lunedì 25 gennaio 2010

Grigory Sokolov al Salone Estense di Varese

Brevissimamente sul concerto di ieri sera. L'interpretazione della partita bachiana mi ha lasciata del tutto indifferente: sarà che non riesco più ad ascoltare Bach al pianoforte, sarà che la lettura di Sokolov pareva semplicemente quella di un grande pianista che ripassa la tecnica prima di mettersi a studiare. Quanto a Brahms il mio giudizio non vale data l'incompatibilità tra me e l'autore. Ma la seconda parte. Ecco, con Schumann è saltato fuori il genio che volevo sentire. Al di là di ogni possibile retorica, per un attimo mi sono sentita davvero trascinata nel gorgo della follia schumanniana che più che follia, appunto, doveva essere solo disperazione, incapacità di rassegnarsi alle inutili nefandezze della vita. Negli encore, poi, (io ne ho contati cinque non so dire se ne abbia concessi altri) Sokolov ha ristabilito il contatto con l'altro immenso genio che ci ha regalato l'anno 1810. Sentire Chopin suonato da Sokolov è un'esperienza unica: non ci sono aggettivi possibili. Sokolov è uno dei pochi in grado di trasmettere la straordinaria modernità del compositore polacco. Ascoltando il Preludio op.28 in Re Bemolle Maggiore (che tonalità dark!) mi venivano in mente il Samba de uma nota so di Jobim, gli assoli mononota di Lou Reed, persino, nel suo piccolo, 10.15 Saturday night dei Cure con quel rubinetto che perde... Bisogna essere in grado di dare un senso ad una nota ribattuta all'infinito. Il preludio op.28 in Re Bemolle Maggiore, sotto le dita di qualcun altro potrebbe prestarsi ad evocare un martello, mentre il La Bemolle ostinatamente ribattuto da Sokolov suona come un'ossessione di velluto, una tempia che pulsa, un'angoscia sotterranea. Che genio.

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