lunedì 29 novembre 2010

Cronache d'inverno

Questi intervalli di luce tra una nevicata e l'altra rinfrancano l'animo e riconciliano un po' con la vita: sono tregue di fondamentale importanza.
Stamattina il risveglio è stato più arduo e doloroso del solito; in ciò, il fatto di non dover andare in ufficio ha avuto la sua parte: mi si srotolava davanti una giornata buia, da contendere al gelo e alle faccende domestiche, da condurre in porto sotto il peso delle ragnatele che in questi giorni mi ingombrano la testa.

I rami del caco, colpiti dalla luce pur flebile del primo mattino, esalavano un vapore incessante: sulla sommità delle lunghe dita fumanti - corvine e muschiate - resistevano grappoli di frutti anneriti, marciti dal gelo e dal selvaggio becchettare dei merli. Una buccia arancione penzolava vizza da un rametto come osceno relitto di una strage. Radiografate dal sole, le gocce di neve sciolta si accendevano e pulsavano come stelle prima di abbandonare lo scheletro e lasciarsi cadere al suolo.
Poco più tardi, lo scioglimento dei ghiacci era un clamoroso fatto sonoro: un rivolo consistente, scivolando dalla lastra proteggi-prezzemolo, aveva scavato la terra dell'orto e andava alimentando un laghetto cristallino.

Lo scrostamento della mia auto è stato più facile del previsto e, col tettuccio glassato che sfarinava allegramente in corsa, ho raggiunto un supermercato ragionevolmente semideserto. Mi piace fare la spesa il lunedì subito dopo pranzo: mi prendo il lusso di ponderare e comparare; sosto senza ritegno presso lo scaffale dei libri che non comprerei mai e leggo avidamente, fra disgusto e rassegnazione, fino a quando le verdure surgelate non danno segni di cedimento; mi assoggetto addirittura ad una modesta attesa  pur di essere servita dalla cassiera più simpatica.
Poi le ombre arrivano veloci. Ceniamo prestissimo, a orari svizzeri: ravioli di zucca, mozzarella, insalata. La gatta si arrotola sullo sgabello della cucina: si muoverà solo per stiracchiarsi e acciambellarsi in senso opposto.
Nel frattempo sono riuscita a ricrearmi in testa una certa serena lucidità e penso che potrei quasi riprendere gli esercizi di tedesco. Prima, però, meglio recuperare gli scarponcini da neve. La tregua sta per scadere.


mercoledì 24 novembre 2010

I ain't gonna face no defeat / I just gotta get out of this prison cell / One day I'm gonna be free, Lord!" - Remembering Freddie Mercury (5 September 1946 – 24 November 1991)


Conversando con lui si provava la sensazione che non avesse avuto un’infanzia. Non ne parlava mai e non si riferiva al passato se non alla tarda adolescenza londinese e fece pochissime allusioni al periodo in cui aveva frequentato la scuola di belle arti. Apparentemente, Freddie cominciò a vivere quando andò ad abitare in Victoria Road, nella zona ovest di Londra, lontano dalla famiglia e padrone delle sue azioni.”

“Sembrava che per scrivere avesse bisogno di tempeste emotive. A volte, la tensione dovuta agli impegni di lavoro lo spingeva a troncare una relazione sentimentale, altre volte provocava deliberatamente una lite per sfruttare le emozioni forti suscitate e convogliare le energie nella composizione o nelle performance dal vivo. I diverbi amplificavano le sue doti di performer e songwriter e la sofferenza che di tanto in tanto si infliggeva pareva una condizione indispensabile, come una dose di droga.”

“Ci attraevano il suo magnetismo, la sua personalità, il suo brio. Sapevi che non riusciva a starsene tranquillo e assorto nei suoi pensieri per molto tempo. Esistevano due Freddie Mercury, due figure in competizione, la persona normale e lo showman, in un unico corpo. Di solito la spuntava il secondo, perché quella era la natura più autentica. Negli ultimi anni, la malattia uccise lo showman, e, senza il suo doppio, l’uomo comune non potè andare avanti. Freddie si sentì vulnerabile e, scissa da quella dell’animale da palcoscenico, la sua vita non gli sembrò più stimolante.”

“Non gli sarebbe piaciuto invecchiare, uno dei motivi per cui non assunse un atteggiamento più combattivo una volta scoperto di avere l’AIDS. Da iperattivo aveva sempre bisogno di impegnarsi in qualcosa. Considerava il sonno un enorme spreco di tempo. Se non lavorava si dedicava al sesso, un’attività piacevole e divertente, da svolgere senza investirci le emozioni profonde che andavano invece incanalate verso la scrittura di nuovo materiale. L’amore di cui cantava apparteneva a un’altra dimensione e non so se lo sperimentò mai di persona.”

(da "Freddie Mercury - una biografia intima" di Peter Freestone e David Evans, Arcana 2009)

martedì 23 novembre 2010

Racism in the UK

Qui un rapido resoconto della vicenda e di seguito il video di indubbio cattivo gusto:



È evidente che gli inglesi si sentono in dovere di essere maniacalmente politically correct con chiunque e con qualunque cosa eccezion fatta per gli irlandesi. Per carità, certo, è una lunga storia: gli inglesi sono così abituati a vessare gli irlandesi che ancora non hanno perso l'abitudine, e del resto, si sa, la strada verso la civiltà è lunga e tortuosa. Ma, scorrettezza per scorrettezza, vorrei rammentare agli inglesi che non è il caso di fare troppo gli stronzi, visto che se Dublino piange, Londra certo non ride.

domenica 21 novembre 2010

Lost in the stars

È passata una settimana, ormai, ma ancora non riesco a distogliere lo sguardo dalle foglie brillanti che tempestano di colori il marciapiede che cinge fedelmente il perimetro dell’ospedale: sono stelle luminose - rosse e gialle - e hanno forme perfette, adunche come mani, e si poggiano al suolo rigide e pulite  - non si lasciano piegare dalla pioggia - e lanciano al mondo un vibrante messaggio di bellezza.
Da una settimana non percorro quel marciapiede perché da una settimana mio padre è libero e non ha più bisogno di medici e ospedali; ma ancora il mio sguardo si ferma su quelle foglie, sul loro inesauribile canto di bellezza, ostinato come un’infantile carola natalizia in una notte di tormenta. Contemplo le mie foglie, il marciapiede nero luccicante di stelle, e poco altro mi interessa, per ora.
Un genitore è, nel bene e nel male, un formidabile antagonista. Quando il nostro antagonista abbandona la scena ci ritroviamo su un palco vuoto. Dobbiamo reinventarci la parte.

Come suggeriva efficacemente la mia amica D., un genitore è sempre, nel bene e nel male, un frangiflutti. Se il frangiflutti si sgretola, la marea arriva a lambire proprio noi, che non abbiamo più niente e nessuno dietro cui nasconderci. Ecco: si smette di essere figli e ci si ritrova in una stanza vuota, dinanzi ad uno specchio che ci rimanda gli stessi errori e difetti che abbiamo per tutta la vita puntigliosamente individuato e condannato nei nostri genitori-antagonisti. Smettiamo di essere figli e diventiamo a forza genitori di quei corpi indifesi ed espropriati dai quali cerchiamo di allontanare in ogni modo, con mille cure e tenerezze, il buio della fine.
Ci ritroviamo adulti, infine, con la chiara consapevolezza di non essere affatto migliori di chi ci ha preceduto: nel ruolo di mio padre, io non avrei fatto di meglio. Perciò, per il momento non so far altro che restare qui a contemplare l'inesauribile,  radiosa vitalità delle foglie - stelle donate in una notte d'autunno ad un marciapiede bagnato. Ora che ho tutte le strade aperte, riesco solo a ripercorrere il perimetro fradicio e stellato dell'ospedale.

lunedì 15 novembre 2010

The sound of loneliness

domenica 14 novembre 2010

Across the borderline

sabato 13 novembre 2010