Quando ho appreso la notizia dell'incendio divampato in una fabbrica tessile in Bangladesh ho pensato immediatamente ai miei nuovi pantaloni di velluto color melanzana, acquistati da Benetton per € 29.95: sono stati prodotti in Bangladesh, forse proprio nello stesso edificio andato in fiamme ieri, o comunque in un casermone analogo, sprovvisto di sistemi di sicurezza, da donne sottopagate. È il genere di abbigliamento che le persone con un reddito medio-basso come il mio (cioè la stragrande maggioranza degli europei, par di capire) si può permettere. Mi sono sentita minuscola e impotente, infimo ingranaggio di un meccanismo inarrestabile; vittima e complice al tempo stesso, mi sono ricordata di questo passo de La Peste di Camus:
"Da tanto tempo ho vergogna, vergogna da morirne, di esser stato, sebbene da lontano, sebbene in buona fede, anch'io un assassino. Col tempo, mi sono semplicemente accorto che anche i migliori d'altri non potevano, oggi, fare a meno di uccidere o di lasciar uccidere: era nella logica in cui vivevano, e noi non possiamo fare un gesto in questo mondo senza correre il rischio di fare morire. Sì, ho continuato ad aver vergogna, e ho capito questo, che tutti eravamo nella peste; e ho perduto la pace. Ancor oggi la cerco, tentando di capire tutti e di non essere il nemico mrtale di nessuno. So soltanto che bisogna fare quello che occorre per non essere più un appestato, e che questo soltanto ci può far sperare nella pace o, al suo posto, in una buona morte. Questo può dar sollievo agli uomini e, se non salvarli, almeno fargli il minor male possibile e persino, talvolta, un po' di bene. E per questo ho deciso di rifiutare tutto quello che, da vicino o da lontano, per buone o per cattive ragioni, faccia morire o giustifichi che si faccia morire."
(Traduzione Beniamino Dal Fabbro, Bompiani)
(Traduzione Beniamino Dal Fabbro, Bompiani)