lunedì 30 agosto 2010

Giacinto Scelsi: consigli per gli artisti

"Ed ora vorrei dare un consiglio a tutti gli artisti che abbiano talento. Il consiglio è questo: NON STUDIATE!
Contrariamente a quel che comunemente si crede, io penso fermamente che studino e debbano studiare coloro che talento non hanno, ma soltanto una certa predisposizione, giacché con lo studio applicato, coscienzioso, si può sempre arrivare ad essere buoni pianisti, buoni compositori, buoni artigiani della musica, però non già ottenere opere o risultati geniali: solo opere di alto artigianato, cioè cose rispettabili ed oneste. Ciò è possibile perché, infatti, che significa essere un compositore? «Comporre» significa: porre una cosa con un’altra, e ciò è proprio dell’artigiano più che del vero e grande artista. Quindi coloro che invece hanno un vero e proprio talento, indubitabile, spontaneo, coloro per i quali la creazione è una NECESSITÀ, questi non studino, giacché in realtà per loro questo NON è necessario. La creazione stessa – lo slancio creativo – produrrà e darà loro la forma, e nella maggior parte dei casi una forma nuova. Non è l’organo che crea la funzione, bensì la funzione che crea l’organo; e perciò anche il contenuto crea il linguaggio. Quindi, ripeto ancora una volta: se avete talento non studiate, perché ciò non può fare altro che opporre barriere ed impedire la vera creazione. Questa produrrà da se stessa la forma e il linguaggio nuovi. In altri tempi i conservatori e le scuole di belle arti erano e furono necessarie. Ora non più. Certo alcuni elementi-base sono ancora indispensabili, ma ben pochi. Altro è il lavoro che viene richiesto ora agli artisti, diverso e su di un altro piano."

(Giacinto Scelsi, da Il sogno 101 , Quodlibet)

Wild is the wind

Chissà quando mi tornerà un po’ di entusiasmo, un po’ di fiducia (in me stessa, prima che nella vita); chissà quando la smetterò di trascinare i minuti come macigni, unica meta sigillare e relegare in archivio un’altra giornata di vuoto a perdere. Magari arriverà di nuovo il giorno in cui potrò finalmente fare a meno di fingere. Forse quando questo vento avrà smesso di inquietarmi, di strapazzare corolle celesti e rovesciarmi nel prato lo stendibiancheria carico di panni. Al momento, ho la testa percorsa solo da pulviscolo e schegge di foglie morte che si rincorrono all’impazzata.




venerdì 27 agosto 2010

Gli Ufo a Radio Padania

Oggi su Radio Padania si parlava di Ufo e alieni in genere. Un vero peccato che la trasmissione non sia disponibile in podcast perché le considerazioni del conduttore e dell'intervistato - rappresentante o forse titolare di questa casa editrice - brillavano di luce propria e io non sono in grado di rendere lo spessore di una conversazione che, in estrema sintesi, illustrava una teoria demonologica applicata agli Ufo. Il conduttore, dando prova di erudizione in materia di processi alle streghe, ha fatto notare che "al di là del fatto che le confessioni erano ottenute sotto tortura" - particolare del tutto insignificante -, le streghe ammettevano di passare attraverso le serrature, di involarsi in cielo, di scomparire e ricomparire con marchi di fuoco impressi sul corpo. Tutte esperienze, concludeva il conduttore, riconducibili alle attuali esperienze con gli alieni. Ma la ponderosa questione, che volentieri rigiro ai miei due lettori, è: forse gli antichi attribuivano ai demoni gli incontri con gli Ufo?, o siamo invece noi a definire semplicemente alieno ciò che di fatto è demoniaco?
Io dico: meno male che almeno l'organo d'informazione ufficiale della Lega Nord, partito che notoriamente ha il suo fondamento nei principi evangelici di carità e accoglienza, ci tiene desta la coscienza e ci guida e ci illumina sulla via della pace interiore, della spiritualità e del progresso.

martedì 24 agosto 2010

Preoccupatevi

C'era da aspettarselo. Sono piombata in uno dei miei periodi ferocemente autodistruttivi. Se non riemergo fra qualche settimana, preoccupatevi pure.

lunedì 23 agosto 2010

Non preoccupatevi


Tranquilli, non ho nessuna intenzione di diventare il nuovo Mauro Corona della situazione. Concedetemi però l'ultimo post bucolico della stagione, frutto dell'ultimo giorno di vacanza del bluesman. Per quanto strano possa sembrare, non ne posso più di queste faticosissime ferie forzate - ancora tutta questa settimana! - in cui praticamente nulla è andato come speravo. Non vedo l'ora di tornare al lavoro. Dico sul serio.
Comunque, per la cronaca, il porcino più piccino l'ho scovato io.

sabato 21 agosto 2010

Summer melancholia 2 - No future

Io ce la sto mettendo tutta per aggirare questa estenuante malinconia che non mi dà tregua da mesi, ma non c'è verso. Grattare via le incrostazioni tossiche da questo pigro scenario estivo.
Quanto a Londra, non solo non ha avuto la forza di scuotermi: mi ha addirittura assestato il colpo di grazia. Londra mi ha illustrato in modo inequivocabile il tipo di destino che l'umanità ha scelto di abbracciare. Si accetta ogni sorta di proiezione catastrofista.
Che strano: a Londra sono scomparse tutte le insegne "Tarots reading". Ai miei tempi, invece - negli anni '80 del secolo scorso, qualcuno mi ha fatto gentilmente e opportunamente notare - se ne vedevano in abbondanza. Spesso alla scritta si aggiungeva un qualche simbolo che fungeva anche da indicatore di direzione: bisognava inerpicarsi su per scomodi gradini scricchiolanti e percorrere incerti, tortuosi corridoi per poter incontrare chi ci avrebbe illustrato le linee guida del nostro futuro, chi ci avrebbe dato i consigli di cui avevamo così bisogno. Naturalmente si ridiscendeva in strada con le idee più confuse di prima, però l'illusione di aver dato una sbirciatina in un'altra dimensione restava. E non posso neanche dire che fosse un'illusione pericolosa, perché, tanto per cominciare, la si otteneva senza l'utilizzo di sostanze chimiche; inoltre, la vaghezza del responso scatenava la fantasia, apriva orizzonti infiniti. Era un'illusione propulsiva, insomma.
Oggi a Londra pare che nessuno sia molto interessato al proprio futuro. Forse il terrore di nuovi attentati costringe tutti a tenere gli occhi ben aperti sul presente. O forse una disperazione profonda - la consapevolezza di non avere alcun potere sulla propria esistenza, nessuna possibilità di controllo o di scelta - spinge alla narcosi di massa indotta dalla tecnologia.
I Sex Pistols avevano capito tutto.

venerdì 20 agosto 2010

Gita al lago


Lucerna è una cittadina graziosa, precisa e ordinata come solo una città svizzera può essere. Il lago, le radure erbose sullo sfondo, le antiche torri affilate, il lungo ponte di legno ornato di fiori: gli svizzeri sono riusciti a infilare nel panorama lucernese tutto quello che normalmente uno trova nei paesaggi delle fiabe. Perciò i giapponesi a Lucerna, quando non vengono scaricati in comitiva dentro una qualche gioielleria convenzionata, impazziscono a fotografare qualsiasi cosa, persino le aree di servizio autostradali.
Lucerna è una città in cui tutto, eccezion fatta per le scarpe, costa grosso modo il doppio che in Italia (peccato che, in materia di calzature, la mia sensibilità non coincida minimamente con quella elvetica): persino la fuffa cinese assume un aspetto più chic, a Lucerna.


Di tutte le glorie di cui può a buon diritto vantarsi la città, una in particolare suscita la mia sincera e incondizionata ammirazione: si tratta del complesso avveniristico che in pratica ingloba il
KKL, la stazione ferroviaria e una serie di parcheggi sotterranei. Da buona italiana, resto incantata dinanzi all'attuazione di un progetto urbanistico che segue semplicemente un filo logico molto lineare: i parcheggi consentono l'accesso diretto alla stazione; uscendo in superficie ci si trova immediatamente nel centro città affacciato sul lago, a pochi passi dai numerosi eventi musicali e culturali offerti dal KKL; il quale, a sua volta, nonostante il rigore astratto che ne caratterizza l'architettura si inserisce nel contesto con estrema naturalezza.
In linea di massima è il KKL la ragione per cui mi capita di andare a Lucerna e anche quando - come nel caso del festival attualmente in corso - non posso permettermi di goderne l'acustica straordinaria (peraltro già sperimentata in passato), mi accontento di ammirare l'essenziale monumentalità dell'insieme. Mi siedo in riva al lago e osservo il viavai dei musicisti, gli strumenti in spalla, una babele di lingue, di incontri, di saluti. Oggi è il turno di Mahler e Schoenberg, ma un mese fa questo stesso luogo era sede di un festival rock. Intanto, a sfiorare la fontana sono individui d'ogni età e provenienza, mentre un cielo incerto di fine estate colora di verde il rettangolo d'acqua che congiunge idealmente il KKL al suo lago, anima e simbolo della sua città.

lunedì 16 agosto 2010

Cimiteri di Londra - Highgate


Quando ho visto le gramaglie imperlinate esposte nel micromuseo annesso al cimitero di Highgate, istantaneamente il mio pensiero è andato a Sugar, la protagonista di The crimson petal and the white; pensavo alla pagina indimenticabile che descrive la vestizione a lutto della prostituta-istitutrice, in procinto di recarsi, per la prima volta in vita sua, ad un funerale: quello della moglie del suo amante.

Credo che il cimitero di Highgate sia il punto della città che esprime la più alta concentrazione di spirito vittoriano. È il documento più autentico di quell'epoca, della sua estetica e delle sue contraddizioni. Sepolcri pagani, ornati di animali e corone d'alloro, anziché di simboli sacri. La sfarzosa rincorsa ad una moda esotica si traduce nell'Egyptian Avenue, in pratica un antro tanto lugubre e opprimente che Charles Dickens, dopo avervi sepolto la figlia, deciderà di trasferirne le spoglie in campo aperto, in un'area ben esposta alla luce.

Ipocrisia (ai suicidi, colpevoli di un atto illegale, veniva negata la sepoltura in terra consacrata); gusto del macabro e necrofilia (ho visto loculi dotati di finestrelle affinché la bara non fosse completamente celata al visitatore); idealizzazione della purezza (i gigli di pietra); anelito di redenzione (i celebri angeli); i nervi scoperti della sensibilità vittoriana si incrociano qui, in questo giardino muschioso, appassionatamente protetto da guardiani gelosi. Un patrimonio inestricabile di verità e leggenda.
Credo che l'anima autentica di Londra risieda al cimitero di Highgate. Ascoltando il racconto della leggendaria esumazione notturna di
Lizzie Siddal, icona del preraffaelitismo; dinanzi alla modesta, fiorita sepoltura dell'ex spia sovietica avvelenata quattro anni or sono da un drink radioattivo; rievocando il sontuoso, bizzarro corteo funebre di Malcom McLaren giunto a Highgate solo pochi mesi fa, realizzo che è proprio qui, lungo tracce più o meno invisibili di questo burial ground che è disegnata la vera mappa della città, le coordinate della sua anima, il segreto che a lungo l'ha resa unica agli occhi del mondo.

domenica 15 agosto 2010

Cimiteri di Londra - Bunhill Fields

Bunhill Fields è un rettangolo verde incastonato in un angolo anonimo e trafficato della città. Chi l'attraversa di buon passo tutti i giorni, valigetta in una mano, telefono nell'altra, certo non bada alla selva di lapidi settecentesche che fiorisce al di là dell'inferriata. Ben pochi tra quanti passano di qui per raggiungere o lasciare l'ufficio rivolgono un pensiero devoto a Daniel Defoe, William Blake o John Bunyan. È un angolo così tranquillo che qualcuno ne approfitta per fermarsi a sonnecchiare sotto le fronde, al riparo dal sole e dalla pioggia.


L'altro giorno, a Bunhill Fields un grazioso scoiattolo si dava un gran da fare su e giù per il sepolcro di John Bunyan: giocava a nascondino fra le tombe e le panchine. A un tratto il bluesman ha estratto una castagna dal portafoglio (sì, avete letto correttamente), si è chinato e ha fatto un verso di richiamo. Il roditore si è avvicinato in un baleno, con zampette avide ha afferrato la castagna e, facendola ruotare, l'ha esaminata scrupolosamente. Poi, assicurato il prezioso tesoro fra i dentini, ha roteato un rapido sguardo di saluto ed è balzato via.
"Posso chiederti perché te ne vai in giro con una castagna nel portafoglio?" ho chiesto al bluesman sulla via del ritorno.
"Può sempre tornare utile, una castagna" è stata la risposta "Hai visto che ho trovato qualcuno in grado di apprezzarla?"

altre foto

sabato 14 agosto 2010

Londra città morta?


A Londra sono solo i businessmen incravattati - quelli che viaggiano sulla silenziosissima e iperprotetta Jubilee Line, per intenderci - a non avere le orecchie trafitte dalle cuffiette dell'i-pod. A Londra, leggere il giornale in metropolitana non usa più e se, come me, siete dotati solo di un banale telefono cellulare, uno di quegli aggeggi che servono solo a telefonare e non fanno né le fotografie né il caffè, allora siete individui inclassificabili: se proprio non potete fare a meno di esibire un oggetto così rudimentale, a parziale compensazione fate il favore di utilizzare - contemporaneamente, sia chiaro - una qualche specie di Blackberry, perché, diciamocelo francamente, a Londra, senza smartphone e senza i-pod non sei nessuno.
Non siate patetici, per favore: non andate a Londra a cercare dischi. HMV ormai è sinonimo solo di dvd e interi reparti di diavolerie tecnologiche. I negozi indipendenti, quelli che da qui immaginiamo stipati di rarità viniliche, sono pochi e fanno pena: hanno tutti gli stessi dischi. A Londra, new wave significa solo Cure/Banshees, naturalmente inglobati nello stesso scomparto. Inspiegabilmente troverete una quantità esagerata di dischi dei My Bloody Valentine, sempre gli stessi in tutti i negozi.

Fanatici di british fashion? In cerca di idee alternative? Rivolgetevi altrove, please. A Londra le idee sono morte. Londra è un unico, immenso mercato globale di fuffa cinese e indiana. Il prezzo, il prezzo: è questa la filosofia ispiratrice di tutti i marchi britannici, inclusi i più gloriosi e, un tempo, innovativi. Il risultato è che trovi la stessa roba dappertutto. Ovunque le solite camicie dal taglio inequivocabilmente indiano. C'è molta più roba made in UK qui in Italia che a Londra.
L'anima caraibica di Notting Hill e Ladbroke Grove, come un buffo costume d'altri tempi, verrà rispolverata tra un paio di settimane giusto per il carnevale, stanco rituale per turisti. Camden è solo uno squallido quartiere di locali pulsanti musica tecno. In alternativa, i soliti pub gravidi di schiamazzi e pinte di birra come in certe stampe del '600.
In cerca dei mitici negozi di carte, biglietti e cartoline speciali per ogni occasione? Anche in questo caso avete sbagliato direzione. Spiacenti, la fantasia è finita e il buon gusto scarseggia da tempo.
Non cercate idee, stimoli e novità a Londra. Accontentatevi, se ci riuscite, di ascoltare quel che resta dell'anima della città. Spingetevi a Kentish Town, se avete voglia di passare una serata a chiacchierare in un pub. Per sfuggire al fragore assordante del traffico, alle sirene lancinanti delle ambulanze (in media 1 ogni cinque minuti), non infilatevi le cuffiette dell'i-pod. Andate in periferia, piuttosto. Gli squarci di silenzio, i fiori, le boscaglie incolte, i cimiteri: sono queste le sole ragioni per cui può ancora avere un senso tornare a Londra.

lunedì 9 agosto 2010

Tre cose che lui non sa

Di sicuro lui non lo sa, figuriamoci se si ricorda. Io però posso dire con certezza che fu esattamente dieci anni fa che io e il bluesman uscimmo assieme per la prima volta. Roba da non credere. C'è da ancora da capire come abbia potuto reggere il fardello per tutto questo tempo. Come sia potuto uscirne indenne, nonostante tutte le mie fobie, manie, ossessioni, ipocondrie, meteoropatie, i miei ever changing moods, i miei spray germicidi disinfettanti, le pile pericolanti di libri, la velocità con cui faccio evaporare gli stipendi e la persistente incapacità di parcheggiare in retromarcia sul lato guida. Dieci anni di questa vita avrebbero logorato chiunque, ma lui, per il momento, almeno, resiste.

Un'altra cosa che il bluesman non sa e che sarebbe carino sapesse proprio oggi, è che ci sono giorni in cui mi sembra che le pareti della casa mi crollino addosso; ma basta che arrivi lui ed ogni cosa torna al suo posto, la realtà ritrova il suo assetto, la vita può continuare.

In ogni caso, io ho fatto il mio dovere affinché l'anniversario non scivolasse via inosservato: ho dato retta a uno di quegli impulsi insopprimibili della mia anima romantica e qualche settimana fa, in gran segreto, ho comperato online due biglietti per The phantom of the opera. Insomma, stasera porto il bluesman a teatro e devo ancora trovare il modo di dirglielo.

mercoledì 4 agosto 2010

London calling

Galeotto fu il libro di Luca Frazzi sui testi dei Clash e, ancor più galeotta, la riedizione celebrativa del trentennale di London calling che il bluesman mi regalò per Natale: confesso che la musica dei Clash mi è sempre passata accanto senza mai costituire la colonna sonora della mia vita. Ma London calling è un inno irresistibile. Più che un riff trascinante, London calling è un imperativo categorico.

L’ascolto dei Clash ha indubbiamente smosso le acque, e rispondere picche a certi vecchi ricordi assolati di Ladbroke Grove non sarebbe stato onesto. Così l’inverno scorso ho preso a pretesto un cambio sterlina/euro particolarmente favorevole e ho elaborato il piano.

L’altro giorno lui mi ha chiesto che effetto mi fa ritornare a Londra dopo quasi vent’anni. Mixed feelings è l’espressione più appropriata per la circostanza. È come rivedere un ex di cui non ti frega più niente, agli occhi del quale, però, non vuoi sfigurare.
Ritornare a Londra, al crocevia dei miei errori, è, in un certo senso, una resa: nei confronti di me stessa, dei miei limiti e di tutte le occasioni sprecate. Ogni tanto bisogna pur mettere un punto fermo, tracciare una riga, prendere atto del bilancio.

Sarà imbarazzante vedere come tutto è cambiato. Imbarazzante ma anche divertente, forse. Quel che è certo è che stavolta sono determinata a fare finalmente la turista - mi sono addirittura procurata una guida della città -, mansueta come un agnello in coda agli ingressi dei musei. E sono curiosa di vedere le reazioni del bluesman quando gli mostrerò i sottoscala (alla lettera) pulciosi (alla lettera) nei quali ho abitato.
Per il resto si vedrà. Il programma è denso, e benché io abbia pianificato tutto il pianificabile, mi dovrò arrendere alla forza dei luoghi e degli eventi (neanche mi stessi accingendo a esplorare la foresta amazzonica).
Comunque, il fatto che i rubinetti dell’hotel siano dotati di miscelatore mi pare già di buon auspicio.

Adesso però devo tornare alle ansie spicciole da preparativi: qui c’è ancora da convincere il bluesman a portare con sé qualche maglioncino; c’è poi la gatta, agitatissima, da consolare; ma soprattutto devo ancora escogitare un sistema per chiudere le mie valigie (sì perché io viaggio con due valigie).
E i sandali, varrà la pena portare i sandali?

domenica 1 agosto 2010

Agosto