martedì 4 maggio 2010

"Cosa voglio di più" di Silvio Soldini

Ha ragione Silvano Agosti a dire che fabbriche e uffici non sono altro che carceri: l'ultimo, bel film di Silvio Soldini, presentato lo scorso febbraio a Berlino, è la dimostrazione esemplare della teoria. Fatto con gli ingredienti poveri del quotidiano, Cosa voglio di più registra la parabola discendente della relazione – per entrambi extraconiugale – tra Anna e Mimmo, lei impiegata, lui operaio; due vite assolutamente ordinarie, incastrate nel vortice senza scampo di una quotidianità fatta di pendolarismo, lavoro, famiglia.

Anna e Mimmo si muovono in un microuniverso di individui che hanno fatto della mediocrità e della sopravvivenza l’unico orizzonte possibile; individui incatenati al mutuo per l’acquisto di un modesto appartamento con vista sulla periferia, remissivi ingranaggi di un meccanismo che li sfrutta fino al midollo (gli extra in nero, le ferie non pagate). Si fa un gran parlare di soldi, in questo film: i dieci euro risparmiati dal calzolaio, i novanta euro che si sarebbero presi quelli dell’Ikea se Alessio, il compagno di Anna, non si fosse ingegnato a far tutto da sé, la banconota da cinquanta allungata dalla zia ad un’Anna un po’ pensierosa. Più che di soldi, sarebbe meglio dire che si parla di spiccioli. Ed è su questo terreno di miseria in senso lato – intesa non solo come ristrettezze economiche, ma soprattutto come assenza di prospettive, orizzonti limitati, insomma, infelicità – che attecchisce la storia fra Anna e Mimmo, storia nata essenzialmente da uno scatto della fantasia di lei. L’evasione, del resto, è l’altro argomento cardine nelle conversazioni fra i personaggi: la gita in montagna, la vacanza low cost, il viaggio regalato alla collega che va in pensione. Anche il corso di acquerello che Anna frequenta ogni martedì sera è uno spiraglio in uno scenario senza speranza (“non vedo l’ora che arrivi il martedì” confessa Anna ad un’amica). L’appuntamento del mercoledì, invece, quello al motel con Mimmo, è molto più che uno spiraglio per Anna, che ci si aggrappa come ad una ragione di vita: tutto è vissuto in funzione di quell’incontro settimanale, al punto che tutto sembra crollare se l’appuntamento salta. È chiaro da subito che anche per lui il rendez-vous al motel è la boccata d’ossigeno che permette di attraversare in apnea la settimana (non a caso Mimmo pratica nuoto subacqueo) ma è altrettanto evidente che Mimmo è il classico uomo che non può vivere senza l’amante – che però non deve dare fastidio, deve essere disponibile al momento giusto, nei tempi dovuti – così come non può fare a meno di moglie, figli e suoceri. “Oggi il mio capo si sposa per la terza volta” dice Anna, con la sua tenera ostinazione da sognatrice, cercando di trasmettere all’amante il messaggio che, se si vuole, cambiare vita è possibile. “Per forza” taglia corto invece Mimmo “lui ha i soldi…”

L’ostinazione coraggiosa, la disponibilità a rifondare la propria vita da zero, la voglia di rimettersi in gioco a qualunque costo, sono di solito caratteristiche abbastanza tipiche delle donne che si ritrovano nella situazione di Anna: uno slancio che implica anche l’incapacità di giudicare obiettivamente l’oggetto di tanta passione. Anna è disposta a scambiare per amore un rapporto che è di fatto privo di qualsiasi intimità. Dopo una lunga frequentazione Mimmo non sa ancora che genere di cibo piaccia alla donna che dice di amare e, in effetti non li si vede mai condividere un pasto, il gesto che forse più d’ogni altro rappresenta l’intimità del vivere insieme.
Quale sarà il destino dei due amanti la storia non dice, ma è lecito supporre che l’ennesima separazione sarà seguita dall’ennesimo ricongiungimento e così via fino all’estenuazione, in un’altalena di emozioni forti che, nel bene e nel male, offre ai protagonisti l’illusione di essere vivi, l’ora d’aria nel carcere quotidiano.

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