Mai fidarsi delle recensioni. Mi aspettavo un film disturbante e complesso, un reticolo di sottintesi, un intrico di indizi preziosi; ero pronta a catartiche rivelazioni sugli infimi abissi della psiche. Nulla di tutto ciò.
I duelli verbali raramente sfociano in affondi significativi. Keira Knightley è troppo concentrata a recitare da isterica per approfondire e appassionarsi alla personalità complessa di Sabine.
Michael Fassbender, che pure in altre circostanze ha dato prova di essere un attore straordinario, qui interpreta un dottor Jung eccessivamente ingessato e meditabondo che non smette i panni dello scienziato riflessivo neanche nelle scene di sesso sadomaso con Sabine. La quale, a sua volta, non smette mai, neanche quando è china sui libri nel suo appartamento, quelle sue impeccabili (da me invidiatissime) camicette di cotone operato guarnite di pizzi. L’autocompiacimento attoriale ai massimi livelli finisce per stendere su una storia così ruvida una fastidiosa patina levigante.
Per fortuna a sfregiare questa lacca manierista, ci sono Viggo Mortensen - che dà vita a un dottor Freud contraddittorio e molto credibile – e Vincent Cassel, assolutamente a suo agio nel ruolo dello psichiatra psicopatico Otto Gross.
L’inquadratura finale, poi, - il film si chiude sullo sguardo imbambolato di Jung – sfiora il ridicolo.
Infine ho trovato particolarmente fastidiosa e riduttiva la tendenza serpeggiante nella sceneggiatura ad evidenziare i lati meschini della personalità di Freud, esaltando, per contro le virtù morali e relative derive misticheggianti del discepolo/avversario Jung.
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