Non è rimasto molto del capolavoro di Emily Brontë nella riduzione cinematografica realizzata dalla regista britannica Andrea Arnold: e non mi riferisco solo ai sostanziosi tagli apportati alla vicenda narrata nel romanzo; da parte di Andrea Arnold c'è il preciso intento - dichiarato in numerose interviste - di raccontare la storia secondo il proprio gusto, secondo i propri canoni stilistici. "I really wanted to honour Brontë," the director claimed."Wuthering Heights is a strange, dark and profound book and I wanted to honour that spirit. I made decisions that felt true to me but also true to the spirit of the book."
Per mantenersi fedele allo spirito del romanzo, Arnold imposta il registro dell'asprezza a tutti i livelli: il vento come unica colonna sonora, dialoghi ridotti all'essenziale, povertà e ignoranza, fango e sporcizia raccontati con la tipica ineleganza della macchina da presa a spalla. Per qualche minuto l'idea funziona: è proprio in un mondo fatto di ruvidezze che ha origine il rapporto esclusivo tra Heathcliff e Catherine - per sua natura un rapporto "contro" -, vero nucleo del capolavoro di Emily Brontë. Di fatto, l'iperrealismo di Arnold finisce per avvitarsi su se stesso: e così, dopo un'ora di fango e vento, brughiere senza pace e selvaggina sanguinante, ci siamo fatti un'idea molto chiara del fatto che gli esseri umani sono bru(t)ti e cattivi e il mondo si regge sulle ingiustizie ma siamo a metà film e l'iniziale spaesamento del giovane Heathcliff sembra non avere vie d'uscita, non subire evoluzioni di sorta. Quel che è peggio, per cementare il legame tra i due giovani protagonisti, Arnold decide di introdurre qualche indizio di carnalità morbosa totalmente estraneo al romanzo e lontanissimo dalla sensibilità di Emily Brontë.
Non paga di ciò, pur di risultare alternativa a tutti i costi, la regista decide che Heathcliff deve essere interpretato da un attore di colore. Scelta piuttosto inefficace dal punto di vista narrativo perché ha l'unico risultato di confinare Heathcliff nel ruolo evidente di schiavo, di "diverso" senza speranza. Colui che nella fantasia di Emily Brontë viene descritto come "dark skinned gypsy" - definizione vaga e meravigliosa che scatena la fantasia del lettore -, nel film è un bellissimo, taciturno ragazzino di colore costretto a passare la mano, quando è il turno di Heathcliff adulto, a un attore perennemente corrucciato e ripiegato su se stesso che non ha nulla, ma proprio nulla, del magnetismo inquietante di Laurence Olivier nell'indimenticata versione cinematografica di William Wyler.
Lo svolgimento del film è notevolmente sbilanciato a favore del periodo adolescenziale della storia; il rapporto tra Catherine e Heathcliff adulti viene tratteggiato in modo piuttosto sbrigativo ed è un vero peccato perché Kaya Scodelario è un'attrice ineteressantissima che avrebbe saputo esprimere perfettamente la complessa personalità di Cathy: lo spazio che le viene concesso è purtroppo piuttosto limitato.
Ossessionata com'è dal realismo e dai dettagli d'epoca - sembra che alle intepreti femminili sia stato chiesto addirittura di non depilarsi - Arnold trascura completamente l'aspetto gotico della storia, pare del tutto insensibile al concetto di mistero e alle inafferrabili dinamiche della comunicazione extrasensoriale. La scena in cui Heathcliff si avventa sul cadavere dell'amata ricoprendolo di baci, lungi dall'essere gotica, è semplicemente di cattivo gusto. E il tentativo di riesumazione della bara è semplicemente degno di un horror inclassificabile.
Questa recente rilettura di Wuthering Heights è, in estrema sintesi, un tentativo ambizioso non andato a buon fine: più che indagare gli abissi della psiche e restituirci le passioni d'amore come rapporti di potere, Andrea Arnold - al di là di parecchie cadute di stile - ci ha offerto essenzialmente un documentario ben dettagliato delle condizioni di vita nelle campagne inglesi nei primi decenni del secolo diciannovesimo.
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