Quella di cui parla il film di Clint Eastwood non è la morte, o meglio l'immagine, sovente molto cruenta, della morte che ci viene servita a colazione, pranzo e cena dai programmi televisivi: Eastwood mette in scena la morte quotidiana, ovvero l'assurdità della vita che improvvisamente si stravolge in tragedia, l'imprevedibilità del destino che prima o poi incrocia le strade di tutti.
I tre personaggi principali che, seppur in modi diversi, sono toccati direttamente dall'esperienza della morte, parlano un linguaggio incomprensibile a chi li circonda, retrocedono nella categoria dei folli, dei perdenti, dei disadattati. Il punto è che l'esperienza della morte impone loro altre priorità, altri tempi: il loro sguardo sulla vita cambia, la prospettiva muta radicalmente.
Nonostante il titolo, Hereafter è in realtà un film molto umano, molto terrestre - per inciso lo sguardo di Eastwood sui suoi personaggi è sempre carico di una profonda, imparziale empatia - e, se di morale si vuole parlare, il messaggio sembra essere che integrare la consapevolezza della fine nelle nostre esistenze ci rende individui migliori.
Un film senza dubbio molto commovente e molto bello, anche se non perfetto. Un film diviso in due, direi, con un primo tempo davvero convincente per realismo e tensione emotiva ed un secondo tempo che va a stemperarsi gradatamente nell'ovvio rischiando il sentimentalismo.
Va detto che tirare le fila di un intreccio - qui abbiamo tre storie parallele che a un certo punto vanno a intersecarsi - è impresa ardua che richiede raffinato buon gusto e un'immaginazione al limite della visionarietà (da questo punto di vista ritengo che i prodotti cinematografici frutto della collaborazione fra Guillermo Arriaga e Alejandro Iñárritu siano al momento insuperati). Probabilmente i passaggi zoppicanti del film si annidano nella sceneggiatura: di fatto il momento clou dell'intreccio mi pare un po' raffazzonato e il finale perde il ritmo. E forse un altro attore al posto di Matt Damon avrebbe saputo regalare al personaggio di George un po' di sana inquietudine.
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