Non ha un nome il protagonista di questo thriller psicologico, un uomo - interpretato dall'artista hip hop Method Man - la cui esistenza si concentra attorno all'obitorio cittadino dove opera con dedizione assoluta. Il ricomponimento delle salme, più che una professione, sembra essere per l'uomo una sorta di vocazione, una missione da compiere anche al di fuori del duro orario di lavoro attraverso l'imbalsamazione di animali. È la materia morta ciò che interessa essenzialmente all'uomo: non a caso il suo frigorifero si riempie rapidamente di cadaveri di animali rinvenuti per strada. Simbolo di un individuo che attraversa la realtà senza entrarvi in contatto, l'aspetto del mortician è caratterizzato da un ordine maniacale (Dio sa come si possa uscire da un'autopsia con la camicia immacolata), da un look senza tempo (bombetta e cappotto cammello). Il contrasto fra la figura dell'uomo (una figura quasi astratta e impercettibile) e la realtà che lo circonda (barbaramente disastrata da criminalità e miseria) non potrebbe essere più stridente.
Gli elementi destinati a creare l'intreccio che condurrà allo scioglimento del blocco emotivo del mortician saranno un tatuaggio rinvenuto sul corpo di una giovane donna, un aiutante svogliato (in realtà un giovane malvivente in libertà vigilata) e un bambino che cercherà con insistenza di introdursi all'interno dell'obitorio.
Ho trovato molto interessante e piuttosto ben delineata la figura del protagonista e mi pare che anche l'intreccio si snodi in modo adeguato offrendo colpi di scena al punto giusto. Tuttavia mi sembra che il film soffra di una sorta di altalenanza stilistica e il fatto che sia girato in 3D complica le cose. Il regista britannico Gareth Maxwell Roberts tratteggia all'inizio uno scenario gotico poi prova a registrare la realtà con spietato realismo; indulge in particolari pulp e tuttavia non disdegna accenti quasi fumettistici. Lungi dal coinvolgere direttamente lo spettatore, avvicinandolo quasi fisicamente ai personaggi, secondo le intenzioni del regista, le immagini in 3D trasmettono un senso di irrealtà, trascinano a tratti in un'ambientazione che fa tanto cartoon. Tra dettagli esasperati - soprattutto quando il mortician è all'opera - e dettagli sorvolati - specialmente nel finale - il film, pur non candidandosi tra i migliori in concorso alla Berlinale di quest'anno, non è privo di elementi originali. Se non altro, impone una riflessione sul senso e l'utilizzo della tecnica 3D.
Ho trovato molto interessante e piuttosto ben delineata la figura del protagonista e mi pare che anche l'intreccio si snodi in modo adeguato offrendo colpi di scena al punto giusto. Tuttavia mi sembra che il film soffra di una sorta di altalenanza stilistica e il fatto che sia girato in 3D complica le cose. Il regista britannico Gareth Maxwell Roberts tratteggia all'inizio uno scenario gotico poi prova a registrare la realtà con spietato realismo; indulge in particolari pulp e tuttavia non disdegna accenti quasi fumettistici. Lungi dal coinvolgere direttamente lo spettatore, avvicinandolo quasi fisicamente ai personaggi, secondo le intenzioni del regista, le immagini in 3D trasmettono un senso di irrealtà, trascinano a tratti in un'ambientazione che fa tanto cartoon. Tra dettagli esasperati - soprattutto quando il mortician è all'opera - e dettagli sorvolati - specialmente nel finale - il film, pur non candidandosi tra i migliori in concorso alla Berlinale di quest'anno, non è privo di elementi originali. Se non altro, impone una riflessione sul senso e l'utilizzo della tecnica 3D.
2 commenti:
posso dire? che palle sto 3d!
non c'entra niente, hai visto "l'imbalsamatore" di Matteo Garrone?
Mah, credo che il 3D in questo tipo di film sia assolutamente inutile. Non si può negare che in qualche caso (come nell'Alice di Burton) sia molto efficace.
Quanto all'"Imbalsamatore", no, non l'ho visto.
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