martedì 7 settembre 2010

Flash '80 al Maga di Gallarate: un'occasione sprecata


Considerato che l'ingresso al Maga di Gallarate costa poco meno dell'ingresso al Louvre, mi aspettavo, se non altro, di non essere accolta alla biglietteria da un paio di ragazze distratte, dedite al consueto smaneggio giovanile del cellulare. E da una mostra dedicata agli anni ’80 mi aspettavo evidentemente la rievocazione di un'epoca e della sua estetica.
In realtà, Flash ’80, più che alla mia giovinezza, mi ha rimandata all’infanzia, al tempo in cui facevo il gioco del negozio di scarpe racimolando tutte le calzature disponibili in casa: la scarsità del materiale esposto, peraltro poco rappresentativo, proveniente in gran parte da collezioni private, ha suggerito l’idea di un allestimento casalingo che non ha affatto centrato l’obiettivo. La prospettiva che il Maga offre degli anni ’80 risulta angusta e parziale, un'incongrua commistione fra intenti localistici e l'ambizione - ampiamente disattesa - di stimolare una riflessione globale.

Buona l’idea della proiezione ininterrotta di videoclip musicali, compendio di tendenze e stili a trecentosessanta gradi. Ma la sezione dedicata alla moda risulta spaventosamente brulla: in una sparuta rappresentanza di creazioni d’alta moda che potrebbero appartenere a qualsiasi epoca, grida vendetta la clamorosa assenza di un qualsiasi capo di Giorgio Armani.
Premesso che Armani non è lo stilista con cui più sono in sintonia, è innegabile che fu lui a tracciare le coordinate della moda di quegli anni, fu lui ad ammorbidire (i famosi jeans a vita alta e coscia larga tanto cari ai paninari), a destrutturare (le celebri giacche dalla linea sinuosa), a stondare e fluidificare le forme. Unico reperto interessante, una bella camicia bordeaux con collo a corolla firmata da Romeo Gigli, il cui minimalismo medievaleggiante, all'epoca, si opponeva ideologicamente al rampantismo armaniano.

La sezione dedicata alla musica, che avrebbe dovuto essere fondamentale, soffre purtroppo dei limiti imposti dal suo curatore, Paolo Carù, che ha semplicemente esposto i suoi dischi preferiti usciti negli anni ’80. Piaccia o non piaccia, se si vuole illustrare la produzione discografica del decennio, non si può fingere che Madonna e i Duran Duran non siano mai esistiti. Passi Tom Waits, passi Bruce Springsteen: ma cos’abbia a che vedere Jerry Garcia con gli anni ’80, per me resta un mistero. Secondo me, sul pannello tappezzato di vinili, un posticino per la musica elettronica bisognava trovarlo. Io magari avrei tolto John Mellencamp per far spazio ai B-52’s. E ovviamente mi sarei sentita in dovere di far saltar fuori un angolino per i Depeche Mode o i Cure, al di là della mia sensibilità in materia, semplicemente per la necessità di documentare un’epoca che produsse ex-novo generi musicali con caratteristiche peculiari. E comunque non mi sarei dimenticata di Michael Jackson. Un vero peccato, perché Carù, con la sua cultura musicale pressoché enciclopedica, avrebbe potuto dare un contributo davvero straordinario alla mostra.

Non essendo esperta di arti figurative e design mi astengo dal commentare la sezione dedicata: mi limito a dire che su di me non ha lasciato traccia alcuna, dunque è possibile che anche questa sezione sia stata allestita in modo poco incisivo.

Arriviamo al cinema. Avevo letto di omaggi a Cronenberg, Greenaway, Kieslowski. Può darsi, il punto è che quando sono arrivata io stavano proiettando Ginger e Fred di Fellini che onestamente non mi sembra un film simbolo degli anni'80. Credo che qualsiasi appassionato di cinema – non necessariamente un critico – avrebbe potuto ideare qualcosa di più rappresentativo.

Alla fine del percorso, la letteratura viene semplicemente condensata in un lungo elenco di libri usciti in quegli anni. Chi abbia stilato l’elenco non me lo ricordo più, mea culpa, ma non ho capito la necessità di citare tutti i libri di Tondelli. Non era davvero possibile fare una selezione, limitarsi a uno o due titoli?
Avrei voluto avere con me la macchina fotografica per poter ritrarre quell’elenco infinito, arido e agghiacciante come una lapide commemorativa di soldati caduti per la patria, e ragionarci sopra. Nella mia memoria, in questo momento, oltre ai pluricitati Tondelli e Busi, sopravvivono solo i nomi di Carlo Sgorlon e Daniele Del Giudice. Ah, già, dimenticavo: c’era anche Lara Cardella, con Volevo i pantaloni.

19 commenti:

rose ha detto...

dunque mancava anche Sposerò Simon Le Bon, immagino ^_^
con un ardito salto di provincia, la parte musicale potevano farla curare a Garbo, che di sicuro se ne intende e da Fenegrò sarebbe stato entusiasta di tale iniziativa.
io potevo prestare la t-shirt di Sylvian e quella dei Simple Minds (il cappotto con le spallone invece venne defenestrato ben presto!)

ivan ha detto...

avrei voluto intervenire tirando in ballo carù già nel tuo post sulla dead london, dovrò farlo qui, non oggi perchè qui è la festa dei oto (della madonna, quindi come direbbero gli ammericani sssso eittisssssssss), ad averlo saputo mi sarei offerto (avrei potuto anche alloggiare dalla suocera a busto a.) e avrei portato chessò il sagomato di madonna vestita da sposa? tutti i mixes dei durans? il 12" e 7" formato poster di sylvian? e chissà quanto altro...

ivan ha detto...

e nessun fiorucci e naj oleari?

exit ha detto...

Ah, se solo fossimo stati interpellati! Anch'io avrei potuto contribuire con le mie t-shirts degli Smiths (Meat is murder) e, con un po' di buona volontà, sarei anche riuscita a scovare uno di quegli spolverini oversize con spalla cascante. Evidentemente questi gallaratesi sono dei veri autarchici, vogliono far tutto da sè.

No, niente Naj Oleari, niente Moncler, niente Timberland. Con un po' di ironia si sarebbero anche potute illustrare le "divise" che all'epoca corrispondevano ad altrettante correnti di pensiero: il paninaro, il metallaro, il dark. In fondo, si tratta pur sempre di una mostra sul decennio che ha inventato il look.

River Man ha detto...

Carù, pur avendo gusti più eclettici di quanto si possa immaginare, diventa sempre più integralista.
Credo che ormai abbia superato il concetto di attività commerciale svolta per averne dei guadagni (che gli sono sufficienti quelli avuti in passato) e tenga aperto solo per passione e perché in fin dei conto il suo mondo è tutto li.
Ha un concetto sempre più schematico della musica, c'è la Sua Musica, la (poca) musica che comunque merita rispetto anche se non è la sua e la musica di merda (tutto il resto).
Vende (quasi) solo quello che suscita il suo interesse o che reputa degno di entrare nel suo negozio, non importa più dall'Inghilterra, tiene poco vinile (perchè non vede validi motivi di preferirlo al cd) e meno ancora musica italiana (perché nel panorama italiano a parte qualche eccezione non trova nulla che reputi meritevole di appartenere ad una delle prime due categorie).
Io lo stimo e lo rispetto, per me è un grande, ha una cultura musicale enorme, ha un gusto e una sensibilità ben definiti e grande coerenza nelle scelte musicali, mi ha fatto conoscere musicisti immensi (Cowboy Junkies su tutti) ma ha sempre avuto forti e a volte incomprensibili idiosincrasie che invecchiando si sono accentuate.
In compenso mi pare meno burbero che un tempo.
Comunque chi organizza una retrospettiva su un'epoca dovrebbe, se possibile, affidare ciascuna sezione a più di un curatore se vuole averne una rappresentazione completa.

River Man ha detto...

Ma in ogni caso ti ha meravigliato la scelta di Carù? Ti aspettavi un comportamento diverso?
A me non stupisce anzi mi sembra assolutamente coerente con il personaggio.
Il Paolo non è la persona adatta a cui far fare una panoramica esaustiva e obiettiva su di un'epoca musicale, tanto meno sugli anni '80 che sono più Inglesi che americani.

River Man ha detto...

Aggiungo ancora...

Vedo dalle foto (la mostra ancora non l'ho visitata) una bacheca con alcune copertine del Buscadero, suppongo che non ci siano corrispondenti esposizioni di Rockstar Uno, Rockerilla, Velvet, Ciao 2001 ecc. (il Mucchio nemmeno lo pretendo :-)

ivan ha detto...

quoto compleamente river man ed in particolare:

Comunque chi organizza una retrospettiva su un'epoca dovrebbe, se possibile, affidare ciascuna sezione a più di un curatore se vuole averne una rappresentazione completa.

e ancora

tanto meno sugli anni '80 che sono più Inglesi che americani

exit ha detto...

Anch'io credo che Paolo Carù nel suo genere sia un personaggio irripetibile e apprezzo anche tutto quello che, a modo suo, ha fatto e continua a fare per la diffusione della buona musica. Tra l'altro, in tutta franchezza, non dimentico certo che Carù mi ha pagato lo stipendio per tre anni e che lavorando presso il suo negozio mi sono fatta un'esperienza - a livello strettamente discografico - che non mi sarei potuta fare altrove. Ciò premesso, non posso tacere che in occasione di questa mostra abbia sfiorato il ridicolo, quasi volesse parodiare se stesso.
Senza nulla togliere a John Hiatt, che senso ha esporre la copertina di "Bring the family" nelle due varianti, cioè quella con la foto di Hiatt e quella con il ritratto di famiglia? Il contributo di Willie Nile vi sembra così decisivo? E cosa mi dite del sound tipicamente eighties di Mary Margareth O'Hara? Se dico Rolling Stones e Lou Reed pensate immediatamente agli anni'80?
Mi sta benissimo che Carù nel suo negozio venda quello che gli pare e che sul suo giornale scriva di ciò che preferisce, ma quando si tratta di documentare un periodo storico attraverso la produzione musicale, mettere in primo piano il proprio gusto personale non ha senso.
Chiaro che la storia della musica degli anni '80 deve quasi tutto all'Inghilterra: dunque perché negare l'evidenza con ostinazione infantile?

Certo capisco che con l'età si peggiora, ci si sclerotizza sulle proprie posizioni. Del resto anch'io ogni giorno che passa mi sento sempre più un'aliena e tendo a isolarmi, a circondarmi di ciò in cui mi identifico. Però non riesco nemmeno a leggere questo allestimento "americano" da parte di Carù come una provocazione. È solo un' interpretazione poco realistica, una documentazione inefficace. Punto.
Per il resto lo invidio per il fatto che lui ha comunque un negozio-bunker in cui seppellirsi e attorno a cui far ruotare il mondo.
Una volta ho letto una cosa bellissima di Alice Munro a proposito del negozio visto non tanto come posto di lavoro ma come ragione di vita. Devo assolutamente ripescare quel frammento, risalire alla fonte e tornare sull'argomento perché mi sta molto a cuore.

@Ivan: una curiosità: come mai il mio post su Londra città morta ti ha fatto pensare a Carù?
@River: non so se valga la pena andare a vedere la mostra (dimenticavo: sì, c'è uno spazio dedicato a Buscadero, ma solo a quello, come giustamente sospettavi). Se proprio hai tempo e otto euro da buttare...

River Man ha detto...

"...perché negare l'evidenza con ostinazione infantile?"

Perché è fatto così ed è indubbiamente un suo limite, dovesse curare l'allestimento dei '70 probabilmente non ci metterebbe The Dark Side Of The Moon.
E'inutile, non era compito adatto a lui quello.

P.S.: Un posticino per M2OH avrei cercato di trovarlo anch'io anche se ha lasciato un segno solo nei miei '80 e in quelli di pochi altri:-)
Comunque un'impronta eighties c'è eccome in quel disco, a marchio 4AD fra l'altro.

ivan ha detto...

(e cmq gli anni ottanta sono stati anche quelli di born in the usa, che presumo abbia evitato accuratamente di 'esporre')

riguardo la dead london e carù, l'avrei presa come riferimento per dire che io a londra non ci sono mai stato, che mandavo gli amici a prendermi gli introvabili negli anni novanta e che avrei dato molto per andarci a londra in quel periodo e arrivando a carù, la maggioranza dei miei ascolti erano anglofili mi ostinavo a chiedere in negozio da/a paolo (periodo 87/91) certi titoli inglesi (pur sapendo che o non li avrei trovati o mi avrebbe guardato con sufficienza)

exit ha detto...

@River: riguardo Mary Margaret hai ragione, ma si potrebbe dire la stessa cosa di un'infinità di altri dischi. Un altro personaggio simbolo dei miei anni '80 ad esempio è stato Joe Jackson.

Gli anni '80 inglesi furono attraversati anche da una consistente ondata soul/funky/black - un nome su tutti: Style Council - ma nessuno sembra ricordarsene.

@ivan: anch'io, all'epoca in cui ci lavoravo, chiedevo a Paolo di procurarmi certi singoli e mi guadagnavo certi grugniti...poi ho risolto semplicemente rivolgendomi agli amabili sgherri di Supporti Fonografici, i quali se la ghignavano da morire a ricevere i miei ordini sapendo dove lavoravo. Che piacevoli scemenze da ricordare.

River Man ha detto...

"Un altro personaggio simbolo dei miei anni '80 ad esempio è stato Joe Jackson. "

Lo scrivi apposta perché lo sai ;-) o è un caso?
Guarda io di JJ ci metterei tutta la sua produzione per lo meno fino al Live 1980/86.
Ma JJ ha fatto un errore imperdonabile per il trinariciuto Buscaderiano, ha osato dire l'indicibile, ha dichiarato (ai tempi di Night and Day) che "il rock è morto".
Da li in poi per molti il suo lavoro non è più stato considerato degno a prescindere.

rose ha detto...

nella mia personale mostra casalinga sugli anni 80 (sempre aperta, non faccio neanche pagare il biglietto) ho avuto per anni un affiche stradale incorniciato di un concerto di JJ.
purtroppo me l'hanno rubato nonostante pesasse una tonnellata, ma questa, come si dice, è un'altra storia...

exit ha detto...

@River: l'unica teoria di JJ che non condivido è quella a favore del consumo di sigarette. Per il resto, d'accordo su tutta la linea. L'ultimo disco, Rain, è bellissimo.
@Rose: apprezzo molto la free admission. Notevole anche il fatto che hai deciso di tenere sempre aperto. Al Maga di Gallarate invece in agosto hanno chiuso quindici giorni per ferie, un'iniziativa molto moderna.
Ti ricordi di che anno era l'affiche?

rose ha detto...

in realtà è un affiche anni 80 fino a un certo punto, perché io riuscii a vedere JJ solo nella tournée di Blaze of Glory (non proprio il suo album migliore, eh? però il concerto fu bello. Dopo mi sono disamorata quasi completamente - preso Night & Day II, sono riuscita ad ascoltarlo a stento una volta).

exit ha detto...

Io l'ho visto dal vivo a Lugano due anni fa ed è stato veramente emozionante. Piano, basso e batteria. Rain è un disco molto bello, secondo me.

River Man ha detto...

Le sue teorie sulla non pericolosità del fumo non le condivido nemmeno io, la lotta alle crociate integraliste e anti liberali contro i fumatori invece si.
Una volta che uno adotta tutti gli atteggiamenti necessari per non infastidire e/o mettere in pericolo il suo prossimo (e se non lo fa spontaneamente mi va bene che venga obbligato) non vedo perché non debba essere libero di fumare così come di fare altre cose. I vizi sono parte del sale della vita e ognuno dovrebbe essere libero di dare alla sua il sapore che vuole.

Rain è molto bello ma anche Volume 4 lo era e Summer In The City è un gran live ecc.
In realtà, chi più chi meno, a me piacciono tutti i dischi di JJ.

exit ha detto...

Contro gli integralismi, sempre. E concordo anche a proposito dei vizi: è una vera sofferenza quando le mie finanze non mi lasciano libera di fare shopping come vorrei...