giovedì 28 ottobre 2010

Primo ghiaccio di stagione

Poco fa, mentre imprecavo contro il fiume di auto cui dovevo la precedenza, le dita ancora indolenzite dalla scrostatura dei finestrini –  primo gelo di stagione –, si è affacciato all’improvviso un soffice cielo turchese, solcato da spumose, sottili strisce confetto. Adesso l’acero rubino ha qualcosa da raccontare al cielo che ha già perso il suo smalto. Pareva una fiaba. Non pare già più.

lunedì 25 ottobre 2010

Blues for Haiti

Lo so, sono la solita ritardataria: d'altra parte mi trovo a scoprire questo video in un momento in cui l'emergenza Haiti è di nuovo tristemente d'attualità. Uno sgangherato parterre de roi, tra insospettabili e irriconoscibili.

sabato 23 ottobre 2010

Profezie

venerdì 22 ottobre 2010

Civiltà e progresso

Un'altra condanna a morte eseguita in Texas. La quarantatreesima negli Stati Uniti dall'inizio dell'anno. Negli Stati Uniti si continua a uccidere legalmente a ritmo sostenuto. In media un'esecuzione a settimana. Un dato abbastanza impressionante se si pensa che stiamo parlando di un Paese che si pone come faro guida della civiltà, della democrazia e del progresso. Non c'è bisogno di essere antiamericanisti per trovare in tutto questo un'incongruenza stridente.

giovedì 21 ottobre 2010

Dal fronte

I due post che mi si erano raggrumati in testa la settimana scorsa sono avvizziti per cause naturali. In tutto ciò il raffreddore ha avuto la sua parte, credo: un attacco violento, del genere che ha costellato la mia infanzia e che all’infanzia, appunto, speravo dovesse rimanere confinato. Ma all’infanzia, con particolare riferimento al tetro anno della prima elementare, posso ricondurre anche l’angoscia invincibile che mi opprime da giorni, avvelenando le mie giornate sin dal risveglio. Ci fu un tempo - quando avevo sei anni o giù di lì -  in cui rinchiudermi nella mia stanzetta gelata a divorare fumetti e libri fino a tarda notte costituiva segnale di caparbia ribellione. L'esile reazione di una bimba all'incomprensibile angoscia che colava dai muri della casa genitoriale. Recentemente ho messo mano agli acquisti libreschi londinesi e il rimedio si è rivelato peggiore del male. Il libro di Iris Murdoch ha davvero fatto una brutta fine, nel senso che non solo l'ho mollato ben prima della metà - destino fin qui occorso solo all'insopportabile La torre di Babele di Antonia Byatt - ; gli ho addirittura negato ogni possibilità di riabilitarsi gettandolo nel mucchio della carta da riciclo: trasformato in tovagliolo o in scatola da scarpe sarà certo più utile all'umanità. Ora con Henry James va decisamente meglio - e vorrei ben vedere - ma sono lontanissima dall'individuare uno spiraglio al mio malessere.
C'è poi la rabbia, una rabbia sorda verso me stessa, una risacca mugghiante che corrode la mia pazienza e - chiaro sintomo di una feroce sindrome depressiva - anziché spronarmi al cambiamento, mi risospinge al largo, sempre più al largo, nell'isolamento dei colpevoli a rimuginare sui miei errori.
Poi c'è il risentimento. Verso gli imprenditori (li chiamano ancora così), i dirigenti (osano ancora definirsi così) che invece di investire, ideare, sperimentare, si limitano a segnare il passo, a far quadrare i conti vampirizzando i già anemici stipendi dei dipendenti, possibilmente gli stipendi delle operaie single con figlio a carico, possibilmente quelle un po' sempliciotte, per nulla graziose, del tutto incapaci di difendersi.
Stasera mi basterebbe essere un po' meno furibonda.



sabato 16 ottobre 2010

Al supermercato

Oggi ho notato che c'era una gran quantità di superalcolici in superofferta, tutti esposti in bella vista subito all'ingresso, opportunamente incastrati nello scaffale zeppo di frizzi e lazzi per Halloween. C'erano tutti quei meravigliosi cocktail in colori pastello - rosini, verdinipisellini, azzurrini - proprio accanto ai leccalecca a forma di teschio. Poco più avanti, subito prima dei formaggi, gran trionfo di liquidi trasparenti - gin e vodka -  al 50%.
Poi tutti a chiedersi le ragioni dell'alcolismo giovanile.

All'ufficio postale

Affido all’impiegata la busta imbottita chiedendo una normale spedizione via posta prioritaria.
“Tariffa estero” osserva efficiente l’addetta leggendo l’indirizzo. Non faccio in tempo a confermare che subito mi sento chiedere: “E dove lo mandiamo questo pacchetto? In Inghilterra?”
“Ma veramente” provo a obiettare, perplessa “veramente c’è scritto Irlanda...”
“Appunto: legga qui” e orienta verso di me un monitor sul quale, da un menù a tendina, si è appena srotolato un breve elenco di nazioni europee: Gran Bretagna e Irlanda del Nord sono comprensibilmente accorpate nello stesso campo.
“Guardi, il mio pacchetto non va in Irlanda del Nord” provo a spiegare.
“Ah no? E dove va, scusi? Qui c’è scritto Irlanda.”
“Esatto, si tratta della Repubblica d’Irlanda.”
“Ah, sì? E dov’è? Avanti, mi dica dov’è, lo vede che anche qui non c’è?”
“Provi a cercare Eire” suggerisco continuando a non capire il problema.
“Non c’è, non c’è…” certifica l’impiegata sulla base di un’ulteriore consultazione del monitor.
“Ma è impossibile che in quell’elenco non ci sia l’Irlanda” obietto timidamente, considerando al contempo che non è certo la prima volta che mi trovo a inviare libri a Dublino.
“Va bene” concede l’altra pazientemente scocciata “cominciamo dall’inizio, va bene? Avanti, legga tutti i paesi a partire dalla A” e subito smanetta col mouse rendendo pressoché illeggibile la lista delle nazioni.
“Ferma lì!” ordino non appena intercetto la I “vada piano, per favore!”
“Oh, guarda c’è davvero...” fa lei con finta naturalezza, incassando la sconfitta.
“Sì sì l’Irlanda esiste” concedo io sollevata.
“E dove sarebbe?”
“Vicino all’Irlanda del Nord.”
“Ah ecco…Sì, che poi, diciamocelo, io potevo selezionare Grecia che tanto era lo stesso.”
“Sarebbe a dire, scusi?”
“Che il pacco arriva lo stesso, che tanto è sempre Europa, no? Non è che se seleziono Irlanda quello va per forza in Irlanda, capisce? Se seleziono Grecia quello mica va in Grecia, capisce? Quello che conta è qui, vede?” e mi mostra l’indirizzo, scritto a chiarissime lettere “Certo che se questo è sbagliato, beh, sono fatti suoi, capisce? Chiaro che il pacco non arriva…”
“Guardi, non ci provi nemmeno” minaccio digrignando un sorriso isterico “quel pacco DEVE arrivare a destinazione a Dublino.”
“Ci arriva, ci arriva, se l’indirizzo è giusto ci arriva, ma deve essere giusto l’indirizzo, ha capito?”
Così, tanto per dire, il pacchetto che ho affidato alla pazza conteneva la copia de L'inutile guida che mi è stata richiesta dall’Istituto Italiano di Cultura di Dublino. Così, tanto per dire in che mani è finito un pezzo del mio destino.


mercoledì 13 ottobre 2010

Tombeau

Con notevole ritardo, apprendo dall'ultimo numero di Diapason che anche Alain Corneau ci ha lasciati. Considerato che esattamente due anni fa se ne andava Guillaume Depardieu, il duplice omaggio mi pare d'obbligo.

sabato 9 ottobre 2010

Noi ci saremo

 All'improvviso ho deciso che fra gli espositori ci saremo anche noi. Solo la domenica, però ci saremo: io, il bluesman e naturalmente i vinili.

venerdì 8 ottobre 2010

Solitude standing

Quando il cielo si spegne in un modesto grigiore e le tortore si aggrappano alle antenne e aspettano, aspettano il segnale – rosata e progressiva morte della luce –, ricorro al gioco antico del ricordo. L’infanzia – la mia, almeno – non ha contorni regolari, ma gode di orizzonti ristretti, un’ingenua fiducia. Un profumo caldo e dolce assorbe la malinconia, un rosa ardente zucchera il dolore, un libro illustrato accoglie, nasconde, ripara. Il mondo adulto è un tunnel sforacchiato: nell’insensata corsa, a nulla vale inalare il ricordo.

martedì 5 ottobre 2010

Un giorno qualunque

Trafelata salgo i gradini a due a due e agguanto in perfetto orario l'appuntamento dall'estetista. "Oh, scusa" dico saltando su come una molla dopo essermi seduta nel posto sbagliato. "Ho così tante cose per la testa" provo a giustificare la mia goffaggine "che a momenti dimentico anche dove sto di casa..." M. l'estetista se ne esce con un "ma che cosa è successo" che suona come un odiosissimo rimprovero. Vorrei risponderle con una degna volgarità ma mi limito a togliermi la giacca mentre i titoli delle ultime notizie lette di nascosto sul pc dell'ufficio mi scorrono ancora davanti agli occhi.
 Quattrocento bambini morti in Nigeria per avvelenamento da piombo.
"È il lavoro a stressarti così tanto?" chiede ora M. l'estetista con sussiego, desiderosa di rifilarmi un "massaggio rilassante". Ci vuol altro che il massaggio, le direi se il trattamento cui mi sto sottoponendo non mi impedisse di aprire la bocca.
Sdraiata sul lettino ad occhi chiusi vedo le tre donne cinesi dentro l'auto bloccata dall'acqua nel sottopassaggio. Stavano andando al lavoro. Buio, acqua e terrore alle cinque di mattina. Per andare al lavoro. "Sì certo il lavoro..." dico semplicemente per dire qualcosa. La vergognosa verità che mi tengo stretta dentro il mio corpo supino è che il problema non è avere troppo lavoro ma averne troppo poco.
Chissà che impressione faccio a questa estetista che non mi conosce quasi per niente. Stravagante, trafelata e distratta. Vestita di nero, adagiata immobile su un doppio strato di asciugamano e cellophan. Nel frattempo c'è un fiume di fango rosso velenoso che sta corrodendo un villaggio ungherese. Nel frattempo abbiamo finito.
Scendo di corsa le scale e, da una porta scorrevole ad un'altra, mi trasferisco nel supermercatino accanto;  dove, per quattro piccole buste di insalata, due piccoli pezzi di formaggio in superofferta e due detersivi per il pavimento in superofferta, spendo € 17,52.
A casa, la mia gatta ipernutrita e lagnosa non somiglia per niente al gatto terrorizzato della foto. Il bluesman  intanto è tornato dal lavoro con una violentissima allergia: areazione carente, eccessiva circolazione di polveri, rinite e tosse garantite per la serata intera, se va bene. Cena monacale con pasta in bianco, verdure cotte e un paio di biscotti secchi al miele.  Piombo, fango tossico, polveri, alluvioni.
 Domani si ricomincia.

venerdì 1 ottobre 2010

Ottobre


L'autunno è una mano santa che mi si deposita sulla testa e placa all'istante le mie inquietudini. Tutte le energie vengono convogliate nell’esercizio quotidiano della sopravvivenza. L’ho già detto: scrivere richiede una buona dose di speranza.
 Non posso fare a meno di registrare, da parte mia, il sempre crescente disinteresse nei confronti del web e la totale sfiducia nella mia capacità di comunicare; di pari passo va aumentando anche il mio disprezzo nei confronti del genere umano. Perfettamente in sintonia con il Lied proposto da Endimione, scelgo la solitudine e torno a riabbracciare la grande musica. A ciascuno il proprio bene rifugio.