mercoledì 28 aprile 2010

Nursery rhymes of innocence and experience

È davvero molto bello il nuovo lavoro di Natalie Merchant. Attesissimo da mesi, non ha tradito le aspettative. Leave your sleep non è solo una magnifica raccolta di folk ballads che ti si stampano in testa al primo ascolto; per chi ama la poesia, il raffinato libriccino nel quale sono nascosti i due cd è una miniera di scoperte. Ci vuole un talento speciale per forgiare melodie adatte alla poesia; una sensibilità rara per catturarne il ritmo e colorare i versi senza tradirne l'anima. Un progetto educativo singolare che si è sviluppato in una delicata creazione artigianale, costruita con la massima cura.
La voce di Natalie è sempre bellissima.
Il titolo del post l'ho rubato ad uno degli episodi migliori dell'intero lavoro, su liriche di Charles Causley.

lunedì 26 aprile 2010

Strano ma vero

Ogni tanto anche questa lacustre, sonnolenta periferia di un impero già decadente di suo, ha un sussulto di vitalità. Incredibile ma vero.
info

Appendice

In barba ad una depressione primaverile di una ferocia senza precedenti, questo blog persiste nel mood comico a soggetto calzaturiero.


sabato 24 aprile 2010

Grandi manovre

Oggi il bluesman ha finalmente ricondotto alla ragione l’intrico disperato della ginestra. Poi ha riempito quattro sacchi d’erba - frutto del secondo taglio dell’anno -, infine ha vangato e preparato l’orto per la semina.
Quanto a me, non avendo la benché minima attitudine agreste, mi sono dedicata all’unica attività nella quale posso raggiungere livelli di eccellenza: lo shopping, in particolare quello ad indirizzo calzaturiero.

Entrata nel negozio con una richiesta ben precisa - colore blu, assolutamente nessuna apertura in punta, preferibilmente niente lacci né fibbie dietro – ne sono uscita per l'appunto con questo modello:


lasciando una commessa esausta in un mare di scarpe scompagnate, e spuntando per soprammercato uno sconto alla cassa a causa di una minuscola macchia in un punto nascosto dell’esemplare sinistro.
“Credo sia proprio una caratteristica del pellame” ha tentato di giustificarsi la commessa prima della resa.
“Vede, lei è molto gentile, ma deve sapere che io lavoro nel mondo della moda e ai nostri clienti non importa che la seta sia una fibra naturale, dunque soggetta a imperfezioni, lei capisce che la seta ha i nodi, vero?, è naturale che abbia i nodi, voglio dire, ha presente il bozzolo col baco dentro?, ecco un baco mica può filare chilometri di seta, mi spiego?, però ai nostri clienti non interessa sentire la storia del baco, loro vogliono la seta senza nodi, capisce, lavorando nel mondo della moda…”

Così imparano ad alzare i prezzi in tempi di crisi.

Il mio prossimo obiettivo è un giacchino impermeabile. Occhio alle cuciture. Non vedo l'ora di ripetere la sceneggiata del baco.

venerdì 23 aprile 2010

Ancora sullo scrivere

"I poeti della St Mark's Church erano così falsi e costruiti, scrivevano robe del tipo: oggi alle 9 e 15 mi sono fatto di speed insieme a Brigid...sono davvero bravi a mettere quella roba in una poesia, però se Jim Carroll arrivava a un reading fatto e vomitava questo non era poetico per loro, non era figo.
Finché ci potevi giocare nelle tue poesie, tutto bene, ma se ci dovevi fare i conti davvero allora le cose cambiavano e non volevano averci niente a che fare."

Patti Smith in "
Jim Carroll - punk ribelle poeta"

mercoledì 21 aprile 2010

La zona di consapevolezza

"Ora io trovo, la cosa importante che bisogna sapere prima di qualificare uno scrittore o narratore, come degno di essere letto, è: ha esteso (o no) la zona di consapevolezza nella esperienza del vivere? Anche del mio vivere individuale, personale."
(Guido Morselli, Il comunista)

domenica 18 aprile 2010

Record Store Day 2010

Non so più dire che origine avessero i miei primi 45 giri, quelli in comproprietà con mia madre (Abba, Baglioni, Queen), però ho un ricordo abbastanza chiaro di me bambina mentre mi dirigo alla cassa di un grande negozio di dischi di Milano per pagare il 45 giri di Campagna dei Napoli Centrale. Sono nata musicalmente onnivora: compravo dischi tutte le volte che ne avevo l’occasione, quando si andava in gita come quando si andava a far spesa alla Standa, che all’epoca disponeva anche di un buon reparto di musica classica. Si trattava sovente di acquisti impulsivi, ispirati da copertine suggestive: Chopin e Beethoven si fecero strada nel mio cuore grazie a quelle immagini romantiche ed evocative che sbucavano da un ovale su copertina argentea: ascoltavo la musica nella speranza di tradurre il mistero dei luoghi raffigurati – di solito boschi autunnali o giardini primaverili – col desiderio frustrato di varcare i confini di quell’assurdo limite di cartone, con la necessità insoddisfatta di una dose sempre più ricca di fantasia per sopperire ai limiti della realtà.

Verso la metà degli anni ’70, nel paese dove sono nata e cresciuta, aprì un piccolo negozio di dischi. Lo gestiva una coppia giovane, lui musicista di balera, lei una gran chiacchierona, un po’ svanita, comunque simpatica, che lasciava scorrazzare il figlio piccolo sulla moquette (“perché piangi?, ti sei fatto la pipì addosso?, eh meglio, su su fa così caldo, ti rinfrescherà un pochino”) e si intratteneva volentieri con mia madre mentre io sceglievo i miei primi 33 giri. Solo molto più tardi, quando il vinile uscì di produzione e io cominciai a occuparmene da collezionista, mi resi conto di quali straordinari opportunità offrissero questi modesti negozi di dischi, molto diffusi nei piccoli e medi centri di provincia. Accadeva infatti che questo genere di attività commerciali si rifornisse generalmente da grossisti, i quali, consegnando spesso la merce direttamente al negozio con mezzo proprio, consentivano rifornimenti rapidi e su misura evitando al commerciante l’impegnativo rapporto con le case discografiche. L’aspetto interessante della faccenda sta però nel fatto che, a loro volta, i grossisti cercavano di aggirare i vincoli imposti dalle sedi italiane delle multinazionali del disco, acquistando direttamente all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, con notevole risparmio. Accadeva così che questi piccoli negozi di provincia smerciassero inconsapevolmente e a prezzi assolutamente concorrenziali, preziose copie originali americane. Una pacchia che durò fino ai primi anni ’90, finché non ci si mise di mezzo la Siae.

Col tempo le mie esigenze discografiche, intrecciandosi con quelle di mio fratello, si fecero più sofisticate; l’approvvigionamento dovette così necessariamente ramificarsi e approdammo agli acquisti per corrispondenza. Ricordo che io e A. passavamo intere serate a spulciare i cataloghi degli ormai estinti Magazzini Nannucci di Bologna allo scopo di far quadrare i conti, bilanciando i nostri desideri con le cifre di volta in volta messe a disposizione da nostra madre. Una singolare iniziativa dei Magazzini Nannucci, che in qualche modo ci figuravamo come una entità mitica e inavvicinabile, era quella del pacco sorpresa: se l’acquisto superava una certa cifra, si poteva scegliere fra l’annullamento delle spese di spedizione o un pacco contenente cinque 33 giri a discrezione del negozio. Naturalmente si trattava spesso di merce invenduta, ma questo non significava che non fosse di qualità; e poi spesso si trattava di forati americani (cioè dischi fuori catalogo, contrassegnati da un piccolo foro nella copertina) che nel tempo si sarebbero rivalutati.

I miei percorsi musicali finirono per divergere da quelli di mio fratello: lui non condivise la mia insana passione per il movimento nato dalle ceneri del punk e così io mi organizzai autonomamente la mia rete di fornitori di musica, che poggiava su un paio di negozi di Varese e un paio di punti vendita specializzati di Milano. Naturalmente, il mio impiego presso un celebre negozio di Gallarate – iperspecializzato ahimè in musica americana – non significò l’interruzione dei miei rapporti con quei punti vendita – vedi il defunto Supporti Fonografici – in grado di soddisfare le mie esigenze discografiche più perverse (tipo acquisti in duplice copia di 12 pollici prodotti dal cugino di un amico di un tale che aveva militato in una band che mi piaceva e cose del genere, insomma). Piccola nota a margine: il più delle volte gli acquisti avvenivano solo sulla base di recensioni (quando non di essenziali trafiletti) scovati sul Melody Maker o su Rockerilla o stampa analoga. Niente possibilità di preascolto; niente internet, youtube, mp3, i-pod, i-tunes e chi più ne ha più ne metta: zero di zero. Ancora nella prima metà degli anni ’90 noi appassionati fruitori di musica avevamo a disposizione solo la carta stampata, la fiducia negli artisti e la speranza di incappare in un buon disco.

Gli ultimi momenti felici dei negozi di dischi risalgono alla metà degli anni ’90; già verso la fine del decennio si avverte chiaramente che il cambiamento è in atto. Internet sancisce il declino.
Qualche tempo fa, il figlio adolescente di certi vicini, vedendo la quantità di cd che affolla casa nostra - da notare: i vinili non li aveva mai visti, non sapeva a cosa servissero – si stupì del fatto che ognuno aveva una copertina e in qualche caso una confezione particolare in cartoncino. Insomma, ignorava completamente che i cd possono essere acquistati. “Ma dove va uno a comprare i cd?” ci chiese candidamente.

Le nuove generazioni ormai associano la musica al computer, in particolare a quel verbo orribilmente antimusicale che è scaricare. Inutile spiegare che il pc non è uno strumento nato e concepito per l’ascolto della musica. Perché alla base di tutto c’è l’assoluta mancanza di educazione musicale. Alla base della crisi dell’industria discografica non c’è il prezzo dei cd (ormai ci si può fare una vastissima discografia spendendo meno di dieci euro a pezzo), ma l’ignoranza. Alla base di tutto c’è il pregiudizio sulla musica intesa come passatempo usa e getta, c’è la totale assenza di curiosità che affligge le nuove generazioni, la tendenza a vivere in superficie, ad avere tutto e subito, a consumare senza nemmeno sapere cosa e perché. I tempi in cui un disco ti spingeva a comprare un libro sono davvero finiti per sempre. Non ho speranze riguardo alle nuove generazioni e sono contenta che i miei vent’anni, vissuti in immersione totale nella musica, siano passati da un pezzo. Che tristezza crescere senza musica e senza negozi di dischi. Che tristezza esser giovani oggi.


sabato 17 aprile 2010

La nube purpurea

“Dappertutto – sugli uomini, sui ponti, sui rotoli di corde – nella cabina, nella sala delle macchine – tra i battenti dei boccaporti – su ogni scaffale, in ogni angolo, si stendeva uno strato di cenere o polvere, sottile, impalpabile, purpurea; e su tutta la nave, come lo spirito stesso della morte, regnava tranquillamente quel profumo di peschi.
***
Lo strato di polvere, sottile ed esposto all’azione dei venti sopra coperta, si presentava nell’interno della nave sotto l’aspetto di una coltre spessa; dopo un giro di esplorazione, la prima cosa che feci fu di esaminare attentamente quella sostanza, anche se non avevo mangiato nulla in tutta la giornata, ed ero stanco da morire. Trovai il mio microscopio dove io stesso l’avevo lasciato, chiuso nella sua custodia, nella mia cabina a tribordo; per raggiungerlo dovetti sollevare il corpo di Egan, e poi scavalcare quello di Lamburn per entrare nella cabina degli strumenti; in questa stessa cabina, verso l’imbrunire, mi sedetti davanti al microscopio, per vedere se riuscivo a capire qualcosa di quella polvere; e intanto sentivo come se le miriadi di spiriti di tutti gli uomini che sono vissuti sulla terra, e gli angeli e i demoni, e il Tempo e l’Eternità, mi stessero tutti intorno, aspettando in silenzio il mio verdetto.”
(da La nube purpurea di Matthew P. Shiel, Adelphi)

giovedì 15 aprile 2010

Matrimoni negati e circenses

Ho trovato piuttosto irritante l’ampio risalto mediatico che è stato tributato questa vicenda. Voglio dire: si tratta in fondo di normale amministrazione, credo che, realisticamente, nessuno si aspettasse niente di diverso.
La notizia, tuttavia, è stata riportata con una tale enfasi da suonare come il proclama di una avvenuta e definitiva restaurazione. Un proclama assolutamente pleonastico, viene da dire, poiché siamo ben consapevoli di essere destinati a un futuro di oscurantismo e ignoranza. (Del resto sappiamo bene che, in linea di massima, i nostri uomini politici si accompagnano preferibilmente – salvo rare eccezioni – a puttane di sesso diverso; e che gli stessi tengono in così alta considerazione la famiglia tradizionale da averne spesso più d’una)

Mi sfugge però perché i circenses governativi elargiti al popolo tramite la televisione si servano di gay e lesbiche per rinvigorire gli indici d’ascolto: tanto per dirne una, i giornali che leggo dalla parrucchiera documentano senza reticenza la love story tra due concorrenti donne del Grande Fratello. Dunque: si titilla la curiosità morbosa dello spettatore (dell’elettore), si procede a una sorta di ufficializzazione delle relazioni tra persone dello stesso sesso tramite certa stampa e certa televisione (governativa) però quando si tratta di legiferare ci si ritira in buon ordine.
Alle giravolte ipocrite del nostro primo ministro siamo ormai avvezzi. Quel che mi preoccupa, però, e mi disgusta fino alla nausea, è l’indifferenza dello spettatore/elettore berlusconiano al quale mi piacerebbe chiedere cosa pensa dei matrimoni gay. Sono sicura che in risposta avrei solo lo sguardo ebete di chi non è abituato a porsi degli interrogativi o a sentirsi chiamato in causa
.

mercoledì 14 aprile 2010

Cover mania

Mi è ritornata fra le mani questa preziosa copia di estratti da due celebri balletti di Tschaikowsky. Copia preziosa non per repertorio ed esecuzione (mai avuta una simpatia particolare né per il compositore né per il direttore d'orchestra) ma per la mitica copertina argentea di Herbert Tobias.

Naturalmente la mia foto non rende minimamente giustizia all'originale: se cerco di catturare la spessa grana argentata del cartone, devo rinunciare alla trasparenza luminosa dei petali. Insomma, come si fotografa il genio?

martedì 13 aprile 2010

L'uomo nell'ombra di Roman Polanski


Adesso ho un'idea abbastanza chiara del perché gli americani ce l'hanno tanto con Polanski.
Ci tenevo comunque a dire che Ewan McGregor è proprio bello, instancabilmente bbono dalla prima sequenza all'ultima. E poi che secondo me il titolo era meglio non tradurlo. E poi basta così perché non si sa mai la CIA.

domenica 11 aprile 2010

Bright Star di Jane Campion

È possibile raccontare una storia come questa senza scadere nel più insopportabile sentimentalismo? Direi di sì, visto che Jane Campion c'è riuscita. Al bando tutti i manierismi, grande attenzione ai dettagli, ricostruzione maniacale degli ambienti, ottimo bilanciamento fra pathos e realismo. E poi l'ingrediente principale della ricetta sta nel soggettivare il racconto: una storia così non può solo essere mostrata, deve piuttosto svolgersi, svilupparsi, accadere sotto gli occhi dello spettatore; risultato che si ottiene più facilmente se si sceglie un protagonista (in questo caso Fanny Brawne) e gli si affida il racconto. Svelando subito l'elemento che induce l'attrazione di Fanny Brawne per John Keats (l'ossessione per la ricerca della bellezza), si elimina all'origine il rischio di estetizzare il sentimento.
La sceneggiatura, che attinge abbondantemente dalle famose lettere di Keats, è praticamente perfetta. Abbie Cornish, nei panni di Fanny Brawne, è strepitosa.
Resta da chiarire storicamente (ma è una curiosità tutta mia) che razza di personaggio fosse davvero Charles Brown, generalmente definito grandissimo amico del poeta, nonché autore della sua prima biografia, e dipinto nel film come un individuo assai sgradevole.
Consiglio la visione del film in lingua originale, se possibile: è un film così profondamente inglese e così ben recitato, che il doppiaggio non può che sminuirne la qualità.

giovedì 8 aprile 2010

Jim Carroll: la prima biografia


Ci sono poeti per i quali la vita non è che un accessorio funzionale alla scrittura: non credo che Jim Carroll appartenesse a questa specie. Attraversò il mondo con una sorta di umile stupore: qualcuno potrebbe dire il sonnambulismo perenne dell’eroinomane, certo, ma Carroll non fu autodistruttivo in modo sguaiato. Si lasciava sì blandire dall’eroina (o dal metadone, a seconda dei periodi) ma spesso con una sigaretta accesa fra le dita: in qualche modo le falangi scottate dai mozziconi gli permettevano di non staccare definitivamente la spina. Si direbbe che, nonostante tutto, la vita lo incuriosisse molto. Mite ed umile di cuore – autentico catholic boy – attraversò l’inferno per avere diritto a sperimentare la redenzione.

Jim Carroll fu essenzialmente poeta e scrittore. Capitò nel mondo della musica per caso, per curiosità, per amicizia; ma non pensò mai a se stesso come a un rocker. Nella sua esistenza, segnata dalla precocità dall’inizio alla fine, la musica rimase un’esperienza a tempo determinato. Nella New York irripetibile degli anni ’60 e ’70 conobbe tutti quelli che bisognava conoscere. Tutti lo ricordano come un uomo mite e gentile, bellissimo e pieno di talento.

È ad una coraggiosa
casa editrice indipendente di Genova che si deve la primissima biografia in assoluto dedicata a Jim Carroll, l’artista newyorkese scomparso poco più di sei mesi fa.
Federico Traversa, appassionato curatore del progetto, si serve delle numerose testimonianze degli amici più o meno illustri di Carroll per ricostruirne la vita e l’attività artistica in modo fedele e dettagliato.
Lettura consigliatissima.

domenica 4 aprile 2010

Lettere ritrovate di Guido Morselli


Segnalo questa preziosa raccolta di lettere scritte o ricevute da Guido Morselli tra il 1947 e il 1972: si tratta di missive rinvenute nei volumi giunti alla Biblioteca Civica di Varese per lascito testamentario. Morselli aveva infatti l’abitudine di archiviare la corrispondenza –incluse le proprie minute dattilografate – tra le pagine dei libri, secondo una logica ben precisa, tanto più significativa nel caso di carteggi con filosofi e scrittori. Un epistolario estremamente variegato che ci restituisce lo scrittore varesino (d'adozione) in tutta la sua complessa autenticità.
Qui di seguito riporto qualche stralcio dall’introduzione appassionata, intelligente e ben circostanziata di Linda Terziroli, curatrice dell’opera.

“Questa piccola, multicolore antologia di lettere, attesta il bisogno insaziabile dello scrittore di comunicare, di superare la barriera di incomunicabilità tra il proprio io ed il mondo, ovvero di interagire tra uomo e uomo, al di là dell’isolamento monadologico. E, a ben guardare, non è grafomania ma volontà irrinunciabile di aprirsi al confronto con l’altro, insieme all’intima necessità del Nostro di avere interlocutori di una certa levatura, proprio per lo spessore e la profondità del suo pensiero.[…] Il tormento di Morselli, creatura schiva, inselvatichita, isolata, sembra stridere con questo bisogno di comunicazione; la verità è che Guido Morselli desiderava un riconoscimento del valore delle sue opere, più che un’attestazione di stima alla sua persona.”

“Il vivere solo era una condizione scelta, ma Guido Morselli non temeva la solitudine: temeva piuttosto gli uomini[…] Lo spaesamento dell’uomo solo, ferito dal male umano è quel senso di disorientamento profondo causato dalla parentesizzazione delle esistenze che domina in Dissipatio H.G. Il tema frequente del viaggio, nell’intera opera morselliana, è indizio di una coazione al movimento.[…]La ricerca continua di una risposta credibile, attestata e incrollabile, quasi paradossalmente teologico-scientifica è il leit-Motiv, la chiave di lettura dell’opera letteraria e saggistica di guido Morselli, nonché delle domande che emergono da questo ventaglio di lettere. Lo Scrittore varesino era tormentato dai dubbi, assillato, quasi assalito a tratti, dalla ricerca, ardua in verità, di una spiegazione, dello svelamento di un dolore, di un lutto interiorizzato che faticava ad elaborare.
Il dialogo, sia pure soltanto scritto-letto, era la panacea di un momento, l’apparente risposta che, d’altronde, non risolveva i suoi radicatissimi dubbi. Morselli sembra ricercare l’introvabile, va in cerca, come trasfigura nella finzione letteraria dei suoi romanzi, di colui e colei che non risponde, di chi è presumibilmente scomparso.
Il destinatario (assente) è pertanto sempre assiduamente richiesto, soprattutto nell’appello più disperato, quello del suicidio.”

“Morselli è uno scrittore d’eccezione. Uno scrittore, per privilegio o per dannazione, condannato in vita all’intimazione del silenzio, al buio della sofferenza, che, a suo dire, negava il diritto alla felicità, e quindi alla vita. Solista, più che solipsista, è stato l’eletto o l’eccettuato, relegato, per comodità critica, in quell’inospitale (per lui) torre d’avorio, destinato a disperdere l’unicità e la preziosità di una vita alfierianamente dedita alla scrittura, nella più alta accezione del termine.”

venerdì 2 aprile 2010

Indietro tutta

Sono appena tornata dall'ufficio postale dove ho appreso che da ieri non sono più in vigore le tariffe agevolate per gli invii editoriali. Avremmo fatto volentieri a meno di questa nuova iniziativa di disturbo ai danni della libera circolazione della cultura. Comincio a sentirmi assediata.

giovedì 1 aprile 2010

Aprile

Da una parete dell’ufficio la ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer mi sorveglia enigmatica, lo sguardo vetroso che suggerisce complicità ma anche un impedimento invalicabile; un’ammissione di impotenza, insomma.

Nel sottobosco della ginestra sono sprizzati due giacinti blu: spavaldi come ospiti inattesi, hanno la tipica, sorprendente bellezza dei frutti illegittimi. Eleganza selvatica. Un monito doloroso.


Un'inquietudine oscura mi impedisce di apprezzare questa primavera dal clima nordeuropeo, un malessere profondo sigilla l'immaginazione. Inutilmente forsizia e fiori di pesco si affannano a contrastare lo schiaffo della pioggia. E l’unica alternativa a questa rassegnazione senza parole sono i soliti sogni di fuga.