Una giovanissima operaia, collocata da un’agenzia di lavoro temporaneo presso una media azienda alimentare del comasco, viene molestata dal caporeparto, un uomo sulla sessantina prossimo al pensionamento. Dopo essersi opposta alla tentata aggressione, avvenuta in ascensore, la giovane raggiunge il reparto sconvolta, racconta l’accaduto ad alcuni colleghi e chiede di essere riaccompagnata a casa: il tutto in presenza del molestatore che, strizzandole l’occhiolino, esorta la ragazza a stare tranquilla. Nel frattempo, un’altra giovane operaia ammette di aver subito lo stesso trattamento, con le stesse modalità, solo mezz’ora prima. E spunta qualche altra confessione: operaie di ogni età trovano finalmente il coraggio di ammettere di essersi opposte in passato alle medesime molestie.
La direzione, informata dell’accaduto, non si pronuncia. Il giorno seguente si mobilitano la famiglia della vittima, l’agenzia di collocamento e il sindacato. La ragazza è frastornata: vorrebbe non rimettere mai più piede in azienda, non avere più a che fare con l’uomo –da tempo inviso a tutti a causa della sua arroganza e della scarsissima collaborazione coi colleghi – che le ha messo le mani addosso e le ha ipocritamente intimato di tacere; vorrebbe giustizia e rispetto per la propria dignità violata. Ma vuole anche lavorare, ha bisogno di uno stipendio. La responsabilità di una denuncia alle autorità, di una causa penale, comincia a pesarle: non è più così sicura di voler intraprendere una strada in salita fatta di deposizioni, racconti dettagliati, giudici, tribunali…Il sindacato ha le mani legate: non può agire se la ragazza non decide di sporgere denuncia. E le colleghe – le colleghe! – la pregano di non far scoppiare lo scandalo: cosa ne sarebbe di quell’uomo e della sua famiglia? E perché poi impegolarsi in cause e processi? È la tua parola contro la sua, dicono le colleghe, chi ti crederà? In tempi di crisi bisogna pensare a tenersi il lavoro: per il bene di tutti non sarebbe forse meglio mettere ogni cosa a tacere, chinare la testa e andare avanti così come si è sempre fatto?
Alla ragazza sono bastati quattro giorni per capitolare, per ricondurre la propria indignazione entro il recinto angusto della vergogna, del bisogno dei mille euro mensili; per restringere l’orizzonte, arroccarsi nell’interesse individuale gettando uno sguardo schifato sul mondo. Il giorno in cui ha ripreso il lavoro, la ragazza si è sentita chiedere dal titolare dell’azienda: “Tutto bene? Tutto a posto? Vi siete chiariti, lei e quell’uomo?”
Tutto si tollera in nome del denaro. Le operaie, che non possono rinunciare ai mille euro mensili, ingoiano la propria dignità, e il datore di lavoro, per il quale ogni indagine potrebbe essere di intralcio al ritmo della produzione, sacrifica senza scrupoli l’incolumità dei propri dipendenti: e non mi riferisco solo alle vittime delle molestie. Uomini come il molestatore di questa vicenda sono individui malati, pericolosi a sé e agli altri. Metterli di fronte al proprio problema – alla propria malattia – è insieme un dovere e un atto di pietà.
4 commenti:
Ma nessuno gli da un fracco di calci in gulo!!!
a sto' genio.
Andrea Como
Ma no, via, i comaschi son gente seria, non sta bene parlare di certe cose...
un bel palo arroventato in culo e poi gli passa la voglia di fare il maniaco dell'ascensore....
Caro commentatore anonimo, esistono metodi meno cruenti e decisamente più civili per punire certi individui. Personalmente non so se provare più disprezzo per l'uomo in questione o per il codardissimo titolare dell'azienda
Posta un commento