domenica 28 febbraio 2010

Se esiste nell'universo qualche piano

"ll venerdì 20 luglio 1714, a mezzogiorno, il più bel ponte di tutto il Perù si spezzò, precipitando cinque viaggiatori nell’abisso sottostante. Questo ponte si trovava sulla strada maestra fra Lima e Cuzco, e centinaia di persone lo attraversavano ogni giorno; era stato intessuto di giunchi dagli Incas, più di un secolo prima, e chi veniva a visitare la città era sempre condotto a vederlo. Era formato da una pura e semplice scala di lamine sottili, sospesa sul precipizio, con balaustre di liane secche. I cavalli, i cocchi, le portantine erano obbligate a scendere più di cento metri al di sotto del ponte, per attraversare su zattere l’angusto torrente; ma nessuno, neppure il viceré o l’arcivescovo di Lima, preferiva scendere con i bagagli anziché passare sul famoso ponte di San Luis Rey. San Luigi di Francia in persona lo proteggeva, col nome e con la chiesetta di argilla posta sull’altra sponda. Quel ponte sembrava far parte delle cose che durano in eterno; non era pensabile che si spezzasse. Ogni peruviano, appena ricevuta la notizia della disgrazia, si fece il segno della croce e mentalmente calcolò: quanto tempo prima lo aveva attraversato per l’ultima volta, fra quanto tempo aveva avuto in animo di attraversarlo. La gente si aggirava come rapita in estasi, borbottando fra sé, presa dall’allucinazione di vedersi precipitare nell’abisso.
In Duomo fu celebrata una grande funzione. I resti delle vittime erano stati raccolti, più o meno, e divisi approssimativamente gli uni dagli altri. Nella bella città di Lima, quel giorno tutti guardarono nel proprio cuore: le domestiche restituirono alle padrone i braccialetti rubati, gli usurai tentarono irose difese dell’usura di fronte alle mogli. Strano, tuttavia, che l’avvenimento commovesse tanto i limensi, in un paese ove quelle catastrofi che gli avvocati chiamavano, con sorprendente disinvoltura, “atti di Dio”, sono singolarmente frequenti. Là i maremoti continuamente spazzavano città, terremoti si scatenavano ogni settimana, torri crollavano ogni momento addosso a brava gente. Epidemie vi serpeggiavano sempre da una provincia all’altra, la vecchiaia portava via i più ammirevoli cittadini. Ecco perché fu davvero sorprendente che i peruviani restassero tanto turbati dal crollo del ponte di San Luis Rey.
Ma se tutti rimasero profondamente impressionati, un uomo solo seppe far qualche cosa, e questi fu frate Ginepro. Per una serie di coincidenze tanto straordinarie da far quasi sospettare la presenza di un’intenzione, accadde che questo fraticello di pelo rosso, nativo dell’Italia Settentrionale si trovasse appunto nel Perù, intento a convertire gli indiani e fosse testimone della disgrazia.
Era un meriggio assai caldo, quel meriggio fatale, e frate Ginepro, spuntando da dietro la collina, si fermò per asciugarsi la fronte, contemplare la cortina di picchi nevosi in lontananza, e affondare con lo sguardo nella gola che si apriva sotto di lui, ricolma delle piume oscure di alberi verdi, piena di uccelli verdi, attraversata dalla sua passerella di vimini. Frate Ginepro era lieto: le cose non andavano male. […] Comunque fosse, era in pace. Poi il suo sguardo cadde sul ponte. In quel momento un rumore vibrante empì l’aria, come quando la corda di uno strumento musicale si spezza in una stanza abbandonata, ed egli vide il ponte dividersi e scagliare nella valle sottostante cinque formiche gesticolanti.
Qualunque altra persona avrebbe detto fra sé, con gioia segreta: “Fra dieci minuti anch’io!...”. Ma il pensiero che colpì frate Ginepro fu un altro: “Perché è toccata a quei cinque?”. Se esiste nell’universo qualche piano, se nella vita umana v’è un disegno, certo lo si può scoprire, misteriosamente latente, in quelle vite così improvvisamente troncate. O noi siamo vivi per caso, e per caso moriamo, o viviamo secondo un piano, e secondo un piano moriamo. In quell’istante frate Ginepro prese la risoluzione di investigare la vita segreta delle cinque persone che precipitavano per l’aria, di sorprendere il motivo della loro morte."

(Thornton Wilder, Il ponte di San Luis Rey, traduzione di Lauro De Bosis, Mondadori)

giovedì 25 febbraio 2010

Il tè delle cinque


Sabato 6 Marzo alle 17.00
a Monza presso Lettori Golosi in via Segantini 4
Conversazione su L'inutile guida

Non una vera e propria presentazione, dunque (non credo proprio che ce ne sarà bisogno). Piuttosto una conversazione tra amici. Tanto più che Monica di Lettori Golosi non dà mai inizio ad una qualche attività presso il suo negozio se prima non ha offerto almeno una tazza di freshly made tea, e magari anche un biscottino, a tutti i presenti.

martedì 23 febbraio 2010

Rassegna stampa di febbraio

Sinteticamente e con un po' di ritardo segnalo:

su Buscadero un'interessantissima intervista di Paolo Carù a
Natalie Merchant in occasione dell'imminente uscita del suo nuovo album

su Rockerilla altre due preziose interviste: a
Riccardo Zappa e a Franco Fabbri

Rumore non l'ho ancora letto per bene ma non mi sono sfuggite alcune lapidarie sentenze di Luca Frazzi tipo:
"È ufficiale: non sopporto (più) la musica moderna"

E qua e là racimolo pure tristi notizie: su tutte il suicidio di
Vic Chesnutt, la morte per cancro di Kate McGarrigle e della troppo giovane Lhasa de Sela che ho conosciuto - tardi, purtroppo - grazie a questo post.

Minaccia di primavera

Sono uscita di casa con un nido di uccelli in testa, una ciocca che sprizzava di lato come un’ala stecchita. Mille volte ho annusato il cielo per indovinarne le intenzioni, trovando ogni pur breve slargo d’azzurro irritante come una canzone dei Beatles. Sotto queste nubi mi sento protetta.

domenica 21 febbraio 2010

If I were a dead leaf

"Fossi una foglia appassita che tu potessi portare;
Fossi una rapida nuvola per inseguire il tuo volo;
Un'onda palpitante alla tua forza, e potessi

Condividere tutto l'impulso della tua potenza,
Soltanto meno libero di te, oh tu che sei incontrollabile!
Potessi essere almeno com'ero nell'infanzia, compagno

Dei tuoi vagabondaggi alti nei cieli, come quando
Superare il tuo rapido passo celeste
Sembrava appena un sogno; non mi rivolgerei

A te con questa preghiera nella mia dolente
Necessità. Ti prego, levami come un'onda, come
Una foglia o una nuvola. Cado

Sopra le spine della vita e sanguino! Un grave
Peso di ore ha incatenato, incurvato
Uno a te troppo simile: indomito, veloce ed orgoglioso."

(tratto da "Ode to the west wind" di P.B.Shelley, traduzione di Franco Buffoni)

sabato 20 febbraio 2010

In un periodo in cui si fa un gran parlare di gatti...



...la mia Matilde ha deciso che non era il caso di farsi rubare la scena e così ieri ha pensato bene di darci il buongiorno con una colata di bava rossastra, uno sguardo attonito e la lingua sporgente. Adesso ci scherzo anche sopra, ma son cose che, lì per lì, hanno il potere di minare il mio già precario equilibrio psicofisico.

Dal veterinario è stata sottoposta a reidratazione tramite flebo, iniezione di una potente dose di antibiotico e... estrazione di un dente, accompagnata da acuto gemito felino.
A casa non si è mossa dall'angolino accanto al termosifone: ha trascorso la sera e la notte inebetita dal dolore e dai farmaci, un lento filo di bava che colava di tanto in tanto sullo straccio. C'è bisogno di dire che stanotte non ho dormito quasi niente?
Comunque oggi va meglio. Adesso il problema è l'antibiotico per via orale. Sembra però che la compressa, se accuratamente nascosta in un involtino di sottiletta, non abbia un sapore tanto sgradevole.

giovedì 18 febbraio 2010

Ancora su Berlino: Pedro

La prima volta che andammo da Pedro eravamo ancora piuttosto inesperti della città e non potevamo certo sospettare che l’attribuzione dei numeri civici a Berlino segue spesso una (non)logica assai bizzarra; perciò la ricerca del negozio si rivelò piuttosto avventurosa e solo dopo alcuni chilometri scarpinati a vuoto in un quartiere del tutto anonimo ci riuscì di scovare l’insegna che designava la nostra meta. Era una bella giornata d'agosto e sul marciapiede all’esterno del negozio stazionavano due sedie a sdraio, una delle quali occupata da una signora di mezza età che sorseggiava caffelatte conversando con un tizio stravagante, un uomo presumibilmente sulla cinquantina, asciutto e allampanato, intento a carteggiare un vecchio cassetto di legno.
Messo piede all’interno, la prima cosa che pensai fu che non avevo mai visto un negozio tanto sporco: i tappeti erano inguardabili, ingrigiti dalla polvere e ingombri di foglie secche. Il negozio – un buco – era prevedibilmente stipato di vinili che ricoprivano le pareti fino al soffitto. In un angolo, un divanetto che solo a guardarlo sentivo prurito in tutto il corpo.

Il tipo stravagante, che indovinai essere il titolare, entrò in cerca del suo panino al formaggio, depositato in uno scaffale accanto a un vecchio monitor. Mi si rivolse in tedesco e io gli risposi in inglese. In inglese mi assicurò che anche lui non sapeva una parola di tedesco e a quel punto io sperai ardentemente che il Bluesman, già immerso nell’ispezione delle pareti fitte di dischi, infilasse immediatamente la porta. Figurarsi. Un attimo dopo, immemore della sottoscritta, era già in cima a una scala traballante, la testa che sfiorava un lampadario di cartone grondante ragnatele, a rovistare nel reparto blues accuratamente diviso in due sezioni: blues bianco e blues nero. Se solo la scala, col mio uomo appollaiato in cima, non avesse ostruito il passaggio, io mi sarei fiondata immediatamente all’esterno. Invece mi toccò reggere la conversazione con Pedro che, dopo i consueti convenevoli - Italia, lago di Como, Svizzera bla bla bla - si scusò per il disordine che regnava nel minuscolo locale spiegando che era solito pulire il negozio durante i lunghi mesi invernali; non aveva senso sprecare le belle giornate estive facendo le pulizie: preferiva sedere all’aperto a godersi il sole. “Se verrai in inverno” concluse “troverai il negozio in perfetto ordine”.
L’unica cosa che davvero era in perfetto ordine, notai, erano i dischi: come nuovi, senza un graffio, rigorosamente catalogati e, incredibile ma vero, senza un granello di polvere. Il che ci convinse a ritornare da Pedro l’estate successiva e poi ancora la settimana scorsa. Non ho più visto foglie secche accumulate negli angoli ma certo i tappeti hanno la consueta aria polverosa. Nello scaffale accanto al computer c’è sempre un panino con formaggio e lattuga e un gigantesco thermos che tiene in caldo il caffelatte.

Di fatto, quello di Pedro è, nel suo genere, forse il negozio più famoso di Berlino. Pedro – che in realtà ha settant’anni e ovviamente si chiama Peter, ma vuoi mettere come suona più esotico Pedro – è ormai un fuoriclasse. Ha pubblicato un libro zeppo di aneddoti e curiosità discografiche, recentemente ha partecipato ad un programma televisivo in quanto considerato unanimemente un’autorità in materia di collezionismo discografico. Non partecipa alle fiere di settore che si svolgono in città perché, spiega, alla fine ci ritrovi sempre le stesse persone e gli stessi dischi. Sospira rassegnato quando mi racconta di quanti si rivolgono a lui convinti di monetizzare certe vecchie collezioni ereditate che, di fatto, non avranno mai alcun mercato. Mi spiega quanto sia difficile far capire alla gente che un disco non ha valore solo perché è vecchio. Poi allarga le braccia: “It’s my job”, dice ritornando a restaurare una copertina di un disco degli anni ’50 che suona ancora in modo strepitoso.

Infine Pedro mi confida che sta scrivendo un nuovo libro. Non un libro tecnico, stavolta: si tratta di un romanzo, in un certo senso, o piuttosto è il tentativo di capire cosa sia stato veramente di Gesù Cristo dopo la sua morte. Perché Pedro non è convintissimo che dopo tre giorni Gesù sia risorto. Lui trova più realistico pensare che sia stato messo in salvo dagli amici e che abbia continuato a vivere sotto mentite spoglie. Quando mi permetto di contraddirlo circa la folgorazione di Paolo di Tarso, lui insiste nel sostenere la sua bizzarra teoria secondo la quale fu proprio Gesù Cristo a comparire sulla via di Damasco all’ebreo complice dei romani invasori. “Con questo libro mi sono messo in un vicolo cieco” mi confida alla fine. “Sono ad un punto in cui non so più come procedere. It’s a hard job, writing, isn’t it?”
È decisamente una faccenda piuttosto complicata la scrittura, caro Pedro. Meglio concentrarsi sui vinili. La mia integrale di Stockhausen ha ancora diverse lacune e il Bluesman è sempre in cerca di quei tremendi documenti gracchianti di blues arcaico. Contiamo su di te.

lunedì 15 febbraio 2010

Berlino: il silenzio e la neve

Il ritorno in patria mi provoca un disgusto ogni volta maggiore. Questa mattina, poi, è bastato rimettere piede in ufficio perché la prospettiva berlinese si allontanasse sempre più, lenta e inesorabile come i blocchi di ghiaccio lungo la Sprea.
Il silenzio lunare nel Nikolaiviertel, i pupazzi di neve blu accanto al duomo, l’antro della Marienkirche come un buco nero dentro il gelo siderale: è tutto così lontano ormai da questa insulsa logica “del fare” o, peggio, del vivere per procura attraverso il pc. Così lontano che non ha quasi senso parlarne. Oggi nessuna comunicazione possibile tra me e i rappresentanti del genere umano con cui ho a che fare.


Un tempo viaggiare mi ricaricava, mi offriva nuovi stimoli: oggi serve solo ad appiattire ancora di più il mio quotidiano contro uno scenario vivido che non mi appartiene. Per questo sabato mi sono lasciata trascinare per la città come un macigno, appesantita dalla malinconia: presentivo già il ritorno, l’aspro atterraggio sul mio pianeta sterile.

Per farmi scudo contro il niente prossimo venturo, a Berlino mi sono imbottita di acquisti da Dussmann (Io: “Scusa, ma dove li mettiamo tutti questi cd?” Bluesman: “In valigia”. Io: “Intendevo dire a casa. Dove li mettiamo a casa?” Bluesman: “Da qualche parte”) dove ho anche avuto modo di rimpolpare la mia collezione di biglietti augurali di
Roger La Borde.
Quanto ai libri, il mio tedesco è ancora troppo approssimativo per permettermi di farne incetta, dunque anche la voluminosa biografia di Stefan George su cui pure avevo messo gli occhi è rimasta al suo posto nello scaffale.
Come d’abitudine abbiamo vagabondato per negozi di vinili, zigzagando da una parte all'altra della città e scovando anche qualche chicca (altro Stockhausen e incredibilmente gli Specimen).

Il ghiaccio sui marciapiedi, la temperatura costantemente sotto zero, i fiocchi gelati che sono caduti senza sosta da giovedì pomeriggio a sabato notte, hanno solo rallentato ma non certo sventato i nostri propositi.
Perciò, in uno strano silenzio ovattato, circondati da un biancore abbagliante che inondava le finestre, abbiamo visitato il Kunstgewerbemuseum (museo delle arti decorative): reliquiari, scettri, corone, cassapanche e certi smalti francesi da perderci la testa.



Il giorno seguente al Musikinstrument Museum ho potuto finalmente togliermi ogni curiosità circa la misteriosa tromba marina di vivaldiana memoria:



Visto e ascoltato il prodigioso
organo Wurlitzer



oltre ad una quantità di strumenti insoliti, dalle più bizzarre ghironde ai primi prodotti della sperimentazione elettroacustica.

Sperimentata anche la frenesia da Berlinale in zona Potsdamer Platz (impossibile procurarsi un qualsiasi biglietto per un qualsiasi film) e in zona Gendarmenmarkt, con folle di ragazze assiepate all'uscita dell'Hotel Regent, in attesa del divo o della diva di turno. Strepitosa la proiezione di Metropolis alla Porta di Brandeburgo la sera di venerdì: temperatura ampiamente sotto lo zero, caffè bollente a fiumi, coperte. Emozionante.
C'è stato però soprattutto il tempo di godere i silenzi della città innevata. Le sue malinconie e le sue dolcezze. Nel piccolo caffè sulla Sprea frequentato solo da autoctoni la ragazza che serviva ai tavoli ci ha riconosciuti. Dopo sei mesi si ricordava ancora di noi. Strudel di mele, cioccolata bollente, una pioggia di coriandoli la sera di carnevale. E fuori le barche addormentate dentro il ghiaccio.

altre foto

domenica 14 febbraio 2010

Winterreise

Mein Herz sieht an dem Himmel
Gemalt sein eig'nes Bild-
Es ist nichts als der Winter,
Der Winter, kalt und wild!

(W. Müller, Der stürmische Morgen in Die Winterreise di Franz Schubert)

mercoledì 10 febbraio 2010

Via di qui (unterwegs nach Berlin)

Sto cercando di contenere il caos che precede ogni partenza, ma con scarsi risultati. La gatta ha già intuito tutto e si aggira diffidente per casa annusando zaini e scarpe: ogni particolare fuori posto minaccia il suo piccolo equilibrio, è il sintomo della sua prossima solitudine.

Pare che lassù troveremo il gelo, che a Berlino si viaggi costantemente sotto zero. Va bene lo stesso. Per il momento quel che conta è mettere un bel po’ di chilometri fra me e la vita che sono costretta a vivere.

lunedì 8 febbraio 2010

Via da Gormenghast



Se ne parlava giusto un paio di giorni fa e finalmente, a circa trent'anni di distanza dalla pubblicazione del primo capitolo della saga, ecco il terzo volume della Trilogia di Gormenghast.

E c'è da credere che il 2011, anno in cui si celebrerà il centenario della nascita di Peake, ci riserverà qualche sorpresa. Pare infatti che la vedova di Peake intendesse dare un seguito alla Trilogia. Stay tuned.

domenica 7 febbraio 2010

Demoni e muse

«Bene...ci sono due tipi di solitudine, giusto? C'è la solitudine dell'isolamento totale, il mero fatto di vivere soli e lavorare soli come ho sempre fatto io. Che non è per forza doloroso, e anzi per molti scrittori è necessario. [...]Essere soli per gran parte della giornata significa ascoltare ritmi diversi, che non sono determinati da altre persone. Credo che sia meglio così. Però c'è anche un altro genere di solitudine che è terribile da sopportare.»
S'interruppe.
«È la solitudine di vedere un mondo diverso rispetto a quello degli altri intorno a te. Le loro vite rimangono separate dalla tua. Tu riesci a vedere l'abisso e loro no. Tu vivi in mezzo a loro ma loro posano i piedi per terra, mentre tu cammini su un vetro. Loro si rassicurano con il conformismo, con somiglianze attentamente costruite; tu sei mascherato, conscio della tua differenza assoluta.»
(Patricia Duncker, "Demoni e muse", Neri Pozza 2005)

martedì 2 febbraio 2010

Cose che mi deprimono molto (ovvero di come si possa rincoglionire a furia di sms)

Trascrivo qui di seguito una domanda di lavoro giunta oggi in azienda via fax. Tengo a precisare che l'autrice dello scritto è una mia coetanea di nazionalità italiana (nata in Padania e ivi residente) che ha una famiglia e 25 anni di lavoro alle spalle. Sottolineo inoltre il fatto che il documento, scritto a mano interamente in stampatello, si inclina pericolosamente sul lato sinistro del foglio per risollevarsi in diagonale sul destro.
DOMANDA-DI-LAVORO
(seguono dati anagrafici e qualifica professionale)
FACCIO-QUESTA-DOMANDA-DI-LAVORO-XKE'-LA-MIA-DITTA-VA-MALE-E-PIU'-DI-6 MESSI-KE-FACCIAMO-LA-CASSA-INTEGRAZIONE E-ADESSO-HA-DECISO-DI-FARE-DEGLI-ESUBERI-XKE'-NON-C'E LAVORO-LAVORO-IN-UNA-DITTA-DI-XYZ1-MA-FINO-A-DUE ANNI-FA'-LAVORAVO-A-XYZ2-ALLA-XYZ3.
SO-KE-QUESTO NON-E'-IL-MOMENTO-DI-FARE-DOMANDE-CON-QUELLO-KE-SI-SENTE-IN-GIRO-DELLA-CRISI-PERO'-IO-FACCIO, QUESTA-DOMANDA-NON-SI-SA-MAI-COME-HO-GIA'-FATTO-ALTRE-DOMANDE-IN-ALTRE-DITTE-GRAZIE
DISTINTI SALUTI

lunedì 1 febbraio 2010

Febbraio

Quest'anno febbraio inizia con un intero giorno di cassa integrazione e una di quelle bollette dell'elettricità che vorresti non ricevere mai. Sempre meglio dell'anno scorso, quando il mese si introdusse con un'abbondante nevicata, in perfetta sintonia col blackout della caldaia.
E poi c'è di buono che fra dieci giorni si va a prendere una boccata d'ossigeno a Berlino.