Non so più dire che origine avessero i miei primi 45 giri, quelli in comproprietà con mia madre (Abba, Baglioni, Queen), però ho un ricordo abbastanza chiaro di me bambina mentre mi dirigo alla cassa di un grande negozio di dischi di Milano per pagare il 45 giri di Campagna dei Napoli Centrale. Sono nata musicalmente onnivora: compravo dischi tutte le volte che ne avevo l’occasione, quando si andava in gita come quando si andava a far spesa alla Standa, che all’epoca disponeva anche di un buon reparto di musica classica. Si trattava sovente di acquisti impulsivi, ispirati da copertine suggestive: Chopin e Beethoven si fecero strada nel mio cuore grazie a quelle immagini romantiche ed evocative che sbucavano da un ovale su copertina argentea: ascoltavo la musica nella speranza di tradurre il mistero dei luoghi raffigurati – di solito boschi autunnali o giardini primaverili – col desiderio frustrato di varcare i confini di quell’assurdo limite di cartone, con la necessità insoddisfatta di una dose sempre più ricca di fantasia per sopperire ai limiti della realtà.
Verso la metà degli anni ’70, nel paese dove sono nata e cresciuta, aprì un piccolo negozio di dischi. Lo gestiva una coppia giovane, lui musicista di balera, lei una gran chiacchierona, un po’ svanita, comunque simpatica, che lasciava scorrazzare il figlio piccolo sulla moquette (“perché piangi?, ti sei fatto la pipì addosso?, eh meglio, su su fa così caldo, ti rinfrescherà un pochino”) e si intratteneva volentieri con mia madre mentre io sceglievo i miei primi 33 giri. Solo molto più tardi, quando il vinile uscì di produzione e io cominciai a occuparmene da collezionista, mi resi conto di quali straordinari opportunità offrissero questi modesti negozi di dischi, molto diffusi nei piccoli e medi centri di provincia. Accadeva infatti che questo genere di attività commerciali si rifornisse generalmente da grossisti, i quali, consegnando spesso la merce direttamente al negozio con mezzo proprio, consentivano rifornimenti rapidi e su misura evitando al commerciante l’impegnativo rapporto con le case discografiche. L’aspetto interessante della faccenda sta però nel fatto che, a loro volta, i grossisti cercavano di aggirare i vincoli imposti dalle sedi italiane delle multinazionali del disco, acquistando direttamente all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, con notevole risparmio. Accadeva così che questi piccoli negozi di provincia smerciassero inconsapevolmente e a prezzi assolutamente concorrenziali, preziose copie originali americane. Una pacchia che durò fino ai primi anni ’90, finché non ci si mise di mezzo la Siae.
Col tempo le mie esigenze discografiche, intrecciandosi con quelle di mio fratello, si fecero più sofisticate; l’approvvigionamento dovette così necessariamente ramificarsi e approdammo agli acquisti per corrispondenza. Ricordo che io e A. passavamo intere serate a spulciare i cataloghi degli ormai estinti Magazzini Nannucci di Bologna allo scopo di far quadrare i conti, bilanciando i nostri desideri con le cifre di volta in volta messe a disposizione da nostra madre. Una singolare iniziativa dei Magazzini Nannucci, che in qualche modo ci figuravamo come una entità mitica e inavvicinabile, era quella del pacco sorpresa: se l’acquisto superava una certa cifra, si poteva scegliere fra l’annullamento delle spese di spedizione o un pacco contenente cinque 33 giri a discrezione del negozio. Naturalmente si trattava spesso di merce invenduta, ma questo non significava che non fosse di qualità; e poi spesso si trattava di forati americani (cioè dischi fuori catalogo, contrassegnati da un piccolo foro nella copertina) che nel tempo si sarebbero rivalutati.
I miei percorsi musicali finirono per divergere da quelli di mio fratello: lui non condivise la mia insana passione per il movimento nato dalle ceneri del punk e così io mi organizzai autonomamente la mia rete di fornitori di musica, che poggiava su un paio di negozi di Varese e un paio di punti vendita specializzati di Milano. Naturalmente, il mio impiego presso un celebre negozio di Gallarate – iperspecializzato ahimè in musica americana – non significò l’interruzione dei miei rapporti con quei punti vendita – vedi il defunto Supporti Fonografici – in grado di soddisfare le mie esigenze discografiche più perverse (tipo acquisti in duplice copia di 12 pollici prodotti dal cugino di un amico di un tale che aveva militato in una band che mi piaceva e cose del genere, insomma). Piccola nota a margine: il più delle volte gli acquisti avvenivano solo sulla base di recensioni (quando non di essenziali trafiletti) scovati sul Melody Maker o su Rockerilla o stampa analoga. Niente possibilità di preascolto; niente internet, youtube, mp3, i-pod, i-tunes e chi più ne ha più ne metta: zero di zero. Ancora nella prima metà degli anni ’90 noi appassionati fruitori di musica avevamo a disposizione solo la carta stampata, la fiducia negli artisti e la speranza di incappare in un buon disco.
Gli ultimi momenti felici dei negozi di dischi risalgono alla metà degli anni ’90; già verso la fine del decennio si avverte chiaramente che il cambiamento è in atto. Internet sancisce il declino.
Qualche tempo fa, il figlio adolescente di certi vicini, vedendo la quantità di cd che affolla casa nostra - da notare: i vinili non li aveva mai visti, non sapeva a cosa servissero – si stupì del fatto che ognuno aveva una copertina e in qualche caso una confezione particolare in cartoncino. Insomma, ignorava completamente che i cd possono essere acquistati. “Ma dove va uno a comprare i cd?” ci chiese candidamente.
Le nuove generazioni ormai associano la musica al computer, in particolare a quel verbo orribilmente antimusicale che è scaricare. Inutile spiegare che il pc non è uno strumento nato e concepito per l’ascolto della musica. Perché alla base di tutto c’è l’assoluta mancanza di educazione musicale. Alla base della crisi dell’industria discografica non c’è il prezzo dei cd (ormai ci si può fare una vastissima discografia spendendo meno di dieci euro a pezzo), ma l’ignoranza. Alla base di tutto c’è il pregiudizio sulla musica intesa come passatempo usa e getta, c’è la totale assenza di curiosità che affligge le nuove generazioni, la tendenza a vivere in superficie, ad avere tutto e subito, a consumare senza nemmeno sapere cosa e perché. I tempi in cui un disco ti spingeva a comprare un libro sono davvero finiti per sempre. Non ho speranze riguardo alle nuove generazioni e sono contenta che i miei vent’anni, vissuti in immersione totale nella musica, siano passati da un pezzo. Che tristezza crescere senza musica e senza negozi di dischi. Che tristezza esser giovani oggi.