Non sono mai stata una fan di Amy Winehouse. Non ho mai pensato che avesse un grande talento. Aveva una voce interessante, questo sì; una voce con cui avrebbe potuto fare grandi cose. Ma una bella voce non serve a niente se non hai davvero l'urgenza di dire qualcosa. Non ho mai avuto la sensazione che il palcoscenico fosse il mestiere e il destino di Amy Winehouse.
Provo molta pena per la sua scomparsa. Una di quelle notizie cui si crede a stento.
Amy era l'espressione più autentica dell'Inghilterra odierna, un paese che, non essendo più in grado di produrre modelli culturali, si limita a indulgere in fascinazioni estetiche fini a se stesse. Espressione e vittima di una società eticamente impoverita e incapace di rigenerarsi, se solo ne avesse avuto la forza, Amy avrebbe probabilmente scelto per sè un'esistenza meno stravagante. L'autodistruzione deve esserle sembrata l'unica strategia possibile per sfuggire a chi, incurante della sua profonda sofferenza psichica, cercava insistentemente di cucirle addosso un ruolo che lei non avrebbe mai potuto sostenere.
Naturalmente ora Amy Winehouse diventerà un'icona, una stella e chissà che altro. Il che stende un ulteriore velo di tristezza sulla morte di una donna malata e sola, che probabilmente avrebbe rinunciato volentieri al ruolo di reginetta del r'n'b in cambio di un po' di sana normalità.