“Pedro, scusami…in realtà ci sarebbe anche un altro cantautore italiano che mi interessa…”
“Come si chiama?” interroga Pedro dall’alto della sua pazienza.
“Lucio Dalla”
Pedro mi lancia addosso uno sguardo sgomento, arrotondato dalle lenti spesse. “Lucio Dalla!” ripete incredulo “Ma se è a tanto così di distanza da Branduardi!...” aggiunge rappresentando tra pollice e indice lo spazio che separa i due artisti lungo lo scaffale. “Tanto così e non l’hai visto?”
Mentre Pedro si procura di nuovo le chiavi dell’altro locale provo a spiegargli che cercare i dischi nel suo negozio, per me, è come sfogliare un dizionario: ingolosita, da una parola passo all’altra, il più delle volte dimenticando l’origine della ricerca. Quando poi resto sola nella stanza silenziosa - una sorta di bunker relativamente ordinato e privo di cianfrusaglie, un commovente tempio di cui, per un istante, mi sento la vestale – torno a inginocchiarmi là dove pochi minuti prima avevo cercato gli introvabili primissimi album di Branduardi e comincio a indagare la discografia di Dalla. Mi basta un’occhiata per capire che quel che voglio non c’è, ma mi ostino a esaminare con scrupolo, smaltendo la delusione con la lentezza della ricerca. Gli ultimi dischi di Dalla non so nemmeno come si chiamino. E per ultimi intendo tutto ciò che è uscito dopo il quasi omonimo del 1980, tutti dischi che non solo non ho comprato ma non ho mai nemmeno ascoltato. Mi sono persa qualcosa? Forse, non so, non credo. Per me Lucio Dalla è e resta altro, in ogni caso.
Lettera x, dov'è il segreto di Asterix?
Era un momento magico, quello della TV dei ragazzi. In un'epoca – i primissimi anni ’70 – in cui la trasmissione ininterrotta di cartoni animati non esisteva nemmeno nella fantasia, gli appuntamenti con i personaggi dei “cartoni” erano precisi, limitati nel numero e nella durata e perciò goduriosissimi. Lucio Dalla contribuiva in pieno alla goduria, perché quando mi piazzavo davanti al grezzo apparecchio in bianco e nero per la mia dose settimanale de Gli eroi di cartone, più delle avventure di Asterix aspettavo con trepidazione la sigla, frutto del genio compositivo e interpretativo di Lucio Dalla. Pochi minuti preziosissimi che mi gustavo dall’inizio alla fine, che speravo non arrivasse mai, cercando di catturare nella memoria – l’unico supporto a disposizione – ogni particolare di Fumetto.
Automobili
Fu il secondo LP della mia vita. Fintanto che Bufalo Bill (di De Gregori, il mio primissimo vinile, ricevuto in regalo per la Cresima) e Automobili restarono gli unici due LP in nostro possesso, io e mio fratello A. li ascoltammo integralmente tutte le sere, quasi fosse un dovere. In realtà eravamo così affamati di musica da consumare senza sosta quel che avevamo a disposizione. Di Automobili conosco ogni singola battuta, so a memoria le parti di tutti gli strumenti, ricordo gli arrangiamenti in dettaglio. È un disco in cui Ron fa un lavoro egregio al piano elettrico. Io, bambina, mi lasciavo trasportare sulle strade di un'Italia mai vista, che tuttavia riuscivo a visualizzare con assoluta naturalezza: sulle note ansiogene e incalzanti di Nuvolari, riuscivo addirittura a percepirne l'odore. Più che un disco era un film, uno spettacolo teatrale: vedevo l'ingorgo in autostrada, vedevo Gianni Agnelli e Tazio Nuvolari, trattenevo il fiato, respiravo la polvere, la benzina e le campagne. Assorbivo inconsapevole la poesia di Roberto Roversi.
Il potere che offende
All'epoca usava, quando si apprezzava un artista, risalire a ritroso la sua discografia, scavare nel passato in cerca di altri tesori. Nel caso di Lucio Dalla, prima di Automobili, c'erano autentiche miniere da scandagliare.
Il giorno aveva cinque teste e Anidride Solforosa, nati dalla collaborazione con Roberto Roversi, sono precisamente i due dischi che cercavo nel negozio di Pedro: sia chiaro, una copia di entrambi i lavori è ancora custodita come in un museo nella casa in cui sono nata e cresciuta. Ma si dà il caso che questi, più che dischi, siano autentiche pietre angolari e ritengo che anche la casa che abito ora abbia diritto a custodirne una copia. Sono dischi difficili, duri e meravigliosi. Non sempre comprensibili per la bambina che ero allora, mi aprirono tuttavia gli occhi: erano dischi che leggevano la realtà, non la trasformavano, non la nascondevano. Il carcere minorile di Torino, le fabbriche, l'immigrazione dal Sud, la solitudine, le pianure assolate, i diversi volti del potere. E il genio di Dalla compositore qui tocca vertici inarrivabili.
E lontano lontano si può dire di tutto
Certo ora tutti reclamano un pezzetto di Lucio Dalla, la sua carriera sarà smembrata in una miriade di reliquie virtuali. Come canta De Gregori a proposito di Luigi Tenco “Tutti dicevano: io sono stato suo padre/purché lo spettacolo non finisca". Qualcuno poi avrà il cattivo gusto del cinismo, si fregerà di qualche maldicenza pur di svettare nel coro dei dolenti. Come se ce ne fregasse qualcosa delle sue scelte di vita e di tutto ciò che non sappiamo. "Lontano lontano si può dire di tutto".
Leggo sui giornali che l'altra settimana Lucio Dalla era a Sanremo (a dirigere una pessima canzone e un pessimo interprete, come testimonia YouTube). La cosa non mi stupisce e neanche mi riguarda: proprio mentre Lucio Dalla era a Sanremo, io stavo cercando i suoi vecchi capolavori in un incredibile negozio di dischi di Berlino.