domenica 31 gennaio 2010

Di chi sarà la terra

"Deve camminare un po’ per togliersi dalle narici l’odore di quell’inferno. Si ferma in un pub per una pinta di birra. Ha voglia di telefonare in Italia, di parlare con qualcuno. Che cosa sta facendo questo vecchio, decrepito continente al Terzo Mondo? Questo popolo di pirati e di beoni rissosi alle sue ex colonie, ai suoi ex sudditi, a chi ha piegato con la frusta e la violenza dopo averlo depredato e sfruttato? Con quale ipocrisia l’europeo impone regole e comportamenti come se i valori fossero ancora dell’Occidente quando invece tutto dimostra il contrario? Qual è la ragione per cui da ogni angolo del mondo i più disgraziati, i più poveri, i reietti della storia, le valanghe di straccioni, le orde di pezzenti e di mendicanti invadono le città dovendo addirittura scimmiottare, per integrarsi, di essere educati, perbenisti, ipocriti come tutta intera la middle class europea? Come non provare una immensa, profonda, proprio interiore vergogna nel vedere gli occhi del ragazzo indiano con la sua giubbetta McDonald steso sul letto nel tentativo di recuperare qualche ora di sonno fra un turno e l’altro? Il risultato, pensa Leo, è che ci stiamo contendendo le città palmo a palmo con i poveri. E lui può già vedere la vecchia e malata Europa, con tutta la sua grandeur e la sua cultura e la sua boria, il suo tè delle cinque e le sue cerimonie accademiche, abolita, occupata, conquistata dalle masse dei più miseri, dei più affamati, dei più sfruttati. Sarà la loro guerra. I poveri si vendicheranno seminando figli ovunque, riproducendosi a raffica come il crepitio delle mitragliatrici, occupando ogni postazione con i propri cadaveri, usando se stessi come forza di sfondamento. Vinceranno, e di loro, evangelicamente, sarà la terra."
(Pier Vittorio Tondelli, "Camere separate", Bompiani)

venerdì 29 gennaio 2010

Pense no Haiti, reze pelo Haiti



"Ninguém, ninguém é cidadão"

("Haiti" di Gilberto Gil e Caetano Veloso, 1993)

giovedì 28 gennaio 2010

mercoledì 27 gennaio 2010

Delusione

Rinviato a chissà quando il previsto concerto di Krystian Zimerman a Varese. Che tristezza. Per l'occasione avevo addirittura positicipato la vacanzina. Ci tenevo così tanto. Lo dicevo io che era troppo bello per essere vero. Avrebbe pure suonato Chopin.

martedì 26 gennaio 2010

Quando

"Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle
Sur l'esprit gémissant en proie aux longs ennuis,
Et que de l'horizon ambrassant tout le cercle
Il nous verse un jour noir plus triste que les nuits"
(Baudelaire, "Spleen")

lunedì 25 gennaio 2010

Grigory Sokolov al Salone Estense di Varese

Brevissimamente sul concerto di ieri sera. L'interpretazione della partita bachiana mi ha lasciata del tutto indifferente: sarà che non riesco più ad ascoltare Bach al pianoforte, sarà che la lettura di Sokolov pareva semplicemente quella di un grande pianista che ripassa la tecnica prima di mettersi a studiare. Quanto a Brahms il mio giudizio non vale data l'incompatibilità tra me e l'autore. Ma la seconda parte. Ecco, con Schumann è saltato fuori il genio che volevo sentire. Al di là di ogni possibile retorica, per un attimo mi sono sentita davvero trascinata nel gorgo della follia schumanniana che più che follia, appunto, doveva essere solo disperazione, incapacità di rassegnarsi alle inutili nefandezze della vita. Negli encore, poi, (io ne ho contati cinque non so dire se ne abbia concessi altri) Sokolov ha ristabilito il contatto con l'altro immenso genio che ci ha regalato l'anno 1810. Sentire Chopin suonato da Sokolov è un'esperienza unica: non ci sono aggettivi possibili. Sokolov è uno dei pochi in grado di trasmettere la straordinaria modernità del compositore polacco. Ascoltando il Preludio op.28 in Re Bemolle Maggiore (che tonalità dark!) mi venivano in mente il Samba de uma nota so di Jobim, gli assoli mononota di Lou Reed, persino, nel suo piccolo, 10.15 Saturday night dei Cure con quel rubinetto che perde... Bisogna essere in grado di dare un senso ad una nota ribattuta all'infinito. Il preludio op.28 in Re Bemolle Maggiore, sotto le dita di qualcun altro potrebbe prestarsi ad evocare un martello, mentre il La Bemolle ostinatamente ribattuto da Sokolov suona come un'ossessione di velluto, una tempia che pulsa, un'angoscia sotterranea. Che genio.

venerdì 22 gennaio 2010

Promemoria



I Classici del Caffè è a Milano, in via Foppa 4.

giovedì 21 gennaio 2010

Giorno di sant'Agnese

Giorno di nebbia e ghiaccio. La mia auto, la mattina, è una fragola glassata. Sono varie le tecniche per scrostare i finestrini: il raschietto va usato sapientemente – come un rastrello o come una spatola – in base alla friabilità dell'incrostazione.
Ogni mattina penso al senso di Smilla per la neve e ai 20 e più tipi di neve classificati dagli Inuit della Groenlandia.

Giorno di Sant'Agnese. Di là dai vetri ogni tanto sbuffano vapori di nebbia che si raggrumano sugli aghi di pino come la neve finta che si spruzza sui presepi.
"Io vado in bicicletta per sentirmi vivo
alle 5 di mattina con la nebbia nei polmoni"
Impossibile per me non associare il nome Agnese alla canzone di Ivan Graziani, è un processo automatico, e da lì, sempre automaticamente, si apre il ricordo di un lontano giorno d’agosto a Dublino. Non c’è mese peggiore d’agosto, in Irlanda.
Alloggiavo al Trinity College, in una stanzetta dove, fortunatamente, al mio arrivo non avevo riscontrato insetti vivi. Una mattina senza speranza mi svegliai con in testa la canzone di Ivan Graziani. Quale sarà stato il motivo? Forse quel verso che si schiude su un passaggio armonico luminoso: “È uscito un po’ di sole da questo cielo nero”? Forse. Certo il cielo era impietoso. Naturalmente decisi di uscire lo stesso, con la canzone in testa: non c’era modo di farla scivolare via, o forse ero io ad aggrapparmici come a un ricordo buono.
Non avevo ancora varcato i confini del college che dal cielo crollò un diluvio insopportabile. Dal viottolo schizzai ad un edificio vicino dove mi rifugiai nel primo anfratto. Mi ricavai un angolo accanto a tre turisti dai lunghi impermeabili chiari. Una madre teneva stretta a sé una bimba imbronciata. “Stai qui buona, Agnese” le disse in italiano. Non avevo mai conosciuto nessuna Agnese, non avevo pensato alla canzone di Ivan Graziani da anni.
Provai una sorta di imbarazzo per quella premonizione così evidente. Accanto a quel nucleo famigliare così ben equipaggiato di amorevolezza e buon senso mi sentii un'estranea. Seguitai a tollerare quella dolorosa vicinanza per un poco, mantenendo il silenzio, fingendomi straniera. Poi mi lanciai sotto il diluvio.

martedì 19 gennaio 2010

Come un eremita

“Come un eremita, era maturo per la solitudine, sfiancato dalla vita da cui non si aspettava più nulla; e come un monaco si sentiva pervaso da un’immensa stanchezza, da un bisogno di raccoglimento, dal desiderio di non avere più nulla in comune con i profani, che per lui erano gli utilitaristi e gli imbecilli.
Insomma, benché non provasse alcuna vocazione per lo stato di grazia, nutriva una sincera simpatia per le persone chiuse nei monasteri, perseguitate da una società malevola che non perdona loro né il giusto disprezzo che hanno per lei, né la risoluta volontà di riscattare, di espiare con un lungo silenzio la spudoratezza sempre crescente delle sue chiacchiere assurde e stupide.”

(J.K. Huysmans “Controcorrente” trad. Fabrizio Ascari, Mondadori)

lunedì 18 gennaio 2010

Alice e le derive lisergiche

Non riesco a pensare ad una storia che, più di quella di Alice, abbia saputo calamitare e stimolare le fantasie, per loro natura già parecchio esigenti, dei fruitori di sostanze allucinogene (menzione speciale per Grace Slick e la sua White Rabbit). Nella Londra dei primi anni ottanta l'LSD aveva ripreso a circolare con estrema facilità e il video qui sotto lo dimostra ampiamente.
La cosa buffa è che questo video - che a suo tempo mi procurai in VHS grazie allo spericolato traffico di bootlegs new wave che dilagava in Francia - mi è tornato in mente all'improvviso e senza alcuna ragione proprio l'altro giorno, proprio poco prima di accendere il computer e leggere che Robert Smith parteciperà alla colonna sonora dell'Alice di Tim Burton con una cover del "classico" Very good advice.

sabato 16 gennaio 2010

Settimana strana

All'insegna della mia lotta contro una tosse spaccatesta e toglisonno. Aggiungere lo slalom tra presenze e assenze in ufficio causa ritorno in grande stile dello spettro CIG. Settimana insolita anche perché allietata da due belle sorprese, giunte in contemporanea benché assolutamente indipendenti tra loro: l'inatteso post di S - mai avremmo pensato di meritare tanto - e la notizia della prossima presentazione milanese con interessante strascico di nuove amicizie.
Su tutto naturalmente l'ombra dell'orrore inumano di Haiti che smorza ogni accenno di gaiezza. C'era qualcosa che volevo dire a proposito della colonna sonora dell'Alice di Burton. Ma un'altra volta, forse.

lunedì 11 gennaio 2010

Furore

Certo la morte di Rohmer è una notizia triste. Ma mi deprime molto di più tutto quello che accade in questi giorni, l'odio istituzionalizzato, l'ignoranza elevata a sistema. Mi viene in mente Furore di Steinbeck e penso, molto banalmente, che se la gente leggesse di più forse non riuscirebbe ad abbassarsi a tanto, forse non ce la farebbe a negare l'evidenza. Poi leggo che anche Israele avrà il suo muro e allora realizzo che per l'umanità non c'è alcuna speranza.

domenica 10 gennaio 2010

Cose che non capisco tanto

Ci sono giusto un paio di cose che non capisco tanto nei recenti fatti di Rosarno, una delle quali è il silenzio, che a me pare pressoché totale, da parte del capo del Governo. Come se la questione non lo riguardasse.
Inoltre io, se fossi ministro dell'Interno, mi preoccuperei innanzitutto di dare la caccia a chi da anni arruola lavoratori in nero senza evidentemente versare alcunché allo Stato. Non so, mi sembra un concetto abbastanza elementare.
E poi, a voler guardare, ci sarebbe da chiedersi chi andrà adesso a spaccarsi la schiena sotto le intemperie a raccogliere agrumi per una miseria.
Non so, credo che se fossi ministro dell'Interno mi farei un po' di domande e mi verrebbero un po' di sospetti. Ma forse il mio è solo l'eccesso di fantasia tipico di chi scrive romanzi.

P.S. Intanto stamattina su Radio Padania il popolo della Lega si è lanciato a ruota libera in difesa dei calabresi virtuosi amanti della propria terra. Mah.

Cose che tirano un po' su il morale


Proprio al settimo cielo no, però prodotti come questo vinile 10" degli And Also The Trees quando ti arrivano in casa portano almeno uno squarcio di sereno. Soprattutto se sono accompagnati da un biglietto di ringraziamento scritto a mano.
Piccolo particolare: il disco - a tiratura limitata di sole 500 copie - è uscito da un mese e a me è giunta la copia numero 60.

venerdì 8 gennaio 2010

Happy birthday David

Un pensiero devoto al Maestro che oggi compie 63 anni.

Bandiera bianca

Da due settimane il mio sistema immunitario si rifiuta di collaborare, si astiene dal fare il proprio dovere. Insomma se ne frega. Non ne può più nemmeno lui, evidentemente. Suppongo sia giunto alle mie stesse conclusioni: tanto sbattersi a fare le cose per benino e il risultato è una corsa ad ostacoli senza fine. E senza senso. Insomma dichiaro ufficialmente che io e il mio sistema immunitario ci siamo arresi. Non ci indigneremo più per gli stipendi da fame, non ci scandalizzeremo più per un ministro dell'Interno che, qualunque cosa accada, è sempre colpa della tolleranza verso gli stranieri. Ce ne fregheremo altamente di tutte le orribili vilette che si moltiplicano a dismisura su un territorio non attrezzato ad ospitarle, ragione per cui lunedì sera ci toglieranno di nuovo l'acqua nonostante ce la facciano pagare più che salata. Fingeremo di non aver sentito le clamorose menzogne dell'editore che bleffa sulle vendite della nostra creatura e ce ne fregheremo di tutte le domande senza risposta, di tutte le promesse non mantenute. Il mio sistema immunitario ed io ne abbiamo fin qui e desideriamo esprimere tutto il nostro disprezzo per ciò che ci circonda.

mercoledì 6 gennaio 2010

Como

È un peccato che Como sia una città così cupa e conservatrice, lugubre e ripiegata su se stessa. È un peccato che sia amministrata da emeriti idioti privi di slancio e cultura. Un peccato che sia abitata prevalentemente da gente che pensa a fare soldi e a dare a vedere di averli fatti.

Ieri pomeriggio ci sono finita un po’ a caso, in fuga da certi parenti che avevano paventato una visita. Sia che si acceda alla città da piazza Camerlata, sia che vi si giunga attraverso le gallerie di San Fermo, si resta sgomenti dinanzi al caos urbanistico, al grigiore, al senso di abbandono che affligge gli edifici dormitorio datati anni ‘60. Poi certo il centro storico addolcisce la cupezza opprimente col conforto della storia, ma la serenità non fa mai capolino in questa culla del provincialismo all’ennesima potenza.

Più per senso del dovere che per piacere passo a salutare un ex collega nel negozio ora suo. Il secchio pieno di acqua nera, lo straccio sul pavimento e l’ex collega imbacuccato che saltella per scaldarsi non fanno una bella impressione. Il telefono squilla in continuazione e l’ex collega si ostina a non rispondere con il pretesto che “sarà senz’altro qualche rompipalle”. Il mio concetto di gestione di un'attività commerciale è radicalmente diverso, ma non sono affari miei. Giusto per non uscire a mani vuote compro l’unica cosa comprabile, cioè il primo cd di Antony and the Johnsons (carino ma mi aspettavo di più). Poi fuggo verso il centro storico accompagnata da frotte di ragazzine che consumano gli ultimi scampoli di vacanza ed è così che apprendo che a Como una donna non può definirsi tale se non indossa degli attillatissimi pantaloni in latex nero+All Star oppure minigonna+stivali dotati di plateau e tacco vertiginoso. Preso atto della mia inadeguatezza di campagnola in anfibi e jeans di velluto, mi inoltro tra le viuzze guardandomi in giro come una turista. Forse l’ultima volta che sono passata di qui è stato nel settembre 2007 per una conferenza di Franco Buffoni, penso. Intanto raggiungo la piazzetta San Fedele – davvero bellissima – dove scopro una nuova libreria e dove finalmente compro À rebours di Huysmans, grave lacuna da colmare (come si può dire di aver compreso a fondo Dorian Gray se non si è letto À rebours?).
L’interno della Basilica di San Fedele è sprofondato in un buio arcaico. Lingue di fuoco, minacce medievali, ossa e teschi dietro una grata antica. Sull’altare qualcuno sta lustrando l’interno del tabernacolo e un infelice dal viso paonazzo (tossico o avvinazzato non saprei) si dirige sicuro lungo la navata centrale e chiede insistentemente di parlare con un certo prete. L’uomo dedito alle pulizie lo apostrofa in modo brusco, poi dall’oscurità emerge una figura anziana, forse un prete, che ricaccia l’uomo in malo modo.

Raggiungiamo il lungolago sotto un cielo di ghiaccio. Nei pressi della lunga barricata di legno – preludio al muro antiesondazioni che verrà – spira un vento gelido che puzza di fogna. Tra vestigia liberty e patetiche reminiscenze anni ’60 l’atmosfera è insopportabile.
Ci infiliamo di nuovo nei vicoli del centro storico che pullulano di baretti cozy, vinerie strafighe e boutique di creazioni artigianali (nessuna che brilli per creatività, solo una gran quantità di stracci dai colori improponibili).
Lasciamo i comaschi al loro destino, alle loro imposte stinte, agli aperitivi modaioli, allo smog che tutto impolvera. Abbandoniamo Como al suo declino verso il quale si incaponisce un passo dopo l’altro, un passo dopo l’altro, a testa bassa, lungo il sentiero della conservazione di ciò che non c’è più.

martedì 5 gennaio 2010

Natalie Merchant e Mervyn Peake


Apprendo dal blog di Sebastian Peake che Natalie Merchant ha messo in musica It makes a change, breve poema nonsense di Mervyn Peake tratto dalla raccolta Rhymes Without Reason.
Nella foto l'illustrazione di Peake per It makes a change.

L'uscita di Leave your sleep di Natalie Merchant (Nonesuch) è prevista per la primavera 2010.


lunedì 4 gennaio 2010

Desolazione

Quando entro qui ho la sensazione di chi entra nell’appartamento dove ha appena traslocato senza pensarci troppo. Manca tutto.
Intanto stamattina, per sentirmi viva, ho fatto un giro “in centro” (mi scappa da ridere).
I margini delle carreggiate continuano ad essere presidiati da escrescenze di ghiaccio immondo, impastato di aghi di pino e foglie morte. Tutti arranchiamo nel putrido gelo di questa desolante siberia, tutti trasciniamo le nostre vite fingendo che questo sia l’unico modo, che non vi sia alternativa. Solo D, il tabaccaio, viaggia sicuro dietro il bancone dispensando grattaevinci e ricariche e sigarette.
Sotto i portici vicino alla pasticceria un pezzo di carta igienica sporco di merda rantolava sulle piastrelle arancioni. Non l’ho nemmeno sfiorato ma la sensazione di sporcizia non ha smesso di brulicarmi su per le gambe finché non ho fatto un po’ di strada nella speranza che l’asfalto bruciasse la contaminazione. Incredibilmente, a poco a poco il cielo è trascolorato in un celeste antico. Nei campi attorno al cimitero brandelli di cellophan penzolavano dalle robinie come anime senza pace. Tornata a casa ho lavato la suola delle scarpe. You never know.

Dall'Irlanda

Non è vero che Van Morrison ha avuto un quarto figlio. Era solo lo scherzo di un hacker che si è infiltrato nel suo website.
Intanto le strade dell'isola continuano ad essere ghiacciate, a Natale all'aeroporto di Dublino sono stati registrati -6° e altrove nell'isola si è arrivati a -10°. Crollato anche il mito dell'inverno irlandese.
Crollato anche un pezzo di fabbrica della Guinness a causa di un incendio che ha devastato un magazzino. Tanto fumo ma nessun ferito. Intanto a vedere quelle immagini mi si torcevano le budella. Quelle strade. Non sono forse le mie strade? Ma io, perché sono qui?

domenica 3 gennaio 2010

La solita storia

Basta leggere i blog degli altri per capire che sono tutti più brillanti, più utili, più intelligenti. Ecco perché ho chiuso la soffitta. Mi sentivo così provinciale che ho preferito uscire dal gioco. Il mio gioco preferito è demolire pezzo per pezzo tutto ciò che costruisco.

Chiuso un blog se ne apre un altro

Qualcosa che somigli a un diario, stavolta.