"Una donna negli anni quaranta dell'Ottocento proto-vittoriano non poteva provare desideri, a maggior ragione se governante e provinciale. Invece Charlotte-Jane racconta di una passione femminile fortissima per un uomo sposato [...]. La donna vittoriana, ridotta allo stato di femmina asessuata, trova dunque in Jane Eyre un ideale contraltare femminista e libertario [...]. Perché la donna di Charlotte è una donna che lavora e si guadagna da vivere fuori casa, che rifiuta i pretendenti se non le aggradano, che si sposa senza il consenso del padre, che pone la propria dignità e i propri desideri sullo stesso piano di quelli maschili. Se poi non tutto viene esplicitato, sta al lettore moderno riflettere su quanto sconvolgente dovesse soffiare nelle menti vittoriane la costante brezza di sensualità che pervade il romanzo, esplodendo a tratti in passione turbinosa."
Così scrive Franco Buffoni in un preziosissimo saggio - tratto da questo bel libro - che sono andata a rileggermi dopo aver visto la più recente versione cinematografica del romanzo di Charlotte Brontë, regia di Cary Fukunaga: Mia Wasikowska è Jane e Michael Fassbender un tenebroso, tormentato, fascinosissimo Mr Rochester. Il film è praticamente perfetto.
Mia Wasikowska è straordinaria nel restituirci la singolare personalità di Jane, un affascinante blend di goffaggine e sano orgoglio sorretti da una robusta preparazione intellettuale - davvero insolita per una donna dell'epoca - e assoluto rigore morale. Un'interpretazione che io ho trovvato davvero emozionante, misurata e vibrante al tempo stesso, in totale sintonia con il personaggio: l'intima determinazione di Jane nel perseguire i propri obiettivi (ciò che Buffoni definisce efficacemente "narcisimo possessivo") è resa con assoluto realismo ed estrema sensibilità.
Fassbender nei panni di Rochester non potrebbe fare di più e meglio: l'attrazione fra i due scatta al primo incontro e come una febbre percorre tutta la storia senza cali di tensione. L'alchimia Fassbender/Wasikowska funziona a meraviglia.
La regia, priva di qualsiasi concessione retorica o sentimentale, è perfettamente fedele all'intenso sentire romantico che anima il capolavoro di Charlotte Brontë: gli ambienti sono cupi, freddi e dominanti come la stupidità umana; la natura è ruvida, sferzante, nemica ma anche idilliaca e confortante, è l'alleata che offre la via d'uscita agli animi puri in grado di intenderne la voce. Fukunaga non evita il ricorso - rischiosissimo - all'elemento soprannaturale, ma lo fa con estrema saggezza, non debordando mai dall'ambito gotico in cui Charlotte Brontë inscena la sua perfetta invenzione drammaturgica.
Un gotico simbolico, per riprendere ancora le efficaci intuizioni di Franco Buffoni: "Simbolico al punto da rendere visioni, sogni, premonizioni, presagi, portenti dei semplici espedienti poetici. Dalla telepatia alla consistenza metaforica della luna vista attraverso la cavità dell'albero, al candelabro che nello specchio rivela a Jane l'esistenza di Mrs Rochester, tutto l'apparentemente preternaturale in Jane Eyre è in fondo simbolico".