martedì 15 giugno 2010

"unjustified and unjustifiable"

“Manifesti e volantini sventolano in mille direzioni diverse annunciando concerti, incontri religiosi, rappresentazioni teatrali, svendite e altri incontri religiosi. In Brunswick Street una lacera locandina arancione invita a una serata nella Cattedrale-discoteca viaggiante del reverendo Ramsden. È gradito l’abito da sera. Ingresso vietato ai cattolici.
Qua e là, accanto a una finestra o in cima a una torretta, sventola una bandiera; migliaia di stendardi, ma solo cinque colori: verde, bianco, oro, rosso e blu. I due tricolori della discordia.
Sparsi in tutta la città, sui marciapiedi, davanti ai portoni o tra le aste delle inferriate, ci sono mazzi di fiori. In ogni angolo di strada, avvolti in carta trasparente, piccoli giardini artificiali, fiori ancora freschi dai colori vivaci, oppure avvizziti e spenti. Ogni passeggiata in città è cadenzata dal susseguirsi di quei mazzi posati dagli abitanti di Belfast là dove sono stati uccisi i loro concittadini. Quando i petali sono ormai secchi, ci si domanda chi sia morto in quel punto e non si riesce mai a ricordarlo.
È solo in piena notte, dall’alto, che la città sembra un insieme organico, un tutto unico. Quando i suoi abitanti dormono, il disordine diurno si ricompone e, per lo meno geograficamente, la città appare un’entità compatta. Potrete scorgere allora gli anelli di nero basalto che l’abbracciano, i monti, le colline e le distese pianeggianti e vedere nella grande baia ai piedi della metropoli il mare scuro che ne irrora il cuore. […]
Per quanto incantata e sfavillante, Belfast parla chiaro. Le bandiere, le scritte sui muri e i fiori sui marciapiedi parlano chiaro. È una città in cui la gente è pronta a uccidere e a morire per pochi brandelli di stoffa colorata. Questo si aspettano i due popoli che l’abitano, divisi da quattro, o otto, secoli di differenze religiose e civili. Un’assurdità, un rompicapo che avvelena il sangue, una spirale senza fine che impedisce ogni cambiamento.
A notte fonda, però, la fresca brezza che attraversa Belfast sussurra che l’odio è come Dio: non lo potete vedere, ma se combattete in suo nome e credete ciecamente in lui, riscalderà le vostre notti.
Se volgete lo sguardo sulla città (i vostri occhi devono, come i nostri, essere democratici osservatori e imparziali testimoni della realtà), vedrete chiaramente che c’è davvero qualcosa che divide i suoi abitanti: qualcuno questo qualcosa lo chiama religione, altri politica, ma è solo il denaro il vero motivo di differenza e di discordia. Ci potete scommettere, e non perderete il vostro denaro.
Vedrete strade immerse nel verde e strade soffocate dal cemento: immaginatevi vite immerse nel verde e vite soffocate dal cemento. Nei quartieri ricchi e nei sobborghi senza un centimetro quadrato d’erba, i vostri occhi scorgeranno la verità.”

(Robert McLiam Wilson, Eureka Street, Fazi Editore 1999)

2 commenti:

massi ha detto...

Eureka Street è uno dei libri più belli che ho letto negli ultimi 5 anni. Dovrei cercare altro dello stesso autore, grazie per avermelo ricordato.

exit ha detto...

Massi, non sono sicura che Eureka Street sia un capolavoro: io lo trovo un po’ eccessivo e ridondante (da che pulpito…) e credo che la storia potrebbe tranquillamente dimagrire di un terzo delle pagine senza risentirne, anzi. Ciò premesso lo considero un libro fondamentale che scardina i meccanismi assurdi del conflitto angloirlandese e, per estensione, di tutti i conflitti di tipo politico-religioso. McLiam Wilson deriva dalla tradizione irlandese il tono tragicomico del racconto, ma il suo sguardo è sempre molto lucido, il linguaggio a tratti tagliente. È un libro discontinuo, appesantito da lungaggini, e tuttavia contiene pagine esemplari: il capitolo sulla bomba in Fountain Street è da antologia, dovrebbe essere letto nelle scuole.
Non un capolavoro ma, a modo suo, un libro prezioso.