lunedì 29 marzo 2010

Jordi Savall e Rolf Lislevand a Varese

Ciò che più sorprende in Jordi Savall non è la sua tecnica inarrivabile o la vastità enciclopedica del suo sapere in campo musicologico: è piuttosto la sua musicalità innata, il rapporto di inevitabilità che stabilisce fra sè e lo strumento (e il repertorio di questo, evidentemente).
Un concerto di Savall finisce per essere una lezione sulla musica barocca ma uno se ne torna a casa anche con la sensazione di aver ricevuto una lezione di vita.
È veramente difficile dire qualcosa che non risulti di una banalità insopportabile. Non ci sono parole che possano restituire la molteplicità di accenti, la gamma di voci umane (Les Voix Humaines di Marin Marais, naturalmente) che Savall riesce a trarre dalla sua viola da gamba (un originale costruito a Londra nel 1697); oppure gli evocativi giochi d'archetto suggeriti da Tobias Hume (e come non pensare a Janequin che con le voci - guarda caso - si divertiva a imitare i canti degli uccelli o i suoni delle strade di Parigi o il clangore della battaglia); o ancora gli abissi di solitudine, lacrime e rimpianto di Monsieur de Sainte-Colombe, la scarnificazione totale, l'indagine ascetica alla ricerca del vero senso del fare musica.

domenica 28 marzo 2010

La radio che non libera la mente

Trovo veramente irritante l’abitudine, ormai invalsa presso ogni trasmissione di Radio 3 Rai, di sollecitare l’intervento degli ascoltatori tramite sms o, peggio, via Facebook.
La possibilità di comunicare con un conduttore radiofonico resta un diritto sacrosanto, ma c’è un tempo per ogni cosa.

È chiaro che il continuo irrompere in uno spazio altrui per “dire la propria” discende in linea diretta dal narcisismo imperante, perfettamente istituzionalizzato dai social network (a loro volta la filiazione trendy dei reality televisivi). È altrettanto chiaro però che tutta questa sovrabbondanza di parole che piove senza sosta sui conduttori radiofonici non può che involgarire l’informazione svuotandola di contenuti. Capita di frequente, ormai, di subire da Radio 3 trasmissioni lardellate di sentenze che pensavo confinate alle emittenti commerciali di piccolo cabotaggio: “ecco, Lucia da Roma ci scrive per dirci che domani andrà senz’altro a vedere questo film” oppure “un saluto a Carlo da Padova che ci ascolta sempre”.

Avviene anche che i messaggi accolti dalle redazioni siano più densi di contenuto di quelli succitati ma il risultato non può che essere una comunicazione irrisolta: un intervento che non può dar luogo a un dialogo, a un vero scambio di opinioni.
Insomma mi sembra che anche gli spazi destinati all’informazione di qualità si siano adeguati alla moda corrente della parola fine a se stessa, dissociata dalle intenzioni.

La famosa radio di Eugenio Finardi, quella con la quale "si può scrivere leggere o cucinare/ non c'è da stare immobili seduti lì a guardare", la radio grazie alla quale "non si smette di pensare", sembra ormai un patetico relitto del passato.
Anche la radio, dunque, si arrende e per non perdere consensi annienta la propria identità: una radio che smette di educare all’ascolto è una radio suicida.

sabato 27 marzo 2010

"Malgrado la pena dei giorni tristi/ E dell'inumana scarsezza di nobili nature"

"A thing of beauty is a joy for ever:
Its loveliness increases; it will never
Pass into nothingness; but still will keep
A bower quiet for us, and a sleep
Full of sweet dreams, and health, and quiet breathing.
[...]
Yes, in spite of all,
Some shape of beauty moves away the pall
from our dark spirits."

John Keats, Endymion

mercoledì 24 marzo 2010

"..ricevono regali, rose rosse per il loro compleanno..."

I dvd sono arrivati dall'Inghilterra giusti giusti proprio oggi; il bluesman ha speso un'ora e mezza del suo prezioso tempo dopolavorativo per cercarmi una fucsia ma l'inverno è stato lungo e avaro, perciò ha dovuto ripiegare sulle rose; il rappresentante del gruppo partenti per Berlino direzione O2 concerto di Peter Gabriel mi ha chiamata per farmi gli auguri mentre metteva le ultime cose in valigia e non ha mancato di ricordarmi che compio gli anni insieme a Dark side of the moon; persino l'agenzia letteraria si è rifatta viva. Il regalo più bello però deve ancora arrivare, o almeno tengo le dita incrociate perché arrivi. Lunedì dopo le 15.

martedì 23 marzo 2010

Fine del silenzio

Da un giorno all'altro, senza alcun preavviso, nel groviglio spinato della ginestra hanno alzato la testa due narcisi.
Dovrò pur riconciliarmi, un giorno, con la primavera, con i sogni e gli errori di un tempo. Per il momento mi limito ad accogliere la bella stagione con animo diffidente e contrariato. C'è un'ostinazione di leggerezza nell'aria, addosso ai manichini. Istigazione ipocrita alla speranza.
Quanto è più realista e rassicurante l'autunno col suo progressivo spegnimento della luce.
Da molto tempo, ormai, per me primavera non è inizio né speranza; è piuttosto la fine di un equilibrio, la fine del silenzio. E mi sento così impreparata alla luce.

sabato 20 marzo 2010

Le anime morte

Ieri è stata diffusa la notizia di un grave incidente avvenuto in una miniera d’oro in Sierra Leone: una frana, verificatasi in una zona di scavi abusivi, avrebbe provocato 200 vittime.
Oggi arrivano le smentite, diffuse con impegno da fonti governative locali e avvalorate dai
notiziari della BBC. Casualmente la miniera sarebbe di proprietà di una compagnia inglese, ma guardiamo oltre, non ci interessa più di tanto saperlo.

Ammettiamo pure che non sia successo nulla: non avremo mai modo di dimostrare il contrario. Qui nelle nostre comode case possiamo solo interrogare gli schermi asettici dei nostri pc, rovistare nei motori di ricerca, comporre stringhe alfanumeriche nella speranza assurda che producano un responso cabalisticamente attendibile. Non arriveremo mai alla verità. Prenderemo per buono il responso sputato dal notiziario che giudichiamo più affidabile e la cosa sarà finita lì. Che in quei cunicoli oscuri che non sappiamo neanche immaginare 200 persone siano state soffocate da macerie venate d’oro oppure no, non altera minimamente le nostre vite. E tuttavia, quei morti che improvvisamente appaiono e scompaiono, che possono indifferentemente esserci o non esserci, mi hanno fatto pensare alle anime morte di Gogol'.

«Cedeteli a me, Nastas’ja Petrovna…»
«Chi, bàtjuška?»
«Ma tutti quelli che sono morti.»
«Ma come si fa a cederli?»
«Così, semplicemente. O, se preferite, vendetemeli. Vi darò in cambio dei soldi» […]
In poche parole le spiegò che il passaggio o l’acquisto avrebbe avuto effetto solo sulla carta, e che le anime sarebbero state segnate come vive.*

Eppure, i servi della gleba dei tempi di Gogol', ceduti, scambiati, venduti insieme agli appezzamenti, avevano almeno l’onore di essere censiti, se non altro perché, in base al loro numero, il proprietario pagava un certo corrispettivo in tasse allo zar.
I moderni schiavi dell’imperialismo segreto, i cinesi deportati in massa nel continente nero da imprenditori senza scrupoli che stringono alleanze coi dittatori locali, i cinesi che accettano i salari più bassi per immergersi nel ventre crivellato d’Africa, e tutta l’infinita schiera di anonimi schiavi con loro, ecco, tutti questi uomini – perché sono uomini, vale la pena ricordarlo – compaiono e scompaiono con un click del mouse, dipendono da un motore di ricerca.
Magari davvero in Sierra Leone non è successo nulla. Ma se fosse successo, mi sono chiesta, chi avrebbe reclamato i corpi di quei morti?

*Gogol' Le anime morte, Mondadori, traduzione di Serena Prina

venerdì 19 marzo 2010

Come una malattia

"Primavera è oltre il suo cielo chiaro
non porta più leggende da raccontare
ma ti sorprende come una malattia"
(Banco del Mutuo Soccorso, Canto di Primavera)

mercoledì 17 marzo 2010

Happy St Patrick's Day (per tutti quelli che hanno trovato o lasciato in Irlanda un pezzo di se stessi)

“Countries are either mothers or fathers, and engender the emotional bristle secretly reserved for either sire. Ireland has always been a woman, a womb, a cave, a cow, a Rosaleen, a sow, a bride, a harlot, and, of course the gaunt Hag of Beare. Originally a land of woods and thickets, such as Orpheus had seen when prescribing the voyage of Jason, through a misted atmosphere. She is thought to have known invasion from the time when the Ice Age ended and the improving climate allowed deer to throng her dense forests.
These infiltrations have been told and fabricated by men and by mediums who described the violation of her body and soul. Ireland has always been Godridden. St Patrick, her patron saint (uncanonized!) fled as a slave from Antrim in answer to a voice that told him to join a ship and go to the Continent. He travelled with a consignment of Irish wolfhounds and got off in France, where at Auxerre, he studied to be a cleric. Again a voice accompanied by a vision summoned him back to Ireland and in the fifth century he began to convert the North, then the lowlands, so that the speech and thinking of men changed as they fell under Patrick’s rule and the yoke of the Scriptures. Patrick’s forebears, the Romans, did not invade Ireland, but Tacitus records how a Roman general gazed across the sea from Scotland and reckoned that a single legion could have subdued her. He was possibly mistaken, for despite the many other legions that tried to subdue her, Ireland was never fully taken, though most thoroughly dispossessed.”

(Edna O’Brien, “Mother Ireland”, Penguin 1976)

martedì 16 marzo 2010

Alice di Tim Burton


Non so perché si insista a parlare di una rivisitazione in chiave conservatrice. Io penso che questo film sia piuttosto una celebrazione straordinaria dell’immaginazione al potere. Alice, smarrita in un mondo che non parla la sua lingua (il reale), affonda nella fantasia (l’inconscio) per cercare gli elementi costitutivi della sua identità (basta vedere con che grinta difende "il suo sogno" contro quanti non sanno se vedere in lei la vera Alice): li trova, li ascolta e se ne appropria per costruire un approccio alla realtà che tenga sempre conto dell’istinto.
Tutto ciò non mi sembra molto conservatore. Del resto, da una produzione Walt Disney non mi aspettavo niente di rivoluzionario.

L’Alice di Mia Wasikowska è assolutamente perfetta. Adorabile il regno argenteo di Marmorea. Infine, a tratti, nelle scene di battaglia del Giorno Gioiglorioso, l’Alice combattente sovrastata da cieli minacciosi sembrava citare l'Elizabeth di Cate Blanchett. Ma forse è solo una mia personalissima suggestione.

domenica 14 marzo 2010

Altri sei mesi di Cigo? No, grazie.

Mi rendo conto che sono ben altri i fatti di cui val la pena parlare; fra questi certo la mestizia del nostro premier che, per rinfrancarsi l’animo, sceglie di partecipare ai festeggiamenti per i primi 90 anni di Don Verzè; il quale, in un accesso di delirio di onnipotenza, dichiara di ambire ad allungare la vita media degli esseri umani fino a 120 anni (Dio ce ne scampi e liberi, nda). Perfettamente comprensibile che, a fronte di siffatte notizie, sia quanto mai inopportuno occuparsi della Cigo, malattia ben più repellente della lebbra, come già ebbi a dire in altra occasione.

Per quanto imbarazzante, però, il problema c’è e rimane: e si tratta di decidere se estendere la durata della Cigo dalle attuali 52 settimane a 78. Un provvedimento analogo è stato appena approvato in Svizzera dove si prevede un aumento della disoccupazione per i prossimi due anni. In Italia, per ora, il sì trasversale è arrivato solo dalla Commissione Lavoro alla Camera. Dal governo invece dovrebbe arrivare il no. E per il momento, di più non è dato sapere.

Mi rendo conto che questo è precisamente il genere di cose di cui non frega niente a nessuno, ma da cassintegrata vorrei dire la mia. In via del tutto eccezionale, mi trovo a condividere la posizione del ministro Sacconi.
Chiedo che mi venga risparmiato lo strazio di altri sei mesi di attesa circa la mia sorte. Vorrei sapere di che morte morire e vorrei saperlo al più presto. Altri sei mesi di agonia, altri sei mesi di incertezza, di impossibilità di programmare finanche l’appuntamento dalla parrucchiera perché chissà, magari a mezzogiorno mi dicono che devo rientrare in ufficio di lì a un'ora. Chiedo scusa per lo sfogo ma non ne posso più. Una guerriglia logorante che metterebbe alla prova anche gente con nervi ben più saldi dei miei.


Diciamolo chiaro: la Cigo non è un provvedimento magnanimo esteso da una non meglio identificata entità benevola nei confronti del povero lavoratore in difficoltà. Il lavoratore deve solo e ancora una volta ringraziare se stesso per la Cigo. Perché il padrone non in questa faccenda non ci perde un soldo e cade perfettamente in piedi, dritto come un fuso. Perché è l’Inps che paga. Perché i soldi dell’Inps sono ancora una volta quelli prelevati dagli stipendi dei lavoratori. Perché molte aziende stanno sfruttando spudoratamente la Cigo come una forma di risparmio. Perché la Cigo impigrisce la classe dirigente che invece di farsi venire delle idee appoggia i piedi sulla scrivania e calcola quanto manca alla pensione. Perché la Cigo addormenta i datori di lavoro che invece di investire e rischiare aspettano al calduccio che la tormenta passi, se mai dovesse passare.
Facciamola finita, per favore. Che si rimbocchino le maniche anche i padroni, una volta tanto. E se proprio non riescono a trovarci del lavoro da fare, si tolgano la maschera ipocrita della misericordia e si facciano venire il coraggio di chiudere la baracca e sbarazzarsi una volta per tutte dei burattini.

giovedì 11 marzo 2010

Senza titolo

"Io la sera mi addormento
e qualche volta sogno perché voglio sognare
e nel sogno stringo i pugni
tengo fermo il respiro e sto ad ascoltare"

(Ivano Fossati, I treni a vapore)

mercoledì 10 marzo 2010

A neve de março

Non ci si pensa mai abbastanza, credo. In Brasile marzo è il mese che sancisce la fine dell'estate (São as águas de março fechando o verão) e così questo gioiellino della bossanova, che a noi suona come un tintinnante annuncio di primavera, è di fatto una canzone autunnale, consolatorio, liberatorio, poeticissimo preludio all'inverno.

martedì 9 marzo 2010

Shutter Island

Un film da cui sono uscita con la necessità di una seconda visione e, in tutta franchezza, anche con l’inconscio shakerato.
Non sono d’accordo con tutti gli illustri critici che vanno sistematicamente demolendo Shutter Island trovandolo troppo lento, troppo ovvio, troppo tutto. Sarà che non ho letto il libro da cui è tratta la sceneggiatura. O sarà magari colpa della mia naïveté se non riesco a squalificare un film del genere solo perché si tratta di un lavoro su commissione: quel che penso è che Scorsese, commissione o no, ha abbastanza mestiere e sapienza visionaria da farsi comunque venire la voglia di restituire al pubblico un’opera destabilizzante, in grado di disturbare nel profondo.

Certo il complotto ordito ai danni di Teddy Daniels è dichiarato fin dalle primissime sequenze: Chuck Aule è palesemente troppo imbranato per essere un agente federale in missione speciale (non sfugge a nessuno, credo, la difficoltà con cui si leva dalla cintola la pistola d’ordinanza); anche il progressivo internamento di Daniels – la vestizione con la divisa da inserviente è il vero inizio della fine - non lascia spazio ad altre interpretazioni. Ma la stratificazione della realtà su più livelli; l’allagamento di questi strati da parte della fantasia (della follia?), del rimorso, del ricordo, della coscienza, della storia; la lotta disperata della mente - peraltro già provata - di Daniels per restare a galla, per decifrare sempre e comunque il tracciato oggettivo e concreto del reale, tutto questo è affrontato a mio avviso con assoluta maestria. Il risultato è che realtà e immaginazione finiscono per essere perfettamente sovrapponibili. Il risultato è che non è più importante ciò che è vero, perché ciò che è vero è solo ciò che crediamo tale. Concetto già largamente esplorato in ambito filosofico e letterario ma pur sempre di straordinaria attualità visto che sta alla base delle più moderne forme di abuso di potere.
Anche l’indagine onirica, territorio dove si può incorrere facilmente in cadute di stile, è condotta in modo sobrio (ovviamente il fatto che la voce dell’inconscio sia affidata alla moglie morta di Daniels è di fondamentale importanza per la corretta interpretazione dei fatti).

Le citazioni dal manuale dell'immaginario horror-gotico ci sono tutte: dalla vorticosa scala a chiocciola alla colata inarrestabile di topi, dalle sinistre celle della disperazione senza fine alla presenza costantemente minacciosa dell’acqua. Evocati tutti gli archetipi dei terrori ancestrali contro i quali, però, l’individuo non può nulla. Finite le storie di eroi, finita la rivincita dell’individuo, cancellata l’identità, nessun trionfo del bene sul male. Il tentativo di Daniels di conciliare le proprie pulsioni primitive di morte e violenza, la volontà di addomesticare l’istinto di vendetta entro i rassicuranti confini della legge non sortisce alcun risultato: è la legge della violenza, ancora una volta, nella desolante visione di Scorsese, a prevalere.

La colonna sonora infine (music supervisor è di nuovo Robbie Robertson) si segnala per la significativa presenza di composizioni tratte dal repertorio della musica colta contemporanea, genere apparentemente elitario che il cinema ha dimostrato essere ben più accessibile di quanto comunemente si pensi.

lunedì 8 marzo 2010

L'appuntamento


L’appuntamento monzese si è rivelato più soddisfacente del previsto. Peccato solo che non ci sia stato tempo a sufficienza per approfondire le sue considerazioni perché la chiacchierata avrebbe potuto snodarsi su percorsi meno battuti: la riflessione sulla creazione artistica è fondamentale nel romanzo, però fin qui sono stati in pochi ad accorgersene.
La prossima volta – se mai ci sarà – prometto di bandire la consueta pigrizia da disillusione cronica e di pilotare la conversazione su un altro versante.

Comunque anche il tè senza zucchero ha la sua ragion d’essere.

sabato 6 marzo 2010

Pensieri apocalittici da eccesso di disgusto politico-esistenziale

"Marea palpitante, marea piena di corpi,
Di ossa mormoranti, di sangue, di polveri squamose,
Di luci frantumate, di conchiglie stellari,
Santa marea che raduni i corpi.

Marea profonda, astri girevoli,
Schiuma, carne, specchi dove si riflettono gli angeli,
Fumi, fumi dalle volute strane
Dove trascorrono specchi di orizzonti erranti.

Marea magica, marea dolce,
Marea che pensi, marea nel cielo,
Angelica marea, marea essenziale,
Marea grondante, marea saggia
Che ci rendi il santo e il mago,

Marea sorda, marea che scompigli il cielo,
Marea che covi, marea gonfia di tempeste,
O polvere magica, marea plasmata d'angeli,
Marea spirituale, marea intessuta di carne,

Marea disegnata come una nuvola
Che da sotto si illumina,
Mondo, sfera, astro, luce,
Grani di polvere, diamanti,
Marea potente, marea vasta,

Marea come una nuvola rotonda
Che raduni gli orizzonti,

Ricomponi tra noi la dispersione dei corpi,
Marea vivente, o tu che la cenere incomparabile
dei mondi passati attraversa con le sue favole,
Formicolante di mondi rinascenti senza sosta

Riplasma con le tue mani la sabbia friabile,
Trafiggici con le tue criniere di sangue."

(Agosto 1922)

Antonin Artaud, Marée (da "Poesie della crudeltà" ed. Stampa Alternativa, trad. Pasquale Di Palmo)

venerdì 5 marzo 2010

Mirage

"The hope I dreamed of was a dream,
Was but a dream; and now I wake
Exceeding comfortless, and worn, and old,
For a dream's sake.

I hang my harp upon a tree,
A weeping willow in a lake;
I hang my silenced harp there, wrung and snapt
For a dream's sake.

Lie still, lie still, my breaking heart;
My silent heart, lie still and break:
Life, and the world, and mine own self, are changed
For a dream's sake."

(Christina Rossetti, "Mirage")

giovedì 4 marzo 2010

Di passaggio

"Come quando nella casa dove
Non vai più così spesso
I tuoi orari sono un po' sommersi
Da altri orari e da altre abitudini,
E allora ti sembra d'essere come davvero sei
Di passaggio anche lì come dovunque."

(Franco Buffoni, da "Un longobardo assente", nella raccolta "Roma", Guanda 2009)

mercoledì 3 marzo 2010

Invictus di Clint Eastwood

Credevo che di questo film mi sarebbe rimasta addosso soprattutto la fastidiosa retorica dello sport come strumento di integrazione e coesione sociale.
Non è andata così. Grazie, essenzialmente, al ricercato realismo della regia. La grandezza di questo film di Eastwood sta tutta nelle piccole cose, nei particolari, nella grazia concreta con cui è tratteggiato il quotidiano dei personaggi. Un esempio su tutti: Mandela che si sveglia prima dell’alba e si rassetta il letto da solo. Un gesto che meglio di qualsiasi altro disegna l’autenticità dell'uomo Mandela e con rara sensibilità ne svela la lunga esperienza di carcerato.

Molto chiaro il messaggio politico veicolato dal film: il bene supremo è la democrazia, da difendere ad ogni costo, al di là di qualsiasi tentazione di particolarismo, oltre ogni pur comprensibile desiderio di rivalsa da parte dell’ex oppresso nei confronti dell’ex oppressore. Se il popolo non è sufficientemente educato alla democrazia è compito del suo rappresentante – democraticamente eletto – indicargli la via da seguire e, se il caso, “dimostrargli che sta sbagliando”. Insomma il rappresentante del popolo è anche colui che lo orienta e lo educa. Ci sarebbe da discutere a lungo in proposito. Per una trattazione più saggia dell'argomento leggere qui.
Per una efficace recensione del film, invece, rivolgersi qui.

martedì 2 marzo 2010

lunedì 1 marzo 2010

Marzo

Quest’anno il mese ha inizio con uno schiaffo di sole, incrostazioni di ghiaccio ovunque e una spossatezza letargica. Anche tanta amarezza.

È il duecentesimo compleanno di Chopin.

Sullo sfondo una serie di catastrofi che esauriscono rapidamente il loro potenziale tragico. Ogni giorno abbiamo bisogno di immagini sempre più scioccanti per sentirci vivi.

In questo sfacelo totale io mi consolo con la sana follia della musica, mia unica certezza e mio rifugio.