martedì 22 febbraio 2011

Marianne Faithfull - "Horses and High Heels"

Mi piace molto il nuovo lavoro di Marianne Faithfull. È un disco intenso, tutto sommato sobrio, nonostante l'incongrua copertina psichedelica e l'apparente sovrabbondanza di chitarre (mediamente tre su ciascun brano): indubbiamente Hal Willner sa il fatto suo.
Horses and High Heels, succosa miscela di cover e pezzi originali firmati da Marianne, è un disco per gente che ha definitivamente sostituito i sogni con i ricordi e The stations di Greg Dulli e Mark Lanegan è lì in apertura a intonare l'intero lavoro in una chiave inequivocabile. Struggente con misura, l'insieme si schizza qua e là di rock and roll e honky tonk: ma non è Doctor John - che ovviamente fa capolino in Back in baby's arms di Allen Toussaint - a lasciare il segno. Inconfondibili gli assoli minimali di Lou Reed (del resto, se fosse tecnicamente meno naive non ci sarebbe ragione di amarlo così tanto).
Il timbro amaro di Marianne e il sound sixties dell'organo si fondono in un blend irresistibile per dare voce all'orgogliosa malinconia dei sopravvissuti. Disco dal retrogusto confortante.

domenica 20 febbraio 2011

"The mortician" di Gareth Maxwell Roberts

Non ha un nome il protagonista di questo thriller psicologico, un uomo - interpretato dall'artista hip hop Method Man - la cui esistenza si concentra attorno all'obitorio cittadino dove opera con dedizione assoluta.  Il ricomponimento delle salme, più che una professione, sembra essere per l'uomo una sorta di vocazione, una missione da compiere anche al di fuori del duro orario di lavoro attraverso l'imbalsamazione di animali. È la materia morta ciò che interessa essenzialmente all'uomo: non a caso il suo frigorifero si riempie rapidamente di cadaveri di animali rinvenuti per strada. Simbolo di un individuo che attraversa la realtà senza entrarvi in contatto, l'aspetto del mortician è caratterizzato da un ordine maniacale (Dio sa come si possa uscire da un'autopsia con la camicia immacolata), da un look senza tempo (bombetta e cappotto cammello). Il contrasto fra la figura dell'uomo (una figura quasi astratta e impercettibile) e la realtà che lo circonda (barbaramente disastrata da criminalità e miseria) non potrebbe essere più stridente.
Gli elementi destinati a creare l'intreccio che condurrà allo scioglimento del blocco emotivo del mortician saranno un tatuaggio rinvenuto sul corpo di una giovane donna, un aiutante svogliato (in realtà un giovane malvivente in libertà vigilata) e un bambino che cercherà con insistenza di introdursi all'interno dell'obitorio.

 Ho trovato molto interessante e piuttosto ben delineata la figura del protagonista e mi pare che anche l'intreccio si snodi in modo adeguato offrendo colpi di scena al punto giusto. Tuttavia mi sembra che il film soffra di una sorta di altalenanza stilistica e il fatto che sia girato in 3D complica le cose. Il regista britannico Gareth Maxwell Roberts tratteggia all'inizio uno scenario gotico poi prova a registrare la realtà con spietato realismo; indulge in particolari pulp e tuttavia non disdegna accenti quasi fumettistici. Lungi dal coinvolgere direttamente lo spettatore, avvicinandolo quasi fisicamente ai personaggi, secondo le intenzioni del regista, le immagini in 3D trasmettono un senso di irrealtà, trascinano a tratti in un'ambientazione che fa tanto cartoon. Tra dettagli esasperati - soprattutto quando il mortician è all'opera - e dettagli sorvolati - specialmente nel finale - il film, pur non candidandosi tra i migliori in concorso alla Berlinale di quest'anno, non è privo di elementi originali. Se non altro, impone una riflessione sul senso e l'utilizzo della tecnica 3D.

martedì 15 febbraio 2011

Altri appunti berlinesi

Faceva pensare a Marilyn la Violetta di Marina Poplavskaya: biondissima, in un candido abito anni '50, fragile e sola, alla disperata ricerca di un equilibrio impossibile. Strada nera, costumi neri: uniche tracce di luce le gocce di pioggia e l'abito fosforescente della protagonista che bucava la scena col suo candore oltraggioso. È ragionevole prevedere per Marina Poplavskaya un destino da star.

Ottima presenza scenica e vocalità perfetta anche per Alfredo, classico tenore leggero ideale per questo ruolo. Come si possa cantare da sdraiati, mantenendo una normale potenza di emissione della voce, per me resta un mistero. Qualche volta penso che quello del cantante lirico sia uno dei mestieri più faticosi al mondo.

Il sabato mattina in metropolitana si conta un significativo numero di padri con due o più pargoli al seguito. Difficile imbattersi in bimbi recalcitranti e frignosi. C'è una certa tranquillità di fondo, la sensazione che ci sia tempo e spazio per tutti. In metropolitana la gente legge (giornali ma anche molti libri), chiacchiera, sorride quando sul vagone si intrufola qualche busker particolarmente originale. Non vedo cloni, monadi assorte in apparati tecnologici, nessuno zombie, nessun fantasma: solo esseri umani.
Un negozio di chitarre sulla Pariser-Straße ci consente di esplorare un'area della città che non avevamo mai visto, poi torniamo da Dussmann per gli ultimi acquisti e infine arriva l'ora di tornare sull'Alexanderplatz dove ci sorbiamo circa un'ora di coda per vedere il film.
Presenti in sala regista e attori - il protagonista Method Man è riconoscibilissimo per via del look da rapper - che al termine della proiezione si intrattengono con il pubblico.


Le ultime malinconie pre-partenza vengono consumate com'è ormai consuetudine in un piccolo locale in riva al fiume. Anche in quest'angolo silenzioso e semideserto della città, ad ogni ora del giorno e della sera - forse anche della notte - passa qualcuno con uno strumento musicale in spalla. Una ragione più che sufficiente, se mai fosse l'unica, per ritornare al più presto.

lunedì 14 febbraio 2011

A Berlino e ritorno: primi appunti

Non abbiamo trovato un filo di ghiaccio, stavolta, a Berlino; nessun incanto lunare, dunque, ma giornate limpide e lunghe e un sacco di cose da fare.


Sulla Karl Marx Allee, in coda per i biglietti del cinema, ho avuto tutto il tempo di farmi ammorbare da un'ondata di malinconia che in parte mi ero portata da casa e in parte spirava direttamente dal grigiore sovietico circostante


Conquistati i tanto agognati biglietti (quasi non ci credevo), via subito in cerca di dischi: io mi sono ricomprata i primi due leggendari vinili dei B-52's e per fortuna ho ritrovato il vecchio Qdisc con copertina apribile di Bowie che canta Brecht.
In zona Oranienstraße, eccezion fatta per il tizio che perdeva i pantaloni e sbottava a ridere da solo a intervalli regolari, non sono state riscontrate eccentricità di rilievo e l'intera area si è distinta per l'insolito nitore.

Venerdì, giornata intensa. Subito al DHM per la mostra Hitler e i tedeschi, ovvero la propaganda è tutto: ribaltare la realtà, dire alla gente quello che la gente vuole sentirsi dire, dare corpo ai fantasmi. Tra i tanti documenti esposti, particolarmente interessanti gli oggetti di uso comune  decorati con simboli nazisti - che testimoniano implicitamente del commercio che fiorì attorno alle attività propagandistiche -; e, tra questi, particolarmente degno di rilievo un incredibile antenato del picture disc, un 78 giri di inni patriottici su cui era impressa l'immagine di Hitler.
Mostra affollata, presenti molti visitatori di ogni età, tra cui scolaresche dedite alla risoluzione di questionari sotto gli occhi dei giovani insegnanti (una sorta di verifica-in-progress).
Dopo la mostra ci spostiamo dall'altra parte della città per passare a salutare il mitico Pedro.


Il bluesman scova qualche perla rara, ci tratteniamo forse più del previsto, infine ci resta giusto il tempo di ritornare in hotel e cercare di renderci presentabili per La Traviata.

mercoledì 9 febbraio 2011

In partenza

La valigia sono riuscita a chiuderla praticamente sedendomici sopra e c'è da augurarsi che non esploda strada facendo. Se ne deduce che spazio per un paio di scarpe eleganti proprio non ne rimane. Ora la domanda è: alla Staatsoper  (temporaneamente im Schillertheater causa ristrutturazione) saranno così buoni e tolleranti da consentirci l'accesso anche con i nostri scarponcini antigelo? Fonti attendibili riferiscono che il pubblico dei teatri d'opera a Berlino è democraticamente assai variegato. E poi, suvvia, da gente che compra un biglietto a ventotto euro è lecito attendersi che non si presenti in abito da sera, no?

Intanto scopro con angoscia che sono quasi le cinque e bisogna ancora metter mano al bagaglio del bluesman, compito gravoso che mi assilla ben più dello strascico lasciato dal litigio mattutino col capo. Mi rimetto...all'opera. Baci da Berlino.

domenica 6 febbraio 2011

Addio a Gary Moore

Mi ricordo un caldissimo giorno di luglio a Lucerna, alcuni anni fa. Girovagando per la città rovente in attesa del concerto di Willy DeVille finimmo in un negozio di strumenti musicali dove c'era questo tizio grande e grosso, molto gentile, che chiacchierava amabilmente con la commessa a proposito di un Chorus; pensai che doveva essere sicuramente uno dei tanti artisti che ruotavano attorno al Blue Balls Festival in corso, e mi stupì la sua semplicità, la sua cortesia di cliente. Il tizio in jeans e camicia a quadri comprò il suo Chorus e se ne andò, mentre il mio bluesman era troppo intento a curiosare in tutto quel ben di Dio per osservare la scenetta. Solo la sera, incrociando la sua foto su una locandina, realizzai che il tizio del Chorus altri non era che Gary Moore. Oggi Gary Moore ci ha lasciato. È morto in Spagna, in un hotel, come spesso accade agli artisti. Aveva 58 anni. Un altro grande irlandese.

sabato 5 febbraio 2011

Ultimamente

Ho ascoltato moltissimo il Flauto Magico nella versione di Fricsay (Rita Streich sarà pure una Regina della Notte un po' troppo solare, ma sentirla è sempre un'emozione); mi sono sciroppata le più recenti ossessioni musicali del bluesman - Cassandra Wilson e Charlie Hunter -  in loop (ma ci sono prove ben più ardue nella vita); ho letto prevalentemente annunci di lavoro (che depressione), le notizie dall'Egitto (che angoscia), quelle sulla melma politica italiana (che schifo); mi sono comprata una camicina estivissima della nuova collezione di Max&Co, anche se a dire il vero ero entrata nel negozio perché avevo adocchiato uno scialle nero a pois bianchi. Ovviamente ho comprato entrambi gli articoli, in barba alle ristrettezze che normalmente si impongono quelli che come me stanno per perdere il lavoro. "A thing of beauty is a joy forever". Non posso permettermi di deprimermi troppo.