte nel micromuseo annesso al cimitero di Highgate, istantaneamente il mio pensiero è andato a Sugar, la protagonista di The crimson petal and the white; pensavo alla pagina indimenticabile che descrive la vestizione a lutto della prostituta-istitutrice, in procinto di recarsi, per la prima volta in vita sua, ad un funerale: quello della moglie del suo amante.
Credo che il cimitero di Highgate sia il punto della città che esprime la più alta concentrazione di spirito vittoriano. È il documento più autentico di quell'epoca, della sua estetica e delle sue contraddizioni. Sepolcri pagani, ornati di animali e corone d'alloro, anziché di simboli sacri. La sfarzosa rincorsa ad una moda esotica si traduce nell'Egyptian Avenue, in pratica un antro tanto lugubre e opprimente che Charles Dickens, dopo avervi sepolto la figlia, deciderà di trasferirne le spoglie in campo aperto, in un'area ben esposta alla luce.
Ipocrisia (ai suicidi, colpevoli di un atto illegale, veniva negata la sepoltura in terra consacrata); gusto del macabro e necrofilia (ho visto loculi dotati di finestrelle affinché la bara non fosse completamente celata al visitatore); idealizzazione della purezza (i gigli di pietra); anelito di redenzione (i celebri angeli); i nervi scoperti della sensibilità vittoriana si incrociano qui, in questo giardino muschioso, appassionatamente protetto da guardiani gelosi. Un patrimonio inestricabile di verità e leggenda.
Credo che l'anima autentica di Londra risieda al cimitero di Highgate. Ascoltando il racconto della leggendaria esumazione notturna di Lizzie Siddal, icona del preraffaelitismo; dinanzi alla modesta, fiorita sepoltura dell'ex spia sovietica avvelenata quattro anni or sono da un drink radioattivo; rievocando il sontuoso, bizzarro corteo funebre di Malcom McLaren giunto a Highgate solo pochi mesi fa, realizzo che è proprio qui, lungo tracce più o meno invisibili di questo burial ground che è disegnata la vera mappa della città, le coordinate della sua anima, il segreto che a lungo l'ha resa unica agli occhi del mondo.
Credo che il cimitero di Highgate sia il punto della città che esprime la più alta concentrazione di spirito vittoriano. È il documento più autentico di quell'epoca, della sua estetica e delle sue contraddizioni. Sepolcri pagani, ornati di animali e corone d'alloro, anziché di simboli sacri. La sfarzosa rincorsa ad una moda esotica si traduce nell'Egyptian Avenue, in pratica un antro tanto lugubre e opprimente che Charles Dickens, dopo avervi sepolto la figlia, deciderà di trasferirne le spoglie in campo aperto, in un'area ben esposta alla luce.
Ipocrisia (ai suicidi, colpevoli di un atto illegale, veniva negata la sepoltura in terra consacrata); gusto del macabro e necrofilia (ho visto loculi dotati di finestrelle affinché la bara non fosse completamente celata al visitatore); idealizzazione della purezza (i gigli di pietra); anelito di redenzione (i celebri angeli); i nervi scoperti della sensibilità vittoriana si incrociano qui, in questo giardino muschioso, appassionatamente protetto da guardiani gelosi. Un patrimonio inestricabile di verità e leggenda.
Credo che l'anima autentica di Londra risieda al cimitero di Highgate. Ascoltando il racconto della leggendaria esumazione notturna di Lizzie Siddal, icona del preraffaelitismo; dinanzi alla modesta, fiorita sepoltura dell'ex spia sovietica avvelenata quattro anni or sono da un drink radioattivo; rievocando il sontuoso, bizzarro corteo funebre di Malcom McLaren giunto a Highgate solo pochi mesi fa, realizzo che è proprio qui, lungo tracce più o meno invisibili di questo burial ground che è disegnata la vera mappa della città, le coordinate della sua anima, il segreto che a lungo l'ha resa unica agli occhi del mondo.
domenica 15 agosto 2010
Cimiteri di Londra - Bunhill Fields
Bunhill Fields è un rettangolo verde incastonato in un angolo anonimo e trafficato della città. Chi l'attraversa di buon passo tutti i giorni, valigetta in una mano, telefono nell'altra, certo non bada alla selva di lapidi settecentesche che fiorisce al di là dell'inferriata. Ben pochi tra quanti passano di qui per raggiungere o lasciare l'ufficio rivolgono un pensiero devoto a Daniel Defoe, William Blake o John Bunyan. È un angolo così tranquillo che qualcuno ne approfitta per fermarsi a sonnecchiare sotto le fronde, al riparo dal sole e dalla pioggia.
L'altro giorno, a Bunhill Fields un grazioso scoiattolo si dava un gran da fare su e giù per il sepolcro di John Bunyan: giocava a nascondino fra le tombe e le panchine. A un tratto il bluesman ha estratto una castagna dal portafoglio (sì, avete letto correttamente), si è chinato e ha fatto un verso di richiamo. Il roditore si è avvicinato in un baleno, con zampette avide ha afferrato la castagna e, facendola ruotare, l'ha esaminata scrupolosamente. Poi, assicurato il prezioso tesoro fra i dentini, ha roteato un rapido sguardo di saluto ed è balzato via.
"Posso chiederti perché te ne vai in giro con una castagna nel portafoglio?" ho chiesto al bluesman sulla via del ritorno.
"Può sempre tornare utile, una castagna" è stata la risposta "Hai visto che ho trovato qualcuno in grado di apprezzarla?" altre foto
sabato 14 agosto 2010
Londra città morta?
A Londra sono solo i businessmen incravattati - quelli che viaggiano sulla silenziosissima e iperprotetta Jubilee Line, per intenderci - a non avere le orecchie trafitte dalle cuffiette dell'i-pod. A Londra, leggere il giornale in metropolitana non usa più e se, come me, siete dotati solo di un banale telefono cellulare, uno di quegli aggeggi che servono solo a telefonare e non fanno né le fotografie né il caffè, allora siete individui inclassificabili: se proprio non potete fare a meno di esibire un oggetto così rudimentale, a parziale compensazione fate il favore di utilizzare - contemporaneamente, sia chiaro - una qualche specie di Blackberry, perché, diciamocelo francamente, a Londra, senza smartphone e senza i-pod non sei nessuno.
Non siate patetici, per favore: non andate a Londra a cercare dischi. HMV ormai è sinonimo solo di dvd e interi reparti di diavolerie tecnologiche. I negozi indipendenti, quelli che da qui immaginiamo stipati di rarità viniliche, sono pochi e fanno pena: hanno tutti gli stessi dischi. A Londra, new wave significa solo Cure/Banshees, naturalmente inglobati nello stesso scomparto. Inspiegabilmente troverete una quantità esagerata di dischi dei My Bloody Valentine, sempre gli stessi in tutti i negozi.
Fanatici di british fashion? In cerca di idee alternative? Rivolgetevi altrove, please. A Londra le idee sono morte. Londra è un unico, immenso mercato globale di fuffa cinese e indiana. Il prezzo, il prezzo: è questa la filosofia ispiratrice di tutti i marchi britannici, inclusi i più gloriosi e, un tempo, innovativi. Il risultato è che trovi la stessa roba dappertutto. Ovunque le solite camicie dal taglio inequivocabilmente indiano. C'è molta più roba made in UK qui in Italia che a Londra.
L'anima caraibica di Notting Hill e Ladbroke Grove, come un buffo costume d'altri tempi, verrà rispolverata tra un paio di settimane giusto per il carnevale, stanco rituale per turisti. Camden è solo uno squallido quartiere di locali pulsanti musica tecno. In alternativa, i soliti pub gravidi di schiamazzi e pinte di birra come in certe stampe del '600.
In cerca dei mitici negozi di carte, biglietti e cartoline speciali per ogni occasione? Anche in questo caso avete sbagliato direzione. Spiacenti, la fantasia è finita e il buon gusto scarseggia da tempo.
Non cercate idee, stimoli e novità a Londra. Accontentatevi, se ci riuscite, di ascoltare quel che resta dell'anima della città. Spingetevi a Kentish Town, se avete voglia di passare una serata a chiacchierare in un pub. Per sfuggire al fragore assordante del traffico, alle sirene lancinanti delle ambulanze (in media 1 ogni cinque minuti), non infilatevi le cuffiette dell'i-pod. Andate in periferia, piuttosto. Gli squarci di silenzio, i fiori, le boscaglie incolte, i cimiteri: sono queste le sole ragioni per cui può ancora avere un senso tornare a Londra.
lunedì 9 agosto 2010
Tre cose che lui non sa
Di sicuro lui non lo sa, figuriamoci se si ricorda. Io però posso dire con certezza che fu esattamente dieci anni fa che io e il bluesman uscimmo assieme per la prima volta. Roba da non credere. C'è da ancora da capire come abbia potuto reggere il fardello per tutto questo tempo. Come sia potuto uscirne indenne, nonostante tutte le mie fobie, manie, ossessioni, ipocondrie, meteoropatie, i miei ever changing moods, i miei spray germicidi disinfettanti, le pile pericolanti di libri, la velocità con cui faccio evaporare gli stipendi e la persistente incapacità di parcheggiare in retromarcia sul lato guida. Dieci anni di questa vita avrebbero logorato chiunque, ma lui, per il momento, almeno, resiste.
Un'altra cosa che il bluesman non sa e che sarebbe carino sapesse proprio oggi, è che ci sono giorni in cui mi sembra che le pareti della casa mi crollino addosso; ma basta che arrivi lui ed ogni cosa torna al suo posto, la realtà ritrova il suo assetto, la vita può continuare.
In ogni caso, io ho fatto il mio dovere affinché l'anniversario non scivolasse via inosservato: ho dato retta a uno di quegli impulsi insopprimibili della mia anima romantica e qualche settimana fa, in gran segreto, ho comperato online due biglietti per The phantom of the opera. Insomma, stasera porto il bluesman a teatro e devo ancora trovare il modo di dirglielo.
Un'altra cosa che il bluesman non sa e che sarebbe carino sapesse proprio oggi, è che ci sono giorni in cui mi sembra che le pareti della casa mi crollino addosso; ma basta che arrivi lui ed ogni cosa torna al suo posto, la realtà ritrova il suo assetto, la vita può continuare.
In ogni caso, io ho fatto il mio dovere affinché l'anniversario non scivolasse via inosservato: ho dato retta a uno di quegli impulsi insopprimibili della mia anima romantica e qualche settimana fa, in gran segreto, ho comperato online due biglietti per The phantom of the opera. Insomma, stasera porto il bluesman a teatro e devo ancora trovare il modo di dirglielo.
venerdì 6 agosto 2010
mercoledì 4 agosto 2010
London calling
Galeotto fu il libro di Luca Frazzi sui testi dei Clash e, ancor più galeotta, la riedizione celebrativa del trentennale di London calling che il bluesman mi regalò per Natale: confesso che la musica dei Clash mi è sempre passata accanto senza mai costituire la colonna sonora della mia vita. Ma London calling è un inno irresistibile. Più che un riff trascinante, London calling è un imperativo categorico.
L’ascolto dei Clash ha indubbiamente smosso le acque, e rispondere picche a certi vecchi ricordi assolati di Ladbroke Grove non sarebbe stato onesto. Così l’inverno scorso ho preso a pretesto un cambio sterlina/euro particolarmente favorevole e ho elaborato il piano.
L’altro giorno lui mi ha chiesto che effetto mi fa ritornare a Londra dopo quasi vent’anni. Mixed feelings è l’espressione più appropriata per la circostanza. È come rivedere un ex di cui non ti frega più niente, agli occhi del quale, però, non vuoi sfigurare.
Ritornare a Londra, al crocevia dei miei errori, è, in un certo senso, una resa: nei confronti di me stessa, dei miei limiti e di tutte le occasioni sprecate. Ogni tanto bisogna pur mettere un punto fermo, tracciare una riga, prendere atto del bilancio.
Sarà imbarazzante vedere come tutto è cambiato. Imbarazzante ma anche divertente, forse. Quel che è certo è che stavolta sono determinata a fare finalmente la turista - mi sono addirittura procurata una guida della città -, mansueta come un agnello in coda agli ingressi dei musei. E sono curiosa di vedere le reazioni del bluesman quando gli mostrerò i sottoscala (alla lettera) pulciosi (alla lettera) nei quali ho abitato.
Per il resto si vedrà. Il programma è denso, e benché io abbia pianificato tutto il pianificabile, mi dovrò arrendere alla forza dei luoghi e degli eventi (neanche mi stessi accingendo a esplorare la foresta amazzonica).
L’ascolto dei Clash ha indubbiamente smosso le acque, e rispondere picche a certi vecchi ricordi assolati di Ladbroke Grove non sarebbe stato onesto. Così l’inverno scorso ho preso a pretesto un cambio sterlina/euro particolarmente favorevole e ho elaborato il piano.
L’altro giorno lui mi ha chiesto che effetto mi fa ritornare a Londra dopo quasi vent’anni. Mixed feelings è l’espressione più appropriata per la circostanza. È come rivedere un ex di cui non ti frega più niente, agli occhi del quale, però, non vuoi sfigurare.
Ritornare a Londra, al crocevia dei miei errori, è, in un certo senso, una resa: nei confronti di me stessa, dei miei limiti e di tutte le occasioni sprecate. Ogni tanto bisogna pur mettere un punto fermo, tracciare una riga, prendere atto del bilancio.
Sarà imbarazzante vedere come tutto è cambiato. Imbarazzante ma anche divertente, forse. Quel che è certo è che stavolta sono determinata a fare finalmente la turista - mi sono addirittura procurata una guida della città -, mansueta come un agnello in coda agli ingressi dei musei. E sono curiosa di vedere le reazioni del bluesman quando gli mostrerò i sottoscala (alla lettera) pulciosi (alla lettera) nei quali ho abitato.
Per il resto si vedrà. Il programma è denso, e benché io abbia pianificato tutto il pianificabile, mi dovrò arrendere alla forza dei luoghi e degli eventi (neanche mi stessi accingendo a esplorare la foresta amazzonica).
Comunque, il fatto che i rubinetti dell’hotel siano dotati di miscelatore mi pare già di buon auspicio.
Adesso però devo tornare alle ansie spicciole da preparativi: qui c’è ancora da convincere il bluesman a portare con sé qualche maglioncino; c’è poi la gatta, agitatissima, da consolare; ma soprattutto devo ancora escogitare un sistema per chiudere le mie valigie (sì perché io viaggio con due valigie).
Adesso però devo tornare alle ansie spicciole da preparativi: qui c’è ancora da convincere il bluesman a portare con sé qualche maglioncino; c’è poi la gatta, agitatissima, da consolare; ma soprattutto devo ancora escogitare un sistema per chiudere le mie valigie (sì perché io viaggio con due valigie).
E i sandali, varrà la pena portare i sandali?
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