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giovedì 31 maggio 2012

Resistere

In ufficio, di questi tempi, sono sottoposta a una pressione tale che l'unica strategia difensiva possibile è la fuga. Così oggi pomeriggio per evitare una crisi di nervi dalle conseguenze imprevedibili - il cuore si era fatto ballerino e la mente già proiettava con insistenza immagini di me digrignante, armata di matite appuntite e lanciata furiosamente contro il capo - ho chiamato in causa un impegno inderogabile e ho abbandonato la postazione un'ora prima del previsto.
L'aria aperta ha prodotto subito effetti benefici. Ho attraversato la campagna assolata dove i soliti tre signori un po' ingobbiti che vivono nella stessa casa - saranno fratelli? non si sa - tagliavano l'erba con la falce (ovvero facevano il fieno). Poi sono andata all'ufficio postale a spedire un messaggio di felicitazioni alla mia amica ormai naturalizzata dublinese che la settimana prossima convolerà a nozze in un romantico angolo della contea di Meath; inutile dire che la invidio molto: non per il matrimonio ma per la contea di Meath e per la naturalizzazione dublinese.
Dopo un salto al Bar degli Spettri - dove ho acquistato un grattaevinci da tre euro che ne ha fruttati ben dieci: ora sì che sono ricca - sono andata a far benzina e infine al supermercatino dei disperati a comprarmi un cestino di fragole.
Ed ora sono qui, con la malinconia che presto si tramuterà in angoscia, a contemplare il balconcino fiorito: un tripudio di rossi e rosa in ogni possibile variante e gradazione. Meno male che c'è Rebecca, la mia bellissima gattina enigmatica - tuttora un mistero insondabile - che schizza qua e là per il giardino, lucida macchia di velluto nero contro lo splendore dell'erba. Rebecca non è esattamente il gatto coccoloso che tutti sognano, però è, a modo suo, molto affettuosa ed estremamente comica, soprattutto quando dà la caccia  a volatili che non potrà mai raggiungere.
Così le ombre calano sull'ennesimo nulla di fatto. Ci si accontenta di equilibri precari, ci si confronta con attese snervanti; in breve, si cerca di resistere. Un pensiero carico di affetto e nostalgia, a tutti i miei amici emiliano-romagnoli che per ben altre ragioni, in questo momento, si trovano a condividere il mio stato d'animo.

sabato 17 marzo 2012

St Patrick's Day

"Era un giorno grigio, c'era uno strano silenzio nel mare e nel cielo e nessun segno di vita, a eccezione della vela di una currach - o niavogue, come vengono chiamate qui - che stava rientrando dalle isole. Di tanto in tanto passava un carro pieno di anziani e bambini che mi salutavano in irlandese.
Poi sono tornato indietro e ho proseguito su una lunga strada che passava attraverso la torba, con una montagna dal dolce pendio su un lato e il mare dall'altro. Il monte Brandon, di fronte a me, era in parte coperto dalle nuvole. Per quanto riuscivo a vedere c'era un piccolo gruppo di persone che si stava dirigendo alla cappella di Ballyferriter; gli uomini con vestiti di stoffa grossa fatti in casa e le donne con mantelline blu o, più spesso, scialli neri avvolti sopra le loro teste.
Questa processione lungo le torbiere olivastre, tra le montagne e il mare, in un grigio giorno di autunno, mi ha dato quella stretta al cuore che spesso può capitare di sentire in Irlanda - un'emozione che è in parte propria del posto e tipicamente patriottica, in parte il risultato della desolazione che ovunque accompagna la suprema bellezza del mondo."

John M. Synge, Vagabondo in Irlanda, a cura di Nicola Manuppelli, Mattioli 1885


mercoledì 23 novembre 2011

Hard times


Sono stata a Dublino molte volte dal 1994 ad oggi e mai mi era capitato di vedere così tanta gente dormire per strada o in macchina, mai visti tanti mendicanti. Cartoni, fagotti di stracci e scene di ordinario alcolismo che credevamo archiviate per sempre. La città non è più un cantiere: spenti i fragori dei martelli pneumatici, smantellate impalcature e selve di gru.
Le donne dublinesi hanno rinunciato al loro inconfondibile stile - una gradevole fusione di originalità e tradizione – per adeguarsi ai parametri globalizzanti di praticità e accessibilità. I fantasiosi cappottini di Desigual, acquistati sull’onda di un’antica spensieratezza, vengono indossati senza entusiasmo né cura e stridono con l’aria dimessa di chi li porta.
Sono ben pochi i negozi di Grafton Street che non offrono clamorose riduzioni di prezzo sulla merce esposta. Nei centri commerciali si va a mangiare un panino o bere un caffè. Nessuno percorre più le vie del centro reggendo grappoli di acquisti.
I mutui - contratti negli anni del boom per l'acquisto di case il cui valore si è più che dimezzato nel giro di pochi anni - ora pesano come macigni.
Il delirio collettivo è sfumato, la carica propulsiva si è esaurita. La città ha ritrovato quella sua antica anima malinconica che le nuove generazioni non hanno mai conosciuto.

martedì 22 novembre 2011

Dublino e i taxi

Se siete a Dublino e pensate di infilarvi in un taxi e farvi i fatti vostri lungo il tragitto, avete sbagliato città: preparatevi piuttosto a dar conto del vostro paese d’origine – del quale il tassista dimostrerà comunque di avere qualche nozione, foss’anche solo il nome di un calciatore in pensione da una vita -, delle ragioni per cui siete in città, se ci siete mai stati prima e se sì quante volte e dove avete alloggiato e se avete avuto modo di vedere il nuovo stadio. Fidatevi: non è curiosità. Ai tassisti di Dublino – sempre pazientemente tolleranti nei confronti del vostro inglese privo delle oscure inflessioni locali – sta a cuore che voi prendiate la città per il verso giusto. Perciò fidatevi, fornite pure le informazioni richieste: ne riceverete in cambio una valanga di notizie, aneddoti, pettegolezzi dublinesi, sunti di macroeconomia e analisi aggiornate dell’andamento del mercato immobiliare.
Io, per esempio, ieri mattina, attraversando in taxi la città ancora buia e sonnacchiosa, ho scoperto dove abita il proprietario dell’hotel in cui ho alloggiato, ho ammirato il pub nel quale Bertie Ahern era solito festeggiare i successi della sua squadra del cuore, ho appreso che l’attuale primo ministro si reca presso gli edifici governativi a piedi scortato da un’unica guardia del corpo - “Ah ah ah Berlusconi ne avrà avute cento di guardie del corpo… Lo sa tutta l’irlanda che Berlusconi è pazzo! Ah ah ah!” – e ho imparato che una bella fetta di responsabilità nel crollo del mercato immobiliare ce l’hanno i cinquantamila polacchi che hanno abbandonato l’Irlanda per andare a costruire il villaggio olimpico londinese lasciando dietro sé una moltitudine di appartamenti sfitti.
Fidatevi, un giro in taxi a Dublino è un’esperienza unica: è insieme una lezione di storia, economia, sociologia e un numero di cabaret. E quando, a fine corsa, il tassista di turno vi consegna al vostro destino ripetendovi più volte “Take care”, fidatevi: potete essere certi che ve lo dice in tutta sincerità.

giovedì 16 giugno 2011

Bloomsday

"Sua madre domanda, con delizioso candore, cosa va a fare a Dublino. E lui le risponde la prima cosa che gli viene in mente: che andrà il 16 giugno, a tenere una conferenza. Solo quando ha già risposto si accorge che proprio in quella data ricorre il sessantunesimo anniversario di nozze dei suoi genitori. E inoltre si rende anche conto che il 61 e il 16 sembrano le due facce di uno stesso numero. Il 16 giugno, d'altra parte, è il giorno in cui si svolge l'Ulysses di Joyce, il romanzo dublinese per eccellenza nonché una delle vette dell'era della stampa, della galassia Gutenberg, la galassia il cui tramonto gli sta toccando di vivere in pieno.
[...]
Andrà a Dublino, capitale dell'Irlanda, paese del quale non sa molto se non che, se la memoria non lo tradisce - lo controllerà poi in Google -, è uno stato libero dal 1922, precisamente l'anno in cui - un'altra casualità - sono nati i suoi genitori. Sa molto poco dell'Irlanda, anche se conosce buona parte della sua letteratura. W.B.Yeats, senza andare troppo lontano, è uno dei suoi poeti preferiti. Il 1922 è, peraltro, l'anno in cui venne pubblicato l'Ulysses. Potrebbe andare a celebrare i funerali della galassia Gutenberg nella cattedrale di Dublino, Saint Patrick, se non ricorda male; in quel luogo sacro impazzì definitivamente Antonin Artaud convinto che il bastone del santo fosse identico al suo."

(Enrique Vila-Matas, Dublinesque)

martedì 23 novembre 2010

Racism in the UK

Qui un rapido resoconto della vicenda e di seguito il video di indubbio cattivo gusto:



È evidente che gli inglesi si sentono in dovere di essere maniacalmente politically correct con chiunque e con qualunque cosa eccezion fatta per gli irlandesi. Per carità, certo, è una lunga storia: gli inglesi sono così abituati a vessare gli irlandesi che ancora non hanno perso l'abitudine, e del resto, si sa, la strada verso la civiltà è lunga e tortuosa. Ma, scorrettezza per scorrettezza, vorrei rammentare agli inglesi che non è il caso di fare troppo gli stronzi, visto che se Dublino piange, Londra certo non ride.

sabato 16 ottobre 2010

All'ufficio postale

Affido all’impiegata la busta imbottita chiedendo una normale spedizione via posta prioritaria.
“Tariffa estero” osserva efficiente l’addetta leggendo l’indirizzo. Non faccio in tempo a confermare che subito mi sento chiedere: “E dove lo mandiamo questo pacchetto? In Inghilterra?”
“Ma veramente” provo a obiettare, perplessa “veramente c’è scritto Irlanda...”
“Appunto: legga qui” e orienta verso di me un monitor sul quale, da un menù a tendina, si è appena srotolato un breve elenco di nazioni europee: Gran Bretagna e Irlanda del Nord sono comprensibilmente accorpate nello stesso campo.
“Guardi, il mio pacchetto non va in Irlanda del Nord” provo a spiegare.
“Ah no? E dove va, scusi? Qui c’è scritto Irlanda.”
“Esatto, si tratta della Repubblica d’Irlanda.”
“Ah, sì? E dov’è? Avanti, mi dica dov’è, lo vede che anche qui non c’è?”
“Provi a cercare Eire” suggerisco continuando a non capire il problema.
“Non c’è, non c’è…” certifica l’impiegata sulla base di un’ulteriore consultazione del monitor.
“Ma è impossibile che in quell’elenco non ci sia l’Irlanda” obietto timidamente, considerando al contempo che non è certo la prima volta che mi trovo a inviare libri a Dublino.
“Va bene” concede l’altra pazientemente scocciata “cominciamo dall’inizio, va bene? Avanti, legga tutti i paesi a partire dalla A” e subito smanetta col mouse rendendo pressoché illeggibile la lista delle nazioni.
“Ferma lì!” ordino non appena intercetto la I “vada piano, per favore!”
“Oh, guarda c’è davvero...” fa lei con finta naturalezza, incassando la sconfitta.
“Sì sì l’Irlanda esiste” concedo io sollevata.
“E dove sarebbe?”
“Vicino all’Irlanda del Nord.”
“Ah ecco…Sì, che poi, diciamocelo, io potevo selezionare Grecia che tanto era lo stesso.”
“Sarebbe a dire, scusi?”
“Che il pacco arriva lo stesso, che tanto è sempre Europa, no? Non è che se seleziono Irlanda quello va per forza in Irlanda, capisce? Se seleziono Grecia quello mica va in Grecia, capisce? Quello che conta è qui, vede?” e mi mostra l’indirizzo, scritto a chiarissime lettere “Certo che se questo è sbagliato, beh, sono fatti suoi, capisce? Chiaro che il pacco non arriva…”
“Guardi, non ci provi nemmeno” minaccio digrignando un sorriso isterico “quel pacco DEVE arrivare a destinazione a Dublino.”
“Ci arriva, ci arriva, se l’indirizzo è giusto ci arriva, ma deve essere giusto l’indirizzo, ha capito?”
Così, tanto per dire, il pacchetto che ho affidato alla pazza conteneva la copia de L'inutile guida che mi è stata richiesta dall’Istituto Italiano di Cultura di Dublino. Così, tanto per dire in che mani è finito un pezzo del mio destino.


domenica 19 settembre 2010

Lezione di dignità


Santo cielo, è passata quasi una settimana e sui giornali irlandesi ancora se ne parla. Cos'è successo? Che il primo ministro Brian Cowen in occasione di una festicciola di partito ha alzato un po' il gomito, ha fatto il cretino permettendosi di fare il verso a un campione di golf (tale Philip Walton) e, tra un bicchiere e l'altro, ha tirato mattina, forse dimenticando che di lì a poche ore l'aspettava un'intervista radiofonica in diretta sul primo canale della rete nazionale. Com'è andata l'intervista? A quanto leggo è andata, vale a dire che Cowen tutto sommato se l'è cavata senza dire idiozie. La voce impastata di uno che è appena stato buttato giù dal letto, però, sembra l'abbiano notata tutti.
Benché Brian Cowen abbia chiesto pubblicamente scusa per il proprio comportamento irresponsabile - per sua stessa ammissione non confacente al ruolo di un primo ministro - la bagarre stenta a placarsi e la già precaria credibilità del governo sembra minata in modo irreversibile.

Perché racconto questa storiella? Perché, da italiana, trovo che tanta indignazione popolare nei confronti di un politico che si sciroppa una pinta in più sia così teneramente commovente da sembrare quasi buffa. Una notiziola da incorniciare, direi. Per non dimenticare che dignità popolare non è affatto un concetto astratto caduto in disuso.
Foto: da sinistra Brian Cowen, Bertie Ahern (ex primo ministro) e Brian Lenihan (ministro delle finanze).

P.S. grazie a Eleonora per la foto.

giovedì 16 settembre 2010

Il lettore di talento

"[...] se si pretende talento da un editore letterario o da uno scrittore, lo si deve pretendere anche dal lettore. Perché non ci si deve ingannare: il viaggio della lettura passa molte volte attraverso strade impervie che esigono la capacità di emozione intelligente, il desiderio di comprendere l'altro e di avvicinarsi a un linguaggio diverso da quello delle nostre tirannie quotidiane.[...] Le stesse capacità necessarie per scrivere, sono necessarie per leggere. Gli scrittori deludono i lettori, ma succede anche il contrario e i lettori deludono gli scrittori quando in loro cercano solo la conferma del fatto che il mondo è come lo vedono."

(Enrique Vila-Matas, Dublinesque, traduzione Elena Liverani, Feltrinelli)

sabato 19 giugno 2010

In questo preciso istante

ogni singola cellula del mio corpo reclama questo luogo:


martedì 15 giugno 2010

"unjustified and unjustifiable"

“Manifesti e volantini sventolano in mille direzioni diverse annunciando concerti, incontri religiosi, rappresentazioni teatrali, svendite e altri incontri religiosi. In Brunswick Street una lacera locandina arancione invita a una serata nella Cattedrale-discoteca viaggiante del reverendo Ramsden. È gradito l’abito da sera. Ingresso vietato ai cattolici.
Qua e là, accanto a una finestra o in cima a una torretta, sventola una bandiera; migliaia di stendardi, ma solo cinque colori: verde, bianco, oro, rosso e blu. I due tricolori della discordia.
Sparsi in tutta la città, sui marciapiedi, davanti ai portoni o tra le aste delle inferriate, ci sono mazzi di fiori. In ogni angolo di strada, avvolti in carta trasparente, piccoli giardini artificiali, fiori ancora freschi dai colori vivaci, oppure avvizziti e spenti. Ogni passeggiata in città è cadenzata dal susseguirsi di quei mazzi posati dagli abitanti di Belfast là dove sono stati uccisi i loro concittadini. Quando i petali sono ormai secchi, ci si domanda chi sia morto in quel punto e non si riesce mai a ricordarlo.
È solo in piena notte, dall’alto, che la città sembra un insieme organico, un tutto unico. Quando i suoi abitanti dormono, il disordine diurno si ricompone e, per lo meno geograficamente, la città appare un’entità compatta. Potrete scorgere allora gli anelli di nero basalto che l’abbracciano, i monti, le colline e le distese pianeggianti e vedere nella grande baia ai piedi della metropoli il mare scuro che ne irrora il cuore. […]
Per quanto incantata e sfavillante, Belfast parla chiaro. Le bandiere, le scritte sui muri e i fiori sui marciapiedi parlano chiaro. È una città in cui la gente è pronta a uccidere e a morire per pochi brandelli di stoffa colorata. Questo si aspettano i due popoli che l’abitano, divisi da quattro, o otto, secoli di differenze religiose e civili. Un’assurdità, un rompicapo che avvelena il sangue, una spirale senza fine che impedisce ogni cambiamento.
A notte fonda, però, la fresca brezza che attraversa Belfast sussurra che l’odio è come Dio: non lo potete vedere, ma se combattete in suo nome e credete ciecamente in lui, riscalderà le vostre notti.
Se volgete lo sguardo sulla città (i vostri occhi devono, come i nostri, essere democratici osservatori e imparziali testimoni della realtà), vedrete chiaramente che c’è davvero qualcosa che divide i suoi abitanti: qualcuno questo qualcosa lo chiama religione, altri politica, ma è solo il denaro il vero motivo di differenza e di discordia. Ci potete scommettere, e non perderete il vostro denaro.
Vedrete strade immerse nel verde e strade soffocate dal cemento: immaginatevi vite immerse nel verde e vite soffocate dal cemento. Nei quartieri ricchi e nei sobborghi senza un centimetro quadrato d’erba, i vostri occhi scorgeranno la verità.”

(Robert McLiam Wilson, Eureka Street, Fazi Editore 1999)

mercoledì 17 marzo 2010

Happy St Patrick's Day (per tutti quelli che hanno trovato o lasciato in Irlanda un pezzo di se stessi)

“Countries are either mothers or fathers, and engender the emotional bristle secretly reserved for either sire. Ireland has always been a woman, a womb, a cave, a cow, a Rosaleen, a sow, a bride, a harlot, and, of course the gaunt Hag of Beare. Originally a land of woods and thickets, such as Orpheus had seen when prescribing the voyage of Jason, through a misted atmosphere. She is thought to have known invasion from the time when the Ice Age ended and the improving climate allowed deer to throng her dense forests.
These infiltrations have been told and fabricated by men and by mediums who described the violation of her body and soul. Ireland has always been Godridden. St Patrick, her patron saint (uncanonized!) fled as a slave from Antrim in answer to a voice that told him to join a ship and go to the Continent. He travelled with a consignment of Irish wolfhounds and got off in France, where at Auxerre, he studied to be a cleric. Again a voice accompanied by a vision summoned him back to Ireland and in the fifth century he began to convert the North, then the lowlands, so that the speech and thinking of men changed as they fell under Patrick’s rule and the yoke of the Scriptures. Patrick’s forebears, the Romans, did not invade Ireland, but Tacitus records how a Roman general gazed across the sea from Scotland and reckoned that a single legion could have subdued her. He was possibly mistaken, for despite the many other legions that tried to subdue her, Ireland was never fully taken, though most thoroughly dispossessed.”

(Edna O’Brien, “Mother Ireland”, Penguin 1976)

giovedì 25 febbraio 2010

Il tè delle cinque


Sabato 6 Marzo alle 17.00
a Monza presso Lettori Golosi in via Segantini 4
Conversazione su L'inutile guida

Non una vera e propria presentazione, dunque (non credo proprio che ce ne sarà bisogno). Piuttosto una conversazione tra amici. Tanto più che Monica di Lettori Golosi non dà mai inizio ad una qualche attività presso il suo negozio se prima non ha offerto almeno una tazza di freshly made tea, e magari anche un biscottino, a tutti i presenti.

giovedì 28 gennaio 2010

giovedì 21 gennaio 2010

Giorno di sant'Agnese

Giorno di nebbia e ghiaccio. La mia auto, la mattina, è una fragola glassata. Sono varie le tecniche per scrostare i finestrini: il raschietto va usato sapientemente – come un rastrello o come una spatola – in base alla friabilità dell'incrostazione.
Ogni mattina penso al senso di Smilla per la neve e ai 20 e più tipi di neve classificati dagli Inuit della Groenlandia.

Giorno di Sant'Agnese. Di là dai vetri ogni tanto sbuffano vapori di nebbia che si raggrumano sugli aghi di pino come la neve finta che si spruzza sui presepi.
"Io vado in bicicletta per sentirmi vivo
alle 5 di mattina con la nebbia nei polmoni"
Impossibile per me non associare il nome Agnese alla canzone di Ivan Graziani, è un processo automatico, e da lì, sempre automaticamente, si apre il ricordo di un lontano giorno d’agosto a Dublino. Non c’è mese peggiore d’agosto, in Irlanda.
Alloggiavo al Trinity College, in una stanzetta dove, fortunatamente, al mio arrivo non avevo riscontrato insetti vivi. Una mattina senza speranza mi svegliai con in testa la canzone di Ivan Graziani. Quale sarà stato il motivo? Forse quel verso che si schiude su un passaggio armonico luminoso: “È uscito un po’ di sole da questo cielo nero”? Forse. Certo il cielo era impietoso. Naturalmente decisi di uscire lo stesso, con la canzone in testa: non c’era modo di farla scivolare via, o forse ero io ad aggrapparmici come a un ricordo buono.
Non avevo ancora varcato i confini del college che dal cielo crollò un diluvio insopportabile. Dal viottolo schizzai ad un edificio vicino dove mi rifugiai nel primo anfratto. Mi ricavai un angolo accanto a tre turisti dai lunghi impermeabili chiari. Una madre teneva stretta a sé una bimba imbronciata. “Stai qui buona, Agnese” le disse in italiano. Non avevo mai conosciuto nessuna Agnese, non avevo pensato alla canzone di Ivan Graziani da anni.
Provai una sorta di imbarazzo per quella premonizione così evidente. Accanto a quel nucleo famigliare così ben equipaggiato di amorevolezza e buon senso mi sentii un'estranea. Seguitai a tollerare quella dolorosa vicinanza per un poco, mantenendo il silenzio, fingendomi straniera. Poi mi lanciai sotto il diluvio.

lunedì 4 gennaio 2010

Dall'Irlanda

Non è vero che Van Morrison ha avuto un quarto figlio. Era solo lo scherzo di un hacker che si è infiltrato nel suo website.
Intanto le strade dell'isola continuano ad essere ghiacciate, a Natale all'aeroporto di Dublino sono stati registrati -6° e altrove nell'isola si è arrivati a -10°. Crollato anche il mito dell'inverno irlandese.
Crollato anche un pezzo di fabbrica della Guinness a causa di un incendio che ha devastato un magazzino. Tanto fumo ma nessun ferito. Intanto a vedere quelle immagini mi si torcevano le budella. Quelle strade. Non sono forse le mie strade? Ma io, perché sono qui?