Una Tac è una Tac, è chiaro. E il mezzo di contrasto è quel liquidino che, una volta in vena, per una manciata di secondi ti fa sentire incandescente. Se però ad accompagnarti in una simile indesiderata avventura ci sono persone gentili, pazienti, comprensive, che provano a distoglierti dalle tue ansie, che ti chiedono mille volte come ti senti, se è tutto ok, se ce la fai da solo o hai bisogno di una mano, a esame ultimato almeno non ti resta addosso niente di traumatico; il che, in tempi di malattia, non è poco.
Milletrecento euro al mese guadagna una persona che ha il delicato compito di accogliere creature (d'ogni età, indole e povenienza) impaurite, prepararle all'esame, iniettare loro il liquido e badare che tutto funzioni a dovere. Milletrecento euro e un impiego diviso tra due ospedali ("ci mandano una settimana qua e una là"). Dopo trent'anni di lavoro.
Qualcuno mi dirà che, stipendio o non stipendio, la gentilezza, al pari del coraggio, uno non se la può dare. È vero fino ad un certo punto. Perché se è ovvio che la gentilezza in una persona non è direttamente proporzionale allo stipendio, è altamente probabile che un trattamento economico e umano inadeguato - per non dire umiliante - generino disamore per la professione. Se l'immenso capitale umano e professionale del personale medico e paramedico continuerà ad essere gestito esclusivamente secondo le fredde logiche dell'economia aziendale possiamo aspettarci solo il declino di un sistema sanitario nazionale che, in linea di massima, resta invidiabile. Certo la gentilezza di medici e infermieri da sola non cura, ma non ho dubbi sul fatto che aiuti a guarire.
2 commenti:
perfettamente d'accordo
com'è tutto vero!
auguri di cuore per l'esito della tac
c
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