lunedì 31 gennaio 2011

Dal lazzaretto

Sul ponte sventola bandiera bianca. La temperatura corporea del bluesman ha raggiunto i 40.1°: insomma, c'era una ragione se venerdì non ce la faceva ad alzarsi dal letto e rispondeva a malapena con lugubri mugugni. Quanto a me, indomita infermiera-tuttofare, mi sono arresa al termometro solo dopo essermi addormentata tra le pagine di una terrificante lezione di tedesco sulle feste popolari della Carnia: ho scoperto così di essere arrivata a quota 38.9°, temperaturina di tutto rispetto; insomma, c'era una ragione se per tutta la notte il mio cervello si è disperatamente affannato a vuoto attorno a un non meglio definito nonché insopportabile invito a presentarsi tutti sulla Rathausplatz per il concerto d'apertura delle 16.30.
Per il momento sopravviviamo rosicchiando lentamente - causa appetito pressoché nullo - le provviste acquisite prima del crollo. Sigillati nel nostro lazzaretto virulento, immobilizzati sotto una coperta comune, io, il bluesman e la gatta ci disponiamo pieni di speranza dinanzi allo stereo come un tempo sulle terrazze gli ospiti dei sanatori dinanzi a vette incontaminate.
Prima o poi passerà, no?

martedì 25 gennaio 2011

Piccola storia ignobile

Una giovanissima operaia, collocata da un’agenzia di lavoro temporaneo presso una media azienda alimentare del comasco, viene molestata dal caporeparto, un uomo sulla sessantina prossimo al pensionamento. Dopo essersi opposta alla tentata aggressione, avvenuta in ascensore, la giovane raggiunge il reparto sconvolta, racconta l’accaduto ad alcuni colleghi e chiede di essere riaccompagnata a casa: il tutto in presenza del molestatore che, strizzandole l’occhiolino, esorta la ragazza a stare tranquilla. Nel frattempo, un’altra giovane operaia ammette di aver subito lo stesso trattamento, con le stesse modalità, solo mezz’ora prima. E spunta qualche altra confessione: operaie di ogni età trovano finalmente il coraggio di ammettere di essersi opposte in passato alle medesime molestie.

La direzione, informata dell’accaduto, non si pronuncia. Il giorno seguente si mobilitano la famiglia della vittima, l’agenzia di collocamento e il sindacato. La ragazza è frastornata: vorrebbe non rimettere mai più piede in azienda, non avere più a che fare con l’uomo –da tempo inviso a tutti a causa della sua arroganza e della scarsissima collaborazione coi colleghi – che le ha messo le mani addosso e le ha ipocritamente intimato di tacere; vorrebbe giustizia e rispetto per la propria dignità violata. Ma vuole anche lavorare, ha bisogno di uno stipendio. La responsabilità di una denuncia alle autorità, di una causa penale, comincia a pesarle: non è più così sicura di voler intraprendere una strada in salita fatta di deposizioni, racconti dettagliati, giudici, tribunali…Il sindacato ha le mani legate: non può agire se la ragazza non decide di sporgere denuncia. E le colleghe – le colleghe! – la pregano di non far scoppiare lo scandalo: cosa ne sarebbe di quell’uomo e della sua famiglia? E perché poi impegolarsi in cause e processi? È la tua parola contro la sua, dicono le colleghe, chi ti crederà? In tempi di crisi bisogna pensare a tenersi il lavoro: per il bene di tutti non sarebbe forse meglio mettere ogni cosa a tacere, chinare la testa e andare avanti così come si è sempre fatto?

Alla ragazza sono bastati quattro giorni per capitolare, per ricondurre la propria indignazione entro il recinto angusto della vergogna, del bisogno dei mille euro mensili; per restringere l’orizzonte, arroccarsi nell’interesse individuale gettando uno sguardo schifato sul mondo. Il giorno in cui ha ripreso il lavoro, la ragazza si è sentita chiedere dal titolare dell’azienda: “Tutto bene? Tutto a posto? Vi siete chiariti, lei e quell’uomo?”

Tutto si tollera in nome del denaro. Le operaie, che non possono rinunciare ai mille euro mensili, ingoiano la propria dignità, e il datore di lavoro, per il quale ogni indagine potrebbe essere di intralcio al ritmo della produzione, sacrifica senza scrupoli l’incolumità dei propri dipendenti: e non mi riferisco solo alle vittime delle molestie. Uomini come il molestatore di questa vicenda sono individui malati, pericolosi a sé e agli altri. Metterli di fronte al proprio problema – alla propria malattia – è insieme un dovere e un atto di pietà.

domenica 23 gennaio 2011

Holy frost

Il gelo mi offre un formidabile rifugio. È troppo freddo per qualsiasi cosa, mi dico. Persino il suono sordo delle campane si irradia intirizzito. Siamo in pochi ad arrancare su per i boschi croccanti di ghiaccio. Il silenzio è garantito.
Poi arriverà spietata primavera col suo caldo carico di luce e assurde pretese a scoperchiare tutta la mia inadeguatezza.

mercoledì 19 gennaio 2011

Stamattina

Un attimo fa, mentre venivo in ufficio - forse per l'ultima volta, ancora non lo so: sulle liste di proscrizione affisse in bacheca, accanto al mio nome c'è una casella vuota - la luna sorgeva grassa ed enorme da un angolo del bosco facendosi tagliare a fette dai rami neri. E io per poco non ho investito uno scoiattolo.

martedì 18 gennaio 2011

Il punto della situazione

Sull'altro piatto della bilancia c'è che sono in cassa integrazione straordinaria e da dopodomani il mio futuro lavorativo diventa più incerto che mai. Va da sè che non ho nessuna voglia di scrivere. E ieri sera ho pure litigato furiosamente con la gatta.

domenica 16 gennaio 2011

martedì 11 gennaio 2011

Anna Calvi:"The early things stick with you"

‘Locked away in a basement, making an album in isolation, you do start going a bit crazy. So a lot of material came out of that – how to survive the making of this monster that took over three years of my life.’
‘When I play live I’m a different person,’ Anna smiles, sweetly. ‘I feel powerful and fearless. All the things I wish I felt in everyday life.’
‘It’s a record about the internal forces in life which are out of your control and can take you over, and how you survive them. It explores intimacy, passion and loneliness. There is an element of darkness to the record but there is also a sense of hope. This album is the culmination of my whole life up until now.’
And there are good reasons why that life is suffused with a darkness. The story begins with a baby girl, born in London, and struggling to survive. Anna Calvi spent most of her first three years of life in hospital.‘The way I dealt with that was to create my own world. And that’s what my relationship with music is – a world of my own creation that I escape into. I was always a dreamer. The early things stick with you.’
(Qui il resto dell'intervista)

L'ho appena scoperta e la trovo straordinaria. Magari eviterei di tirare per la giacchetta Debussy che poveretto non c'entra neanche per sbaglio. Analogamente trovo del tutto inopportuno parlare di operatic vocals. Diciamo più semplicemente che Anna Calvi ha una bella voce e la sa usare con intelligenza. Più che a PJ Harvey mi viene naturale fare riferimento alla Siouxsie dei tempi d'oro.
Per un assaggio, i traballanti video di Youtube mi paiono poco efficaci: meglio affidarsi a questa pagina del Guardian.