lunedì 11 aprile 2011

Anna Calvi a Bologna


Bisogna vederla e sentirla dal vivo, Anna Calvi, per avvertire tutta la contagiosa, intensa musicalità che può scaturire dalla sua esile figuretta infantile. Stretta in un look anacronistico e antirock – boccoli alla Shirley Temple, pantaloni anni ’80 e manichine a sbuffo – in scena Anna svela una personalità più che decisa. Inutile chiedersi quale sia la vera Anna Calvi, se la bambina timidissima che si lascia confondere dagli apprezzamenti del pubblico o la rockeuse grintosa, la compositrice colta, l’interprete raffinata.
Sempre muovendosi all’insegna dei contrasti più accesi – il rosso e il nero, ritrosia e determinazione – Anna usa con sapienza una voce di rara bellezza, esplora i fondali oscuri del desiderio e riaffiora all’improvviso agguantando squarci armonici di rapinosa luminosità.

Costretta da un infortunio ad affidare le proprie parti di chitarra a un eccellente collaboratore di supporto, quando si concede di imbracciare il proprio strumento in occasione del primo encore, ha l’aria di chi si sente finalmente a casa sua.
Fondamentale l’apporto della bionda Mally Harpaz all’harmonium (impossibile non pensare a Nico) e preziosissima la varietà timbrica della batteria di Daniel Maiden-Wood. Il sound che ne risulta è così pieno, originale, autosufficiente da non richiedere nemmeno l’intervento di una linea di basso.

Lo spettacolo ha lasciato un segno indelebile, una traccia fiammeggiante nell’oscurità torrida del Locomotiv. Un evento rivelatore che ha avuto però un imprevisto effetto collaterale: riascoltato ora, il disco di Anna Calvi suona come una copia sbiadita di un concerto il cui unico difetto è stata la brevità.

martedì 5 aprile 2011

Radici

giovedì 31 marzo 2011

Gidon Kremer a Varese

Incanutito e arruffato, gilet nero e una camicia di quelle che non si lasciano stirare, Gidon Kremer aveva un'aria piacevolmente klezmer, l'altra sera, a Palazzo Estense a Varese.
La sua ciaccona bachiana, ruvida e intensa, si è tradotta in un esercizio spirituale collettivo. Dalla spigolosità ascetica del violino solo al suono caldissimo, perfettamente coeso del Trio op.110 di Schumann, devastante altalena di malinconia ed estasi, puro spirito schumanniano privo di qualsiasi retorica romantica.
Spiazzante il secondo tempo della serata, dominato dal Trio concertante per violino, violoncello e pianoforte op.1 n.1 di Franck, opera giovanile (che precede di un decennio il Trio di Schumann) dagli accenti quasi pre-impressionistici, una composizione sorretta da un profondo rigore concettuale.
Khatia Buniatishvili, pianista giovanissima (è nata nel 1987!), è un'artista straordinaria, dotata di un'innata sensibilità ritmica e di una precoce maturità. Quanto a Giedre Dirvanauskaite, basti dire che collabora con Kremer dal lontano 1997, quando contribuì alla fondazione della Kremerata Baltica.
Senza timore di esagerare posso dire di aver assistito a un concerto memorabile. In tanta disperata oscurità si è trattato di un momento di intimo sollievo, un incontro confortante. Una benefica corrente di emozioni.

mercoledì 30 marzo 2011

Dormire, forse sognare

La gatta ha dormito tutto il pomeriggio sullo zerbino. Sembra proprio che non ci fosse di meglio da fare.
D'altra parte primavera consiste anche di questi solicelli fragili come corolle di narciso, pronti a esplodere beffardi quando ormai i giochi sono fatti.

sabato 26 marzo 2011

Tempi moderni

Stamattina in libreria ho scoperto che, accanto all'autobiografia di Keith Richards e al bel libro che Michele Campanella ha recentemente dedicato a Liszt, facevano bella mostra di sè un agile volumetto Mondadori dedicato ad Anna Tatangelo - e alla sua "piccola favola" -, e un ponderoso tomo dal titolo "Trent'anni e una chiacchierata con papà", che, grazie all'editore Kowalski, raccoglie in circa quattrocento pagine i diari di Tiziano Ferro.

mercoledì 23 marzo 2011

giovedì 17 marzo 2011

Nel giorno di San Patrizio


"C'è ancora, a essere sinceri, su queste vaste terre pianeggianti un popolo, una comunità legati da possedimenti di fantasia, da racconti e poesie che si sono sviluppati al di fuori delle loro vite, e da un passato di grandi passioni che può ancora muovere il cuore al puro atto dell'immaginazione. Si potrebbe ancora, se uno ne avesse il genio, e fosse nato in Irlanda, scrivere per queste persone opere teatrali e poesie come quelle della Grecia. Non è forse vero che la più grande poesia richiede sempre un popolo che l'ascolti?
[...]
Il poeta deve sempre preferire la comunità in cui le menti migliori sono espressione del popolo a una comunità che ricerca vanamente di copiare le menti migliori. Possedere anche perfettamente i pensieri di un certo valore, e la precisione che può essere imparata a scuola, così come appartenere ad una aristocrazia, sono tutte cose simili a una piccola pozza che presto si prosciuga. Solo un popolo è un grande fiume, e questo è il motivo per cui sono persuaso che dovunque la cultura di un popolo sia morta, anche la nazione sia sul punto di morire."
William Butler Yeats, da "Il più felice dei poeti" (Mattioli 1885, traduzione di Nicola Manuppelli)