Dovrebbero essere 135, tutti pakistani, prevalentemente soldati. Giacciono lassù, in un luogo impervio di terribile bellezza, al confine tra India e Pakistan, sepolti da oltre 20 metri di neve. Con ogni probabilità resteranno lì per sempre. Nessuno li troverà mai. Con certezza nessuno di loro avrebbe voluto trovarsi lì, a combattere una guerra incomprensibile e quasi segreta per il possesso di un ghiacciaio.
Di questa tragedia - l'ennesima storia di anime morte - in Italia si è detto il minimo indispensabile. Il radiogiornale della Radiotelevisione Svizzera di lingua italiana, invece, questa sera ha trasmesso un'intervista al giornalista svizzero Mario Casella che, per realizzare questo documentario, nel 2005 ha trascorso due mesi proprio nel luogo della sciagura: un mese nel campo base pakistano, un mese in quello indiano. Raccontava, Casella, di quei poveri soldati provenienti dalla città, dal mare: gente che non aveva mai visto un ghiacciaio e neanche se lo poteva immaginare. Raccontava della moltitudine di anime morte per congelamento, lassù a 6-7000 metri. Secondo il giornalista svizzero, il senso di questa guerra ad altissima quota che consuma un milione di dollari al giorno, starebbe tutto nell'acqua. Perché dal Siachen, il ghiacciao conteso, appunto, ha origine il fiume Indo e dunque la guerra del ghiaccio è in realtà guerra per il controllo di una sorgente. Una guerra per l'acqua che, secondo Casella, "prefigura i conflitti dei prossimi decenni".
Qui al minuto 17.24 l'intervista.
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