martedì 19 aprile 2011

Il sacchetto rosso

Poco fa, sulla strada che mi porta in ufficio, un sacchetto di patatine color rosso metallizzato si agitava disperatamente lungo la riga di mezzeria, vittima senza scampo delle correnti mosse dalle auto in corsa.
 Ovunque, i campi puntinati di giallo mandano un feroce lezzo di letame ed è tutto un ciondolare demente di fronde intontite da un pulviscolo anemico.
Mentre - nell’indifferenza generale - il livello di radioattività in Giappone non smette di salire, io registro il mio personale record al ribasso di sopportazione dell’esistenza. Non ricordo di aver mai sperimentato prima d’ora un’assenza di speranza più radicale, un disprezzo più cocente per il genere umano.
Immersi in un velenoso nulla di fatto, alberi e uomini ondeggiano privi di senno.  E intanto le auto frustano il sacchetto rosso convinte della propria superiorità.

sabato 16 aprile 2011

Record Store Day 2011



“La gente apre un negozio per vendere, spera che ci sia un tale movimento da dovere ingrandire il negozio per vendere di più e diventare più ricchi, e alla fine non dovere più venire al negozio. Non è così? Ma probabilmente esistono altre persone che aprono un negozio sperando di trovare un riparo, tra gli oggetti che più apprezzano – lana o tazze da tè o libri – e con la sola idea di affermare qualcosa in tutta tranquillità. Diventeranno parte di un isolato, di una strada, della cartina generale  della città e infine della memoria collettiva. Si siederanno a bere il caffè a metà mattina, tireranno fuori i soliti orpelli a Natale, laveranno i vetri a primavera prima di esporre i nuovi arrivi. Per queste persone un negozio è ciò che per altre può essere una capanna nel bosco, un rifugio e una giustificazione.”

da "La vergine albanese" di Alice Munro ("Segreti svelati", Einaudi)

giovedì 14 aprile 2011

Philippe Herreweghe e Thomas Zehetmair a Varese

Il tratto distintivo di Thomas Zehetmair resta l’essenzialità, il nitore ascetico di un suono mai invasivo, mai sopra le righe; lirico, se serve – e certo nel Concerto di Schumann serve – al punto giusto. Il solo di violino (quasi certamente dalla Sonata di Bernd Alois Zimmermann) regalato come encore al termine del Concerto è stato il momento più coinvolgente di tutta la serata.
Non che l’esecuzione della seconda sinfonia (sempre Schumann) non sia stata all’altezza delle aspettative, beninteso; prevedibilmente, l’Orchestre Des Champs-Élysées ha riposto agile e dinamica alla guida di Herreweghe: dettagli, ceselli, freschezza. Tutto molto lontano dalle sontuose letture della tradizione. Ha preso vita, nel gioiello barocco della basilica, uno spirito puramente romantico, un entusiasmo beethoveniano.
Ma è stato impossibile cedere all’illusione. Impossibile perdere la consapevolezza. Anzi, la percezione netta è stata quella della totale impotenza dell’arte, del suo isolamento: lo scollamento più assoluto tra ideale e reale. Mi chiedo se sia stata questa tragica scoperta a ridurre Schumann alla follia.

La musica si spegne. I suoni caldi dei legni, la dolcezza consolante dell’oboe – è tutto finito. Gli orchestrali si sorridono soddisfatti mentre posano gli strumenti. Un fagotto viene smontato e riposto tra una battuta e l’altra. Quanto a noi, veniamo inesorabilmente riconsegnati al vento gelido. L‘impatto con la realtà non è che un mulinare di nefandezze. Le vie del centro sono deserte. La partita di calcio ha assorbito la gente dentro le case: un momento di distrazione collettiva assolutamente perfetto per il compimento dell’ennesimo crimine governativo. In via Luini, dinanzi all’edificio delle suore della Riparazione, è tornata la calma: la coda di povera gente che stazionava in attesa di un pasto caldo, una tanica d’acqua, un vestito pulito, è stata completamente smaltita.
Ci viene incontro un tale: sappiamo forse indicargli dove si trova la discoteca Tiffany?

lunedì 11 aprile 2011

Anna Calvi a Bologna


Bisogna vederla e sentirla dal vivo, Anna Calvi, per avvertire tutta la contagiosa, intensa musicalità che può scaturire dalla sua esile figuretta infantile. Stretta in un look anacronistico e antirock – boccoli alla Shirley Temple, pantaloni anni ’80 e manichine a sbuffo – in scena Anna svela una personalità più che decisa. Inutile chiedersi quale sia la vera Anna Calvi, se la bambina timidissima che si lascia confondere dagli apprezzamenti del pubblico o la rockeuse grintosa, la compositrice colta, l’interprete raffinata.
Sempre muovendosi all’insegna dei contrasti più accesi – il rosso e il nero, ritrosia e determinazione – Anna usa con sapienza una voce di rara bellezza, esplora i fondali oscuri del desiderio e riaffiora all’improvviso agguantando squarci armonici di rapinosa luminosità.

Costretta da un infortunio ad affidare le proprie parti di chitarra a un eccellente collaboratore di supporto, quando si concede di imbracciare il proprio strumento in occasione del primo encore, ha l’aria di chi si sente finalmente a casa sua.
Fondamentale l’apporto della bionda Mally Harpaz all’harmonium (impossibile non pensare a Nico) e preziosissima la varietà timbrica della batteria di Daniel Maiden-Wood. Il sound che ne risulta è così pieno, originale, autosufficiente da non richiedere nemmeno l’intervento di una linea di basso.

Lo spettacolo ha lasciato un segno indelebile, una traccia fiammeggiante nell’oscurità torrida del Locomotiv. Un evento rivelatore che ha avuto però un imprevisto effetto collaterale: riascoltato ora, il disco di Anna Calvi suona come una copia sbiadita di un concerto il cui unico difetto è stata la brevità.

martedì 5 aprile 2011

Radici