domenica 25 dicembre 2011

And the night is set to freeze

"Is there a time for tying ribbons
A time for Christmas trees
Is there a time for laying tables
And the night is set to freeze"

sabato 24 dicembre 2011

venerdì 23 dicembre 2011

Christmas Carol

Il mendicante ha le scarpe dorate. La ragazza se ne accorge subito mentre a testa bassa, con l’imbarazzo di chi vorrebbe passare inosservato, attraversa la pietosa cantilena – "monetina, monetina, monetina" – e afferra la maniglia antica, unta di impronte. Di tutte le scarpe che avrà avuto a disposizione al centro di accoglienza – pensa la ragazza scegliendo il comodo rifugio di una panca – ha voluto proprio quelle, quelle gelide pantofoline sportive di plastica oro, leggermente appuntite e sigillate dal velcro. Prima di congedarsi dall’oscurità, la ragazza si sfila i guanti e, sforzandosi di contenere lo sfrigolìo dei sacchetti, fruga la borsa in cerca di una moneta. Ne cava un soldino da venti centesimi: è la sorte che ha deciso. Fuori, alla luce e al freddo del giorno, il mendicante è costretto a levarsi di tasca la mano timida, dalla carnagione incerta, per accogliere e ringraziare quella miseria.
Non sono molte le ragazze che oltrepassano la soglia secolare della chiesetta: il mendicante è avvezzo al passo misurato dei vecchi, alla gravità dei loro sguardi; il mendicante ha rispetto di tutto il silenzio doloroso che si deposita dietro il portone di legno. Anche la ragazza sembra avere in sé qualcosa di vecchio e stanco, forse per via del cappotto grigio militare, pendente su un lato e sformato dagli anni.
Il venditore di specialità gastronomiche tirolesi è di gran lunga il più attraente, giudica la ragazza: sguardo affilato, occhi chiari e cappello da brigante, ha il buon gusto di non incitare agli acquisti, come invece sta facendo il titolare del banco di cibarie toscane. La ragazza prova una fitta al cuore per tanta modestia, tanta bellezza unita all’eroica sopportazione del gelo. Sono mille gli articoli in esposizione e tutti le fanno battere il cuore, tutti la inteneriscono ed esaltano quanto il venditore. Un brezel, sì, un brezel se lo può permettere. Ma intanto è arrivata una cliente che sa il fatto suo: insensibile, assaggia dello speck, contratta e compra.
La voce del venditore non corrisponde alle aspettative: la ragazza non si sente più così obbligata a comprare. Sceglie due brezel, quattro euro di spesa, ecco tutto. Però il banco trabocca di leccornie: strudel, gnocchi, formaggi, salumi, funghi. La ragazza raccoglie i suoi sacchetti e indugia ancora, avvolta nel sacco informe del pastrano, e non immagina quanti occhi siano puntati su di lei: tutti i venditori esaminano la sua indecisione, con studiata naturalezza sperano che la ragazza si volga verso la loro mercanzia. Invece no, la ragazza resta ancorata alle ghiottonerie tirolesi e decide di regalare un pezzo di formaggio al marito – non sa ancora dove lo nasconderà fino a Natale, la casa è tanto piccola, potrebbe metterlo nell’armadio, ma quando prova a immaginare la caciottina accanto alle scorte di assorbenti e calze la prospettiva le appare intollerabile – ed ecco di nuovo le monete di resto di poco fa che ritornano nelle mani del venditore. Quando finalmente fa per abbandonare il banco tirolese, la ragazza incrocia lo sguardo del mendicante e ha la certezza che lui ha seguito ogni sua mossa: come se fosse stata sorpresa a rubare, abbassa lo sguardo e prova a deviare dietro gli allestimenti dei venditori di cibarie. Un dedalo di cavi, transenne, teli ripiegati: voleva essere un modo disinvolto di scomparire ma si risolve in un goffo ritorno alla piazzetta. La ragazza esce di scena immettendosi sul corso principale sotto gli occhi di tutti. Il mendicante la guarda svoltare l’angolo verso il porticato: pensa alla moneta da due euro che le ha visto scivolare dal portamonete e poi rotolare sotto il banco tirolese, ma i piedi sono così freddi da far male, non sa se ce la farà a resistere fino alle sette, l’ora in cui gli ambulanti sbaraccano. Mai più scarpe dorate in futuro, decide: parevano un sogno ma sono solo una fregatura.

mercoledì 21 dicembre 2011

E luce fu

Stanotte ho sognato che dovevo cambiare una lampadina ma non sapevo come fare, non mi ricordavo più. Ho acceso il fornello per procurarmi un po’ di fuoco, perché mi sembrava abbastanza logico che la cavità filettata destinata a ricevere la lampadina dovesse essere in qualche modo incendiata (altrimenti da dove sarebbe arrivata l’energia necessaria?). Il problema però era trasferire il fuoco dal fornello al lampadario: ho provato a incendiare un pezzo di carta da cucina ma mi si spegneva in continuazione. Meno male che a un certo punto è arrivato mio fratello (quello che non c’è più) con indosso il maglione ginnasiale beige a greche marroni. Senza dire una parola mi ha tolto di mano la lampadina – di quelle affilate e tornite che forse non fanno più -, l’ha avvitata e subito c’è stata luce. Tutto così semplice, molto più di quanto pensassi.

domenica 11 dicembre 2011

Il lusso della carta

Non ho molte strenne da confezionare, quest'anno:  probabilmente il mio archivio di carte da regalo e nastri correlati offre già materiale sufficiente; tuttavia non sono riucita a trattenermi dal comprare nuove carte e nastri adeguati. È un lusso che amo concedermi, nonostante tutto: è insieme il mio autoregalo di Natale e una sorta di rituale scaramantico. Sono in particolare i doni per le persone più care a meritare la confezione più preziosa, l'involucro più nuovo e ricercato. Non è raro che il contenuto del pacchetto valga meno del pacchetto stesso.
Devo dire però che, da qualche anno a questa parte, la ricerca delle carte da regalo si fa sempre meno gratificante. Sono poche le cartolerie che investono in questo settore; il margine di scelta è ampiamente ridotto, la fantasia scarseggia e si punta sulla praticità. Per quanto mi riguarda, non credo che mi rassegnerò mai ai rotoloni di carta gracile, stampata a motivi grossolani, destinata ad essere trattenuta da stringhette zigrinate. Carta da pacco e spago, piuttosto, e senza ironia.

sabato 3 dicembre 2011

Non so (post un po' ermetico, ma poi neanche tanto)

Mi sembra che abbia perso senso un po' tutto quello che sto facendo. Mi vengono in mente mille cose da scrivere  - ed è vergognoso che io non abbia detto nulla di quello che l'incredibile Pietro De Maria ha suonato domenica scorsa a Varese -  ma poi mi trovo sempre qualcosa di più urgente da fare. Non capisco se sia una forma sofisticata di autolesionismo o solo colpevole ignavia. O piuttosto il caos mentale/esistenziale in cui non so più distinguere il bandolo né la matassa. Una sorta di Messie Syndrome applicata ai pensieri. Brutta storia. A quanti sono affetti dalla mania dell'accumulo si consiglia di cominciare a fare ordine a partire da uno spazio ridottissimo; in casi estremi, però, il semplice tentativo di  riorganizzare un cassetto può sfociare in un fallimento: il caos circostante infatti genera ansia, deconcentra e scoraggia chi vorrebbe tornare sulla retta via. Secondo gli inflessibili canoni di ogni dipendenza, il meccanismo malato della ripetizione si riaffaccia rassicurante, allettante: un attimo di distrazione e la retta via è già smarrita. Meglio tornare al disordine nebuloso che ottenebra, al caos che intralcia, ostruisce le strade, scoraggia le scelte. Che altro era, del resto, la soffitta di Fuchsia se non un confortante regno del caos, una fiera barricata contro il mondo?