Incanutito e arruffato, gilet nero e una camicia di quelle che non si lasciano stirare, Gidon Kremer aveva un'aria piacevolmente klezmer, l'altra sera, a Palazzo Estense a Varese.
La sua ciaccona bachiana, ruvida e intensa, si è tradotta in un esercizio spirituale collettivo. Dalla spigolosità ascetica del violino solo al suono caldissimo, perfettamente coeso del Trio op.110 di Schumann, devastante altalena di malinconia ed estasi, puro spirito schumanniano privo di qualsiasi retorica romantica.
Spiazzante il secondo tempo della serata, dominato dal Trio concertante per violino, violoncello e pianoforte op.1 n.1 di Franck, opera giovanile (che precede di un decennio il Trio di Schumann) dagli accenti quasi pre-impressionistici, una composizione sorretta da un profondo rigore concettuale.
Khatia Buniatishvili, pianista giovanissima (è nata nel 1987!), è un'artista straordinaria, dotata di un'innata sensibilità ritmica e di una precoce maturità. Quanto a Giedre Dirvanauskaite, basti dire che collabora con Kremer dal lontano 1997, quando contribuì alla fondazione della Kremerata Baltica.
Senza timore di esagerare posso dire di aver assistito a un concerto memorabile. In tanta disperata oscurità si è trattato di un momento di intimo sollievo, un incontro confortante. Una benefica corrente di emozioni.