mercoledì 9 febbraio 2011

In partenza

La valigia sono riuscita a chiuderla praticamente sedendomici sopra e c'è da augurarsi che non esploda strada facendo. Se ne deduce che spazio per un paio di scarpe eleganti proprio non ne rimane. Ora la domanda è: alla Staatsoper  (temporaneamente im Schillertheater causa ristrutturazione) saranno così buoni e tolleranti da consentirci l'accesso anche con i nostri scarponcini antigelo? Fonti attendibili riferiscono che il pubblico dei teatri d'opera a Berlino è democraticamente assai variegato. E poi, suvvia, da gente che compra un biglietto a ventotto euro è lecito attendersi che non si presenti in abito da sera, no?

Intanto scopro con angoscia che sono quasi le cinque e bisogna ancora metter mano al bagaglio del bluesman, compito gravoso che mi assilla ben più dello strascico lasciato dal litigio mattutino col capo. Mi rimetto...all'opera. Baci da Berlino.

domenica 6 febbraio 2011

Addio a Gary Moore

Mi ricordo un caldissimo giorno di luglio a Lucerna, alcuni anni fa. Girovagando per la città rovente in attesa del concerto di Willy DeVille finimmo in un negozio di strumenti musicali dove c'era questo tizio grande e grosso, molto gentile, che chiacchierava amabilmente con la commessa a proposito di un Chorus; pensai che doveva essere sicuramente uno dei tanti artisti che ruotavano attorno al Blue Balls Festival in corso, e mi stupì la sua semplicità, la sua cortesia di cliente. Il tizio in jeans e camicia a quadri comprò il suo Chorus e se ne andò, mentre il mio bluesman era troppo intento a curiosare in tutto quel ben di Dio per osservare la scenetta. Solo la sera, incrociando la sua foto su una locandina, realizzai che il tizio del Chorus altri non era che Gary Moore. Oggi Gary Moore ci ha lasciato. È morto in Spagna, in un hotel, come spesso accade agli artisti. Aveva 58 anni. Un altro grande irlandese.

sabato 5 febbraio 2011

Ultimamente

Ho ascoltato moltissimo il Flauto Magico nella versione di Fricsay (Rita Streich sarà pure una Regina della Notte un po' troppo solare, ma sentirla è sempre un'emozione); mi sono sciroppata le più recenti ossessioni musicali del bluesman - Cassandra Wilson e Charlie Hunter -  in loop (ma ci sono prove ben più ardue nella vita); ho letto prevalentemente annunci di lavoro (che depressione), le notizie dall'Egitto (che angoscia), quelle sulla melma politica italiana (che schifo); mi sono comprata una camicina estivissima della nuova collezione di Max&Co, anche se a dire il vero ero entrata nel negozio perché avevo adocchiato uno scialle nero a pois bianchi. Ovviamente ho comprato entrambi gli articoli, in barba alle ristrettezze che normalmente si impongono quelli che come me stanno per perdere il lavoro. "A thing of beauty is a joy forever". Non posso permettermi di deprimermi troppo.

lunedì 31 gennaio 2011

Dal lazzaretto

Sul ponte sventola bandiera bianca. La temperatura corporea del bluesman ha raggiunto i 40.1°: insomma, c'era una ragione se venerdì non ce la faceva ad alzarsi dal letto e rispondeva a malapena con lugubri mugugni. Quanto a me, indomita infermiera-tuttofare, mi sono arresa al termometro solo dopo essermi addormentata tra le pagine di una terrificante lezione di tedesco sulle feste popolari della Carnia: ho scoperto così di essere arrivata a quota 38.9°, temperaturina di tutto rispetto; insomma, c'era una ragione se per tutta la notte il mio cervello si è disperatamente affannato a vuoto attorno a un non meglio definito nonché insopportabile invito a presentarsi tutti sulla Rathausplatz per il concerto d'apertura delle 16.30.
Per il momento sopravviviamo rosicchiando lentamente - causa appetito pressoché nullo - le provviste acquisite prima del crollo. Sigillati nel nostro lazzaretto virulento, immobilizzati sotto una coperta comune, io, il bluesman e la gatta ci disponiamo pieni di speranza dinanzi allo stereo come un tempo sulle terrazze gli ospiti dei sanatori dinanzi a vette incontaminate.
Prima o poi passerà, no?

martedì 25 gennaio 2011

Piccola storia ignobile

Una giovanissima operaia, collocata da un’agenzia di lavoro temporaneo presso una media azienda alimentare del comasco, viene molestata dal caporeparto, un uomo sulla sessantina prossimo al pensionamento. Dopo essersi opposta alla tentata aggressione, avvenuta in ascensore, la giovane raggiunge il reparto sconvolta, racconta l’accaduto ad alcuni colleghi e chiede di essere riaccompagnata a casa: il tutto in presenza del molestatore che, strizzandole l’occhiolino, esorta la ragazza a stare tranquilla. Nel frattempo, un’altra giovane operaia ammette di aver subito lo stesso trattamento, con le stesse modalità, solo mezz’ora prima. E spunta qualche altra confessione: operaie di ogni età trovano finalmente il coraggio di ammettere di essersi opposte in passato alle medesime molestie.

La direzione, informata dell’accaduto, non si pronuncia. Il giorno seguente si mobilitano la famiglia della vittima, l’agenzia di collocamento e il sindacato. La ragazza è frastornata: vorrebbe non rimettere mai più piede in azienda, non avere più a che fare con l’uomo –da tempo inviso a tutti a causa della sua arroganza e della scarsissima collaborazione coi colleghi – che le ha messo le mani addosso e le ha ipocritamente intimato di tacere; vorrebbe giustizia e rispetto per la propria dignità violata. Ma vuole anche lavorare, ha bisogno di uno stipendio. La responsabilità di una denuncia alle autorità, di una causa penale, comincia a pesarle: non è più così sicura di voler intraprendere una strada in salita fatta di deposizioni, racconti dettagliati, giudici, tribunali…Il sindacato ha le mani legate: non può agire se la ragazza non decide di sporgere denuncia. E le colleghe – le colleghe! – la pregano di non far scoppiare lo scandalo: cosa ne sarebbe di quell’uomo e della sua famiglia? E perché poi impegolarsi in cause e processi? È la tua parola contro la sua, dicono le colleghe, chi ti crederà? In tempi di crisi bisogna pensare a tenersi il lavoro: per il bene di tutti non sarebbe forse meglio mettere ogni cosa a tacere, chinare la testa e andare avanti così come si è sempre fatto?

Alla ragazza sono bastati quattro giorni per capitolare, per ricondurre la propria indignazione entro il recinto angusto della vergogna, del bisogno dei mille euro mensili; per restringere l’orizzonte, arroccarsi nell’interesse individuale gettando uno sguardo schifato sul mondo. Il giorno in cui ha ripreso il lavoro, la ragazza si è sentita chiedere dal titolare dell’azienda: “Tutto bene? Tutto a posto? Vi siete chiariti, lei e quell’uomo?”

Tutto si tollera in nome del denaro. Le operaie, che non possono rinunciare ai mille euro mensili, ingoiano la propria dignità, e il datore di lavoro, per il quale ogni indagine potrebbe essere di intralcio al ritmo della produzione, sacrifica senza scrupoli l’incolumità dei propri dipendenti: e non mi riferisco solo alle vittime delle molestie. Uomini come il molestatore di questa vicenda sono individui malati, pericolosi a sé e agli altri. Metterli di fronte al proprio problema – alla propria malattia – è insieme un dovere e un atto di pietà.

domenica 23 gennaio 2011

Holy frost

Il gelo mi offre un formidabile rifugio. È troppo freddo per qualsiasi cosa, mi dico. Persino il suono sordo delle campane si irradia intirizzito. Siamo in pochi ad arrancare su per i boschi croccanti di ghiaccio. Il silenzio è garantito.
Poi arriverà spietata primavera col suo caldo carico di luce e assurde pretese a scoperchiare tutta la mia inadeguatezza.

mercoledì 19 gennaio 2011

Stamattina

Un attimo fa, mentre venivo in ufficio - forse per l'ultima volta, ancora non lo so: sulle liste di proscrizione affisse in bacheca, accanto al mio nome c'è una casella vuota - la luna sorgeva grassa ed enorme da un angolo del bosco facendosi tagliare a fette dai rami neri. E io per poco non ho investito uno scoiattolo.