venerdì 23 marzo 2012

We're on a road to nowhere

"Nessuno chiede alla Confindustria di rinunciare a priori al suo ruolo sindacale, ma dagli imprenditori il Paese si aspetta molto di più che una continuativa azione di lobby. Chiede che riprendano ad investire, che patrimonializzino le loro aziende, che partecipino ai destini nazionali, che ritrovino la giusta intensità anche sul terreno delle motivazioni. Per superare la crisi c’è bisogno di uomini e donne che alla testa delle loro imprese sappiano rischiare, conquistare i nuovi mercati, magari riportare qualche azienda in Italia." Non so se ci voglia più ingenuità, faccia tosta o leccaculismo per scrivere una cosa del genere.
Per una volta mi riesce impossibile dar torto a Rosy Bindi la quale, in questa intervista, si fa venire un dubbio che condivido in pieno: "Io mi sono chiesta ad esempio come mai gli imprenditori non abbiano alzato le barricate contro una riforma delle pensioni che li obbligherà a tenere i lavoratori fino a 67 anni... Non vorrei che la libertà di licenziare senza reintegro fosse l’arma offerta alle imprese per consentire loro di liberarsi del personale meno efficiente, soprattutto in relazione all’età".
Posso azzardare una proiezione? Tra qualche tempo - non subito, per carità - le aziende cominceranno a potare i rami vizzi favorendo l'ingresso di giovani virgulti con contratti d'apprendistato. Gli stessi giovani - comprensibilmente pagati poco in quanto apprendisti - dovranno provvedere al mantenimento dei genitori che, scaricati per anzianità, non avranno alcuna possibilità di rientrare nel mondo del lavoro.
Si dice che i commissari UE abbiano approvato l'operato del governo e ritengano che l'Italia abbia imboccato la strada giusta. A me pare che ci stiamo avviando a rotta di collo verso una recessione senza precedenti, inasprita da conflitti imprevedibili. Nel migliore dei casi, siamo diretti verso il nulla.


mercoledì 21 marzo 2012

Attrazione degli opposti

Inciampando in un accostamento del tutto casuale sul pavimento di casa

martedì 20 marzo 2012

Incongruenze

Mi fanno stare male le classiche incongruenze primaverili: aria gelida e fiori di pesco, cime innevate e grassi giacinti blu. Che sciocchezza - e che disagio - applicare i triti percorsi invernali a queste giornate invasive che pretendono ben altro. Nessuno può permettersi di perdere il ritmo stabilito da non si sa bene chi, ognuno si aggiusta il proprio malessere in corsa. Io mi difendo come posso. Freno. Non ho traguardi che si possano raggiungere rinnegando se stessi.

sabato 17 marzo 2012

St Patrick's Day

"Era un giorno grigio, c'era uno strano silenzio nel mare e nel cielo e nessun segno di vita, a eccezione della vela di una currach - o niavogue, come vengono chiamate qui - che stava rientrando dalle isole. Di tanto in tanto passava un carro pieno di anziani e bambini che mi salutavano in irlandese.
Poi sono tornato indietro e ho proseguito su una lunga strada che passava attraverso la torba, con una montagna dal dolce pendio su un lato e il mare dall'altro. Il monte Brandon, di fronte a me, era in parte coperto dalle nuvole. Per quanto riuscivo a vedere c'era un piccolo gruppo di persone che si stava dirigendo alla cappella di Ballyferriter; gli uomini con vestiti di stoffa grossa fatti in casa e le donne con mantelline blu o, più spesso, scialli neri avvolti sopra le loro teste.
Questa processione lungo le torbiere olivastre, tra le montagne e il mare, in un grigio giorno di autunno, mi ha dato quella stretta al cuore che spesso può capitare di sentire in Irlanda - un'emozione che è in parte propria del posto e tipicamente patriottica, in parte il risultato della desolazione che ovunque accompagna la suprema bellezza del mondo."

John M. Synge, Vagabondo in Irlanda, a cura di Nicola Manuppelli, Mattioli 1885


venerdì 16 marzo 2012

Risvegli

Non ha un colore stupendo? (Ottanio metallizzato: scelta molto originale ed elegante per un insetto di queste dimensioni, complimenti!). E poi, fintanto che se ne sta in giardino, che faccia pure lui il suo giro.

giovedì 15 marzo 2012

L'invasione

Puntuale, al sopraggiungere della prima ondata di caldo primaverile, è scoppiata l’invasione domestica dei ragnetti rossi. Microscopici e innocenti, arrivano dal prato, attratti dalle superfici candide: dotati di zampette infinitesimali, scivolano lenti sulle pareti immacolate del salotto e i più avventurosi esplorano i perimetri di libri e riviste. L’altro giorno un esemplare particolarmente ardito ha compiuto la traversata del monitor del mio pc.
Sono innocui e se ne vanno da soli, aveva spiegato tempo fa un addetto della disinfestazione convocato dalla mia collega superansiosa allorché i sanitari del suo bagno avevano preso a brulicare di inermi puntolini color mattone.
Oggi, notando che la particolare effervescenza delle bestioline su una parete del nostro salotto si stava estendendo anche al divano, ho chiesto al bluesman se non fosse il caso di prendere qualche provvedimento chimico, per quanto blando.
“Lasciali stare che se ne vanno da soli” ha ordinato il bluesman; e, certificata la sentenza con un bacetto sul naso, ha aggiunto: “Hanno diritto anche loro a farsi il loro giro”.

mercoledì 14 marzo 2012

Photos of ghosts

Mi meraviglio di aver scritto tanto in passato. Sono circondata da una realtà così mutevole che un fermo immagine non è proprio possibile. Non sarebbe realistico. Non so più dar conto di un evento senza considerare tutte le prospettive. Non ce la faccio a trarre conclusioni o definire stati d’animo. Non so trovare parole più efficaci del silenzio.
In generale, non sono pronta per la primavera, non sono pronta per la luce. Graziose le violette che regalano ombre di velluto ai boschi. Un lusso d’altri tempi. Ogni cosa è superflua e non c’è tempo da perdere. Come i poeti in tempo di guerra ho lo sguardo imbrattato di cadaveri, stracci insanguinati, mutilazioni e orrori. Volti terrosi e medievali di popoli in rivolta, povertà ancestrali e un tragico senso di impotenza. “Non è più tempo di sogni, devi lottare di più” diceva una nobile composizione della PFM.

lunedì 5 marzo 2012

La Russia che se ne va

Di molte cose ancora non ci rendiamo conto
noi allievi della vittoria di Lenin
E le nuove canzoni
le cantiamo all'antica
Come ce le hanno insegnate le nonne e i nonni

Amici! Amici!
Quale spaccatura c'è nel paese,
Quale tristezza nell'allegro ribollire!
[...]
Io accuso il potere sovietico
Per questo sono offeso con esso,
Perché la mia luminosa giovinezza
Nella lotta degli altri non l'ho vista.

Che cosa ho visto?
Ho visto solo la battaglia,
E invece dei canti
Ho sentito le cannonate.
Non è forse per questo che con la testa gialla
Ho corso a più non posso per il pianeta?

Nonostante ciò sono felice.
Nel turbinio delle bufere
Ho ricevuto impressioni irripetibili.
Il vortice ha adornato il mio destino
Con una fioritura intessuta d'oro.

Non sono un uomo nuovo!
Perché celarlo?
Con una gamba sono rimasto nel passato,
Così cercando di raggiungere la schiera d'acciaio
Con l'altra gamba scivolo e cado.
Ma c'è dell'altra gente.
Quelli
Ancora più infelici e dimenticati.
Essi sono come crusca nello staccio
In mezzo ad eventi che non capiscono.

Io li conosco
Io li ho sbirciati:
I loro occhi sono più tristi di quelli delle mucche.
Fra le opere pacifiche della gente
Come uno stagno, il loro cuore si è ammuffito.

Chi getterà una pietra in questo stagno?
Non toccatelo!
Ne verrà fuori un odore di marcio.
Essi moriranno dentro se stessi,
Andranno in putrefazione come foglie cadute.

E c'è dell'altra gente,
Quelli che credono,
Che tendono al futuro un timido sguardo.
Grattandosi il didietro e il davanti,
Essi parlano di una vita nuova.

Io ascolto. Io nella memoria guardo,
Di che cosa spettegola la miseria contadina.
"Ci va bene vivere col potere sovietico...
oggi però ci vorrebbe della tela... E un po' di chiodi..."

Di pochissime cose han bisogno questi barbuti,
Tutta la loro vita sta nell'abbondanza
Di patate e di pane.
Perché allora impreco ogni notte
Contro la sorte sfortunata, amara?

Io provo invidia,
Per chi ha passato la vita in battaglia,
Per chi ha difeso una grande idea.
Io, che ho distrutto la mia giovinezza,
Non ho più neppure i ricordi.

Che scandalo!
Che grande scandalo!
Mi  sono trovato in uno spazio stretto.
Potevo dare
Non quello che ho dato,
Quello che mi veniva come uno scherzo.

Cara chitarra,
suona, suona!
Modula, zingara, qualche cosa,
Così che io possa dimenticare i giorni avvelenati,
Che non hanno conosciuto né carezza né pace.

Lo so, non si annega la tristezza nel vino,
Né l'anima si può curare
Col deserto e il distacco.
Ma forse, è per questo che voglio
Rialzarmi i calzoni
E correre dietro al komsomol.

(2 novembre 1924)

Sergej Esenin, da Poesie e Poemetti (Rizzoli), traduzione di Eridano Bazzarelli

giovedì 1 marzo 2012

"Ecco perché son tutti qui davanti a te" - Un ricordo di Lucio Dalla




“Pedro, scusami…in realtà ci sarebbe anche un altro cantautore italiano che mi interessa…”
“Come si chiama?” interroga Pedro dall’alto della sua pazienza.
“Lucio Dalla”
Pedro mi lancia addosso uno sguardo sgomento, arrotondato dalle lenti spesse. “Lucio Dalla!” ripete incredulo “Ma se è a tanto così di distanza da Branduardi!...” aggiunge rappresentando tra pollice e indice lo spazio che separa i due artisti lungo lo scaffale. “Tanto così e non l’hai visto?”
Mentre Pedro si procura di nuovo le chiavi dell’altro locale provo a spiegargli che cercare i dischi nel suo negozio, per me, è come sfogliare un dizionario: ingolosita, da una parola passo all’altra, il più delle volte dimenticando l’origine della ricerca. Quando poi resto sola nella stanza silenziosa - una sorta di bunker relativamente ordinato e privo di cianfrusaglie, un commovente tempio di cui, per un istante, mi sento la vestale – torno a inginocchiarmi là dove pochi minuti prima avevo cercato gli introvabili primissimi album di Branduardi e comincio a indagare la discografia di Dalla. Mi basta un’occhiata per capire che quel che voglio non c’è, ma mi ostino a esaminare con scrupolo, smaltendo la delusione con la lentezza della ricerca. Gli ultimi dischi di Dalla non so nemmeno come si chiamino. E per ultimi intendo tutto ciò che è uscito dopo il quasi omonimo del 1980, tutti dischi che non solo non ho comprato ma non ho mai nemmeno ascoltato. Mi sono persa qualcosa? Forse, non so, non credo. Per me Lucio Dalla è e resta altro, in ogni caso.

Lettera x, dov'è il segreto di Asterix?

Era un momento magico, quello della TV dei ragazzi. In un'epoca – i primissimi anni ’70 – in cui la trasmissione ininterrotta di cartoni animati non esisteva nemmeno nella fantasia, gli appuntamenti con i personaggi dei “cartoni” erano precisi, limitati nel numero e nella durata e perciò goduriosissimi. Lucio Dalla contribuiva in pieno alla goduria, perché quando mi piazzavo davanti al grezzo apparecchio in bianco e nero per la mia dose settimanale de Gli eroi di cartone, più delle avventure di Asterix aspettavo con trepidazione la sigla, frutto del genio compositivo e interpretativo di Lucio Dalla. Pochi minuti preziosissimi che mi gustavo dall’inizio alla fine, che speravo non arrivasse mai, cercando di catturare nella memoria – l’unico supporto a disposizione – ogni particolare di Fumetto.

Automobili

Fu il secondo LP della mia vita. Fintanto che Bufalo Bill (di De Gregori, il mio primissimo vinile, ricevuto in regalo per la Cresima) e Automobili restarono gli unici due LP in nostro possesso, io e mio fratello A. li ascoltammo integralmente tutte le sere, quasi fosse un dovere. In realtà eravamo così affamati di musica da consumare senza sosta quel che avevamo a disposizione. Di Automobili conosco ogni singola battuta, so a memoria le parti di tutti gli strumenti, ricordo gli arrangiamenti in dettaglio. È un disco in cui Ron fa un lavoro egregio al piano elettrico. Io, bambina, mi lasciavo trasportare sulle strade di un'Italia mai vista, che tuttavia riuscivo a visualizzare con assoluta naturalezza: sulle note ansiogene e incalzanti di Nuvolari, riuscivo addirittura a percepirne l'odore. Più che un disco era un film, uno spettacolo teatrale: vedevo l'ingorgo in autostrada, vedevo Gianni Agnelli e Tazio Nuvolari, trattenevo il fiato, respiravo la polvere, la benzina e le campagne. Assorbivo inconsapevole la poesia di Roberto Roversi.

Il potere che offende

All'epoca usava, quando si apprezzava un artista, risalire a ritroso la sua discografia, scavare nel passato in cerca di altri tesori. Nel caso di Lucio Dalla, prima di Automobili, c'erano autentiche miniere da scandagliare.
Il giorno aveva cinque teste e Anidride Solforosa, nati dalla collaborazione con Roberto Roversi, sono precisamente i due dischi che cercavo nel negozio di Pedro: sia chiaro, una copia di entrambi i lavori è ancora custodita come in un museo nella casa in cui sono nata e cresciuta. Ma si dà il caso che questi, più che dischi, siano autentiche pietre angolari e ritengo che anche la casa che abito ora abbia diritto a custodirne una copia. Sono dischi difficili, duri e meravigliosi. Non sempre comprensibili per la bambina che ero allora, mi aprirono tuttavia gli occhi: erano dischi che leggevano la realtà, non la trasformavano, non la nascondevano. Il carcere minorile di Torino, le fabbriche, l'immigrazione dal Sud, la solitudine, le pianure assolate, i diversi volti del potere. E il genio di Dalla compositore qui tocca vertici inarrivabili.

E lontano lontano si può dire di tutto

Certo ora tutti reclamano un pezzetto di Lucio Dalla, la sua carriera sarà smembrata in una miriade di reliquie virtuali. Come canta De Gregori a proposito di Luigi Tenco “Tutti dicevano: io sono stato suo padre/purché lo spettacolo non finisca". Qualcuno poi avrà il cattivo gusto del cinismo, si fregerà di qualche maldicenza pur di svettare nel coro dei dolenti. Come se ce ne fregasse qualcosa delle sue scelte di vita e di tutto ciò che non sappiamo. "Lontano lontano si può dire di tutto".
Leggo sui giornali che l'altra settimana Lucio Dalla era a Sanremo (a dirigere una pessima canzone e un pessimo interprete, come testimonia YouTube). La cosa non mi stupisce e neanche mi riguarda: proprio mentre Lucio Dalla era a Sanremo, io stavo cercando i suoi vecchi capolavori in un incredibile negozio di dischi di Berlino.